Il ‘ceto medio’ lombardo attraverso la pandemia

Tra vulnerabilità e diseguaglianze


L’articolo è apparso anche su LombardiaSociale.it

 

La prima parte del Rapporto dell’Osservatorio OVER1 si concentra sulla condizione economica, la capacità di spesa e i profili di vulnerabilità dei cittadini lombardi nel triennio attraversato dalla pandemia. L’analisi rappresenta un output strutturale dell’Osservatorio, che verrà riproposto ogni anno, con lo scopo di creare una serie storica da seguire nel tempo, seppur con focalizzazioni ed approfondimenti ulteriori, possibili grazie alla ricchezza delle informazioni a disposizione.

La base dati è costituita dalle dichiarazioni dei redditi presentate mediante modello 730 tramite i CAF Acli della Lombardia nel triennio 2020-2022, e relative quindi agli anni d’imposta 2019, 2020 e 2021.

Si tratta di un campione decisamente significativo, pari ad un terzo dei dichiarativi 730 elaborati dai CAF ACLI in tutto il territorio nazionale e a circa il 10% di quelli complessivamente pervenuti all’Agenzia delle Entrate dal territorio lombardo in ciascuno dei tre anni.

Il 76% del suddetto campione2, corrispondente a poco meno di 300.000 contribuenti, è costituito da coloro che hanno presentato la dichiarazione dei redditi in tutti e tre gli anni di nostro interesse ed è su questo panel, degli stessi cittadini lombardi, che si è concentrata l’analisi longitudinale dei redditi e delle scelte di spesa.

Ma qual è l’identikit dei contribuenti, fedeli ai CAF Acli lombardi nel triennio 2020-2022?

Per il 93% sono persone nate in Italia, nel 52% dei casi uomini e nel restante 48% donne; quasi otto contribuenti su dieci hanno più di 45 anni, mentre gli under 30 costituiscono solo il 4% dei contribuenti analizzati. La distribuzione per età è direttamente correlata al profilo lavorativo dei contribuenti: per il 51% lavoratori dipendenti e per circa il 46% pensionati.

I soggetti che compongono il nostro panel, rappresentano una significativa porzione del ‘ceto medio’ lombardo3, caratterizzato da un reddito medio di circa 26mila euro annui, decisamente in linea con i dati del MEF relativi alla totalità dei contribuenti lombardi (25.780 € per il 2020 e 25.330 per il 2021).

Nel triennio considerato come si sono distribuiti i redditi e le spese dei contribuenti? Hanno portato ad un acuirsi delle diseguaglianze tra ricchi e poveri?

Il ceto medio lombardo, qui rappresentato, sembra non aver subito particolari scossoni nel triennio della pandemia. Formalmente più tutelato di altri target di popolazione, si caratterizza per una sostanziale stabilità, del valore medio e mediano dei redditi e delle varie voci di spesa, al di là di contenute oscillazioni.

Ma si tratta di una stabilità solo apparente e riscontrabile per lo più a livello aggregato. Le analisi della composizione del campione hanno, infatti, permesso di evidenziare, anche in Lombardia, numerose differenze nella distribuzione dei redditi, nella capacità di spesa dei contribuenti, e nel conseguente accesso ai servizi (sanitari, assistenziali, educativi, ecc.), ad indicare diseguaglianze significative ed un’elevata concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi.

Innanzitutto, più di un contribuente su 5 appartiene alla categoria dei ‘vulnerabili’ (22%) cioè di coloro che assommano a redditi piuttosto bassi (inferiori a 14mila euro annui4), anche qualche altra forma di disagio economico o sociale, quali carichi di cura importanti o età potenzialmente più ‘critiche’. Si tratta di 65.000 contribuenti del nostro panel che, se proiettati sul totale dei contribuenti lombardi, consentono di stimare 900mila persone in Lombardia con un reddito pari a meno della metà di quello del resto della popolazione (9.399 € vs 22.572 € nel 2021).

Una porzione non esigua dei cittadini lombardi risulta dunque a rischio, ed alcuni fattori più di altri determinano maggiori diseguaglianze. In particolare abbiamo rilevato:

