Ci sono voluti 25 anni, ma alle fine per i livelli essenziali nel sociale si è aperta una strada. La legge 328/00 li voleva tutti insieme, integrati, ora invece arrivano alla spicciolata, e con un cammino ancora lungo da compiere. Ma iniziare a nominarli, a definirli, a porsi il tema di come finanziarli e governarli, come monitorarli, significa molto. Vuol dire passare da prestazioni e servizi sociali forniti in base alle possibilità e alle contingenze del luogo, del momento, delle persone, a servizi e prestazioni garantiti in quanto diritti, in quanto leggi dello Stato.

Certo, siamo ancora lontani dall’obiettivo, siamo all’inizio di un percorso. Ventidue anni fa pubblicavamo il numero speciale di Prospettive Sociali e Sanitarie (n. 15-17 del 2003, curato da Cristiano Gori) dal titolo Livelli essenziali delle prestazioni sociali. Dai principi alla pratica? Finalmente, il percorso è stato avviato. Un percorso che corre in parallelo, senza collegamenti diretti, con il progetto di autonomia differenziata attualmente in parlamento. La regolazione del settore sociale, infatti, è già di competenza esclusiva delle Regioni.

Negli ultimi quattro anni leggi, decreti e piani hanno generato un florilegio di Leps, definiti con gradi diversi di dettaglio, in una sorta di ipertrofia definitoria. Il “Punto di Welforum”, curato qui da Franco Pesaresi, ne conta 16. Ma di che cosa stiamo parlando? I Leps finora identificati lo sono prevalentemente sulla carta, se ci riferiamo letteralmente a diritti individuali a prestazioni. Si chiamano “livelli essenziali” ma non lo sono, semplicemente perché mancano di una caratteristica fondamentale: l’esigibilità. Che siano di erogazione o di processo, per ognuno di essi vanno identificati obiettivi di servizio, costi, fabbisogni standard e relativi finanziamenti dedicati, per ridurre dotazioni regionali profondamente diverse. L’unico Leps quantificato e finanziato è quello che riguarda il servizio sociale professionale, da garantire con un assistente sociale ogni 5.000 abitanti.

È ora tempo di dedicare le energie verso i processi di attuazione, e prenderci una sosta dall’onda narrativo-definitoria, onda che è arrivata a identificare livelli essenziali un po’ bizzarri, come quello che riguarda la sostituzione temporanea degli assistenti familiari in occasione di ferie, malattia e maternità. Un’azione non esattamente in cima alla lista delle cose da fare per sostenere il lavoro privato di cura in Italia, un settore sempre più sommerso e lontano dai servizi pubblici.

Nuovi, ulteriori Leps sono in via di emanazione1. Ha senso continuare a dichiararli, senza dare poi le gambe per poterli rendere tangibili? Sembra qui riproporsi un male antico del nostro Paese, quello di sottovalutare l’attuazione delle politiche, sopravvalutando la forza delle norme. Per vincere la sfida della realizzazione occorrono meno sforzi definitori e più sforzi nell’iniziare ad applicare quanto dichiarato. Su due piani: di sistema e di accompagnamento dei processi.

Sul piano di sistema, attuare i Leps significa identificare il contenuto dei servizi, la platea a cui ci si rivolgono, le condizioni di esigibilità, gli obiettivi di servizio, i costi da sostenere e da coprire, le fonti da cui attingere. In termini di risorse, dobbiamo arrivare a una fonte unificata, un Fondo unico per il sociale che riassorba a monte i troppi fondi esistenti (sono 25: si legga qui), che obbligano a valle ricomposizioni sempre più faticose e cariche di adempimenti amministrativi. Collegati vi sono costi della burocrazia, a carico di Comuni e Ambiti territoriali, elevatissimi.

In secondo luogo, l’attuazione ha bisogno di essere accompagnata. A volte si confonde l’accompagnamento con il monitoraggio e i sistemi informativi. Strumenti che registrano quanto succede, ma che non guidano le decisioni, non le sostengono, non le accompagnano. Per un accompagnamento dei processi serve una alleanza tra Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Regioni e Comuni (Anci): perché i Leps vengono realizzati sul territorio, dagli Ambiti Territoriali Sociali. Vanno avviati processi formativi, comunità di pratiche, attività diverse di orientamento, di vero e proprio coaching dei territori. Azioni orientate a identificare quali sono le migliori condizioni istituzionali, organizzative e professionali per una piena realizzazione si queste misure.

I Leps finora individuati richiamano temi importanti, ma anche promesse difficili da mantenere, perché comportano – se applicati davvero – investimenti rilevanti nel welfare, che confliggono con le pressioni odierne sulla finanza pubblica, orientate in direzione totalmente opposta, e con un governo che ha prima ridotto il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile a 25 milioni di euro per il 2024 (erano 100 l’anno precedente) e poi a soli 3 milioni per il 2025. È dunque difficile prevedere il futuro dei Leps, i quali inevitabilmente saranno sottoposti in fase applicativa a un certo grado di condizionalità. Ma una cosa sono misure destinate a rimanere a scartamento ridotto, poco universalistiche e molto selettive, altro se finalmente entreranno negli investimenti di governo.

 

Questo intervento è tratto dall’editoriale del nuovo numero di “Prospettive Sociali e Sanitarie”: Verso l’attuazione dei livelli essenziali nelsociale (1-2 del 2025). L’inserto speciale contiene interventi di Michelangelo Caiolfa, Ariela Casartelli, Ugo De Ambrogio, Maurizio Motta, Laura Pelliccia, Franco Pesaresi e Paola Torretta.

Sul tema Welforum promuove un webinar il 24 giugno: ne daremo presto maggiori dettagli.

  1. Il nuovo “Piano Nazionale degli Interventi e dei Servizi Sociali 2024-2026” (vedi qui) ne contiene di ulteriori.