I trasferimenti monetari alle famiglie e la pandemia da Covid-19
Giovanna ScarchilliMassimo Baldini | 10 Febbraio 2022
I Policy Highlights di “Politiche Sociali/Social Policies”: questo articolo è una sintesi di un contributo con lo stesso titolo uscito sul numero 3/2021 della rivista.
Covid-19, povertà e trasferimenti monetari alle famiglie
La crisi economica e sociale iniziata nel 2020 ha spinto il governo a introdurre nuove forme di sostegno economico alle famiglie, soprattutto per attenuare gli effetti dei lockdown che sono stati imposti alla popolazione per rallentare la diffusione del virus. Questa crisi si è inserita in un contesto nazionale già segnato dalla lunga crisi del quinquennio 2008-2013, da cui l’economia italiana stava uscendo, nel periodo 2014-19, con tassi di crescita molto modesti. In questo contributo proponiamo alcune considerazioni sull’evoluzione dei trasferimenti monetari alle famiglie nell’ultimo ventennio, passando poi a discutere delle misure prese nel periodo della pandemia.
In un contesto macroeconomico di lungo periodo non favorevole, secondo l’indagine Banca d’Italia sui bilanci familiari i redditi reali disponibili delle famiglie fra il 2000 e il 2016 sono rimasti pressoché invariati per la classe media e sono fortemente diminuiti per coloro che appartengono alla fascia più povera della popolazione. Secondo la stessa indagine campionaria l’indice di Gini risulta stabile – attorno a 0.33 – da almeno vent’anni; d’altra parte, l’incidenza della povertà sia assoluta che relativa tra gli individui, dopo un trend in lenta discesa nei primi anni del nuovo secolo, a partire dalla crisi del 2008 è decisamente aumentata. Non per tutti, però, il rischio di povertà è cresciuto nella stessa misura: sono stati particolarmente penalizzati i giovani e le famiglie con persona di riferimento di origine straniera. Il rischio di povertà è inoltre aumentato soprattutto per le famiglie residenti nell’Italia settentrionale, anche se i tassi di povertà rimangono nelle regioni del Sud ben più alti della media nazionale.
A questo incremento diffuso dell’area della povertà e del disagio sociale le politiche hanno risposto con un maggiore sostegno economico alle famiglie in difficoltà. Fra i paesi OCSE, l’Italia ha registrato negli ultimi 20 anni la più forte variazione positiva nell’incidenza sul PIL dei trasferimenti in denaro (Causa ed Hermansen, 2019). In gran parte si tratta di un fenomeno automatico dovuto all’invecchiamento della popolazione e alla caduta del PIL, cioè del denominatore di tale rapporto, nonché all’aumento della disoccupazione e della povertà. Nello specifico, dai conti della protezione sociale dell’Istat emerge che nel corso dell’ultimo ventennio la spesa per disoccupazione ed esclusione sociale è aumentata del 400%, un ritmo decisamente superiore a quello della spesa per pensioni.
L’eccezionale dinamica della spesa per le famiglie e per la disoccupazione non è stata determinata solo dalla crisi economica, ma anche dalla introduzione di nuovi trasferimenti o dal potenziamento di schemi in vigore. Negli ultimi anni si è inoltre fatto ampio ricorso al welfare fiscale, ovvero l’ampio sistema di spese fiscali di cui, sotto forma di bonus e agevolazioni di varia natura, i contribuenti beneficiano al momento del calcolo delle imposte. Questa forma di sostegno alle famiglie, notevolmente ampliato anche nei mesi della pandemia, non è però privo di problemi. Non raggiunge gli incapienti e spesso è riferito ai redditi del singolo e non alla condizione generale del nucleo familiare. In linea generale, il vantaggio delle misure di welfare fiscale è indirizzato principalmente alla classe media (Baldini e Pavolini 2020).
L’effetto redistributivo di ogni componente di un sistema di tax-benefit dipende da due fattori principali: l’importanza quantitativa dello strumento e il suo targeting. Un sussidio può essere molto costoso per il bilancio pubblico, ma può realizzare una modesta redistribuzione dei redditi se è poco concentrato a favore dei più poveri. Questa scarsa concentrazione verso i poveri è, da molto tempo, la causa principale della scarsa capacità redistributiva dei trasferimenti italiani, anche escludendo la componente pensionistica. La progressività dei trasferimenti dovrebbe però essere recentemente migliorata con l’introduzione del Reddito di Cittadinanza (RdC) e con il ricorso sempre più diffuso all’ISEE come strumento di means testing. La figura mostra la dinamica, fra il 2004 ed il 2019, dell’incidenza dei trasferimenti monetari sui redditi disponibili delle famiglie in Italia per decile di reddito. Il peso dei trasferimenti sui redditi dei decili più poveri è progressivamente aumentato nel corso dell’ultimo quindicennio.