  • diseguaglianze di genere – le donne hanno redditi significativamente più bassi dei contribuenti di sesso maschile (pari a 17.068 € nel 2021 contro i 21.589 € degli uomini) e risultano più esposte al rischio di vulnerabilità;
  • diseguaglianze generazionali – gli anziani (over 67enni) del campione analizzato presentano redditi mediani per il 44% più elevati dei contribuenti tra i 30 e i 45 anni. A questo si aggiunga che i redditi da pensione sono gli unici ad aver tenuto nell’anno del primo lockdown: tra il 2019 e il 2020 tra i pensionati si è addirittura registrato un aumento del reddito del +0,8% (contro una diminuzione del -1,6% per i lavoratori);
  • diseguaglianze tra famiglie – tra i contribuenti con figli a carico, si registra un valore mediano dei redditi molto basso, pari a circa 12.000 € contro gli oltre 21mila di coloro che non ne hanno, a conferma della maggiore esposizione al rischio povertà tra le famiglie con figli, che, come ci ricorda ISTAT, rappresentano anche la tipologia familiare con una maggiore incidenza tra i poveri assoluti, specie se numerose e con minori;
  • diseguaglianze di cittadinanza – i nati all’estero sono sicuramente più esposti allo scivolamento in situazioni di vulnerabilità, con redditi dichiarati pari a circa il 50% dei redditi dei nativi (10.878 € vs 20.122 € nel 2021) ed una minore capacità di spesa;
  • diseguaglianze geografiche – in gran parte correlati con la diversa struttura del mercato del lavoro, a Milano, e a seguire nelle province di Monza-Brianza e Lecco, si registrano i redditi più elevati. All’estremo opposto, la provincia in cui si registrano i redditi medi più bassi risulta invece Brescia. Ma le province più benestanti risultano anche le ‘più sperequate’ per distribuzione dei redditi;
  • diseguaglianze educative ­– la pandemia, come noto, ha evidenziato significative disuguaglianze nell’opportunità di accesso all’istruzione, ed anche l’analisi delle spese relative a questa voce ha confermato divari importanti tra contribuenti più e meno abbienti del panel Solo un terzo dei contribuenti con figli a carico può permettersi una spesa per istruzione non universitaria e l’incidenza dei contribuenti che dichiarano spese a copertura dell’università dei figli aumenta di ben 5 volte al crescere del reddito, così come l’importo medio della suddetta spesa;
  • diseguaglianze sanitarie – le spese sanitarie e per l’assistenza personale sono quelle maggiormente dichiarate, in media da quasi 4 contribuenti su 5. Pressoché tutte le tipologie di spese legate alla salute (dai farmaci alle visite specialistiche) crescono all’aumentare del reddito. In particolare, le spese dentistiche e per il benessere della vista, più frequentemente sostenute dai contribuenti con figli a carico, sono tipicamente utilizzate come proxy del livello di benessere (o deprivazione economica) delle famiglie: non a caso i contribuenti più ricchi del nostro panel spendono in media il 25% in più in ottico e il 20% in più per spese dentistiche rispetto al quinto più povero della popolazione. Di contro, le spese per persone con disabilità o non autosufficienza non sembrano essere influenzate dal crescere del reddito, in quanto si riscontra una sostanziale omogeneità tra fasce di reddito, sia in termini di ammontare della spesa sostenuta che di quota di contribuenti che le hanno dichiarate, peraltro molto contenuta (solo il 2% del panel). Tuttavia, sia con riferimento alle spese sanitarie viste sopra, che alle spese per la non autosufficienza, quello che fa davvero la differenza è la sostenibilità della spesa ed il suo impatto complessivo, che cresce drammaticamente al diminuire del reddito. Si pensi ad esempio alle spese per l’acquisto e/o adattamento di veicoli che, con un valore medio di oltre 15mila euro annui, arrivano ad incidere per quasi il 90% sul reddito dei contribuenti che le sostengono.

In conclusione, il quadro presentato, che sarà monitorato negli anni e complementato attraverso altre fonti e con ulteriori specifici approfondimenti, restituisce, crediamo, elementi interessanti e preziosi, oltre che per il sistema ACLI e per la ricostruzione delle caratteristiche e dei profili di fragilità della sua utenza, più in generale per i decisori pubblici, sia in termini di potenziali fattori di rischio che di conseguenti divari nell’opportunità di accesso ai servizi, e da cui partire per ripensare un welfare più inclusivo e più equamente distribuito.

  1. Il Rapporto è frutto di un lungo lavoro preparatorio e di impostazione condivisa tra ACLI Lombardia, IRS e ARS, con un Gruppo di coordinamento composto da Giuseppe Imbrogno e Antonio Lagrotteria (ACLI Lombardia APS) e Daniela Mesini e Sergio Pasquinelli (IRS e ARS). Materialmente, la stesura della prima parte è stata curata da Daniela Mesini e Giulia Assirelli, mentre Sergio Pasquinelli e Francesca Pozzoli hanno curato la seconda.
  2. L’incidenza si riferisce in particolare all’anno 2020.
  3. Non sono considerati nella base statistica gli autonomi e tutti i portatori di redditi “diversi” non compresi fra quelli dichiarabili con il modello 730, ma che potranno essere utilmente considerati in successivi approfondimenti dell’Osservatorio, a complemento della presente analisi del ‘ceto medio’.
  4. Rappresenta la soglia del primo terzile della distribuzione dei redditi.