Trasferimenti monetari alle famiglie in rapporto al reddito disponibile (esclusi trasferimenti per pensioni di vecchiaia e reversibilità).
Fonte: elaborazioni degli autori su dati EU-SILC.
La reazione alla pandemia
Lo scoppio della pandemia da Covid-19 giunge quindi in un contesto caratterizzato da stagnazione dei redditi, aumento della povertà e segni di crescita dell’intervento pubblico a sostegno delle famiglie. Le misure di lockdown imposte per arginare la crisi sanitaria hanno messo a dura prova il sistema di welfare italiano e la prima e rapida risposta del governo all’emergenza economica e sanitaria (il DL 17/03/2020 n. 18, decreto Cura Italia) si è rivelata presto insufficiente a tutelare tutti coloro che hanno sperimentato un’improvvisa perdita del reddito. Questa inefficienza allocativa è stata dovuta in parte alla eccezionalità della crisi, che per la prima volta nella storia recente ha prodotto nello stesso momento e in modo repentino una perdita di reddito per milioni di famiglie. Ma in parte deriva anche dalle caratteristiche del mercato del lavoro italiano, molto frammentato e con un’ampia diffusione di forme di lavoro nero (Gallo e Raitano 2020).
A riprova della eccezionalità del momento, sono stati rimossi molti dei vincoli alla possibilità di fruire della Cassa integrazione guadagni ed è stata introdotta una misura del tutto inedita come il Reddito di emergenza (Rem), con l’obiettivo di intervenire a favore delle famiglie che per vari motivi non possono usufruire del Reddito di Cittadinanza. Rispetto a quest’ultima misura il Rem presenta infatti requisiti di accesso molto meno stringenti. Non presenta inoltre finalità di attivazione ed ha natura puramente emergenziale. Mentre il RdC è sbilanciato a favore delle regioni meridionali, anche a causa di regole uniformi sull’intero territorio nazionale, la quota di famiglie beneficiarie del Rem che risiedono nel Nord (26%) è maggiore rispetto al RdC (22% nel 2020). E’ molto superiore anche la percentuale di beneficiari di origine non italiana (circa il 22% contro il 14% per il RdC). È quindi ragionevole immaginare che questa misura abbia raggiunto non solo una parte di nuclei che hanno improvvisamente subito perdite gravi di reddito, ma anche famiglie che si trovavano già in condizioni di povertà ma non rientravano nella platea del RdC a causa delle sue regole di accesso. Sempre nell’ambito del sostegno alle famiglie e della conciliazione tra lavoro e compiti di cura, oltre al bonus baby-sitting si segnala il finanziamento del congedo parentale per i lavoratori dipendenti.
Molti studi empirici, condotti per lo più con metodi di microsimulazione – che valutano cioè l’effetto di una politica chiedendosi cosa sarebbe successo in assenza di essa – hanno mostrato l’importanza dell’intervento pubblico nel tamponare gli effetti di breve periodo del lockdown: senza queste misure emergenziali, gli effetti della pandemia sui bilanci delle famiglie sarebbero stati notevolmente più gravi. La compensazione di gran parte della perdita di reddito e degli effetti su povertà e diseguaglianza è però un effetto temporaneo, destinato a venir meno con la fine delle misure emergenziali. Se la ripresa economica post-pandemia non sarà diffusa e robusta, il semplice ritorno al passato delle misure di tax-benefit lascerà spazio a un incremento delle diseguaglianze.
Cosa rimarrà del biennio 2020-21?
L’esperienza della pandemia ha generato due tipi di effetti sulle politiche redistributive. Un primo effetto generale è lo stimolo ad un dibattito generale sull’adeguatezza dei sistemi di welfare che potrebbe lasciare qualche frutto per il futuro. Serve una rete di protezione in grado di intervenire in modo rapido e universale al verificarsi di crisi che possono cambiare il destino personale in modo improvviso. Un secondo effetto è più specifico sul caso italiano, e consiste nell’aumento della spesa sociale a favore dei redditi bassi. In questo senso la risposta alla crisi indotta dal Covid-19 si inserisce in una tendenza di lungo periodo verso un maggiore effetto redistributivo del sistema di tax-benefit italiano. La recentissima introduzione dell’Assegno unico e universale per i figli fino a 21 anni conferma questo processo, aumentando ulteriormente i trasferimenti a favore delle famiglie con reddito medio-basso.