Il momento di guardare avanti


Gianfranco Marocchi | 9 Settembre 2021

Premessa

Le politiche nei confronti del Terzo settore hanno avuto in questo trentennio cicli diversi: in alcuni momenti ispirate da un clima culturale che vede nel Terzo settore una risorsa preziosa e imprescindibile per tenuta e per lo sviluppo della nostra società e partner naturale delle amministrazioni pubbliche per realizzare interventi di finalità di interesse generale, in altri tese a considerarlo come luogo di potenziali abusi da contenere e reprimere o comunque come soggetto privato con cui interloquire nella misura in cui è fornitore di prestazioni vantaggiose.

Nei cicli positivi si assiste alla promulgazione di legislazione promozionale specifica per il Terzo settore, ma anche alla proliferazione di riferimenti al valore del terzo settore in documenti diversi quali norme relative ad altri settori, documenti di programmazione, ecc. Nei cicli negativi al contrario si sviluppa un’enfasi sul controllo e si tende a limitare le normative ispirate alle peculiarità del Terzo settore omologandolo ai soggetti di mercato e semmai sottoponendolo a vincoli ulteriori; questo non impedisce necessariamente al Terzo settore di svilupparsi economicamente, ma influisce sulla sua possibilità di essere motore di cambiamento sociale.

Questo contributo si propone di leggere i cicli politici nei confronti del Terzo settore, frutto delle spinte sopra descritte, incrociandoli con i cicli politici del welfare: anch’esso ha conosciuto fasi espansive – ad esempio l’onda lunga che dagli anni ottanta novanta, caratterizzati da un graduale aumento delle risorse e dell’evoluzione del sistema dei servizi, ha portato all’approvazione della legge 328/2000 – e cicli di riflusso, come quello che dal 2008 al 2011 ha portato all’azzeramento dei fondi nazionali e nuovi momenti di ripresa come quello attuale.

Leggere insieme il ciclo politico del welfare e quello del terzo settore, non necessariamente tra loro coincidenti – anzi, la coincidenza di fasi positive è di per sé non più probabile che combinazioni diverse –  è un’operazione utile alla comprensione dei fatti, se si pensa che probabilmente il welfare come oggi lo conosciamo è nato proprio grazie ad uno dei casi di coincidenza tra la fase politica positiva del welfare e del Terzo settore: quella che ha favorito, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta, l’affermazione di nuovi diritti e di paradigmi di intervento non più segreganti ma inclusivi.

Ma, dopo questo momento fondativo, come si sono combinati i cicli politici del welfare e del Terzo settore?

 

Fase 1 – Ciclo positivo per il welfare, negativo per il terzo settore

Vi sono stati momenti in cui il ciclo positivo delle politiche del welfare si è accompagnato ad un limitato riconoscimento delle specificità del ruolo del Terzo settore. Questo è quanto avvenuto nel decennio che va dalla seconda parte degli anni Novanta al 2008, in cui si assiste ad un’espansione del welfare sociale, all’approvazione della 328/2000, alla nascita dei primi fondi nazionali in tema di politiche sociali; ma anche ad una prima assolutizzazione dell’ideologia della competizione a livello nazionale ed europeo che – tralasciando il potenziale delle leggi del 1991, la 266 e la 381 – portò ad una considerazione quasi esclusiva del Terzo settore come fornitore della pubblica amministrazione. L’esito di queste dinamiche è stato di due tipi: da un punto di vista economico, l’aumento di risorse per il welfare e l’espansione degli interventi in questo campo ha trainato una significativa crescita delle dimensioni del Terzo settore; da un punto di vista del ruolo politico, il Terzo settore tendeva ad essere considerato, almeno formalmente, un mero soggetto di mercato, in qualche modo interscambiabile sulla base della convenienza economica. La “politica” è quella della pubblica amministrazione, che individua poi sul mercato l’ente di Terzo settore che meglio può fornire il servizio richiesto. La capacità di innovazione e di cambiamento del Terzo setto settore è stata spesso assorbita dalle derive burocratiche e tecnocratiche del sistema dei servizi di welfare.

 

Fase 2 – Ciclo negativo per il welfare, positivo per il Terzo settore

Vi sono stati momenti in cui l’attenzione politica al terzo settore si è accompagnata, al contrario, con un ciclo negativo delle politiche di welfare. I peggiori anni nella storia recente del nostro welfare sono senza dubbio quelli corrispondenti ai governi Berlusconi IV (2008 – 2011) e Monti (2011 – 2012): azzeramento dei fondi nazionali che finanziano le politiche sociali e, nel primo dei due, clima culturale orientato a considerare il welfare come spreco da limitare in quanto luogo di possibili abusi da parte di cittadini che opportunisticamente simulano dei bisogni per trarne indebiti vantaggi (sono gli anni della virulenta polemica sui “falsi invalidi”, ad esempio). Sono anni in cui il Governo, nella sua “Analisi della spesa sociale” del 2009, parla del welfare locale come di “un’ampia area residuale che fa riferimento al tema della povertà oppure ad alcune categorie ben identificate e circoscritte (immigrati, tossicodipendenti, vittime di usura ed altri)” che consiste in “prestazioni, … erogate in sede locale, che si traducono raramente nel riconoscimento di entitlement veri e propri, e rimangono legate a dimensioni di finanziamento che hanno natura molto erratica” (per completezza, il finanziamento locale era in quegli stessi anni forzatamente diminuito dal Governo stesso che tagliava in modo consistente i fondi per comuni e regioni). Mentre il welfare, per dirla con le parole di Cristiano Gori, si faceva sempre più prestazionale ed emergenziale, in quello stesso clima culturale vi era una significativa attenzione al Terzo settore: il libro bianco dell’allora ministro Sacconi (anno 2009) lo definiva come “punto di forza del welfare italiano” dalle “enormi e in parte non ancora esplorate potenzialità” e si riferiva al “ruolo strategico del mondo cooperativo, sintesi tra sviluppo imprenditoriale, economico e sociale”. Si trattava dell’adattamento al nostro Paese delle dottrine della big society che il premier inglese Cameron pose poi alla base del suo manifesto elettorale del 2010. In quegli anni in Italia si stabilizzavano e prendevano forza provvedimenti (il 5×1000, il dispositivo fiscale +dai-versi) che, seppure sperimentati qualche anno prima, venivano rafforzati coerentemente con l’idea di un welfare caritatevole (nel citato Libro bianco del 2009, la radice “carità” appariva citata più volte con la massima enfasi positiva); in Europa montava la (ambigua) enfasi sulla “innovazione sociale” che portava con sé un’inedita attenzione per i soggetti di Terzo settore (si iniziò a parlarne nel 2009 in un’Europa alla ricerca di risposte alla crisi economica, per arrivare tre anni dopo, nel 2011, all’approvazione della Social Business Initiative da parte della Commissione europea). In questi contesti, ciclo “basso” per il welfare, ciclo “alto” del Terzo settore, quest’ultimo viene gratificato da formali attribuzioni di ruolo, dall’essere indicato come ancora di salvezza in circostanze difficili, insomma dal vedersi riconosciuto il ruolo che nella fase precedente veniva negato. È forte in queste circostanze, per il Terzo settore, la tentazione di far prevalere questi aspetti di riconoscimento, permeandosi esso stesso dell’ideologia che lega l’espansione del Terzo settore al ridimensionamento delle risposte istituzionali. La realtà è invece un’altra: la gratificazione politica rimane formale, il welfare in ritirata genera competizione ancora più accesa all’interno del Terzo settore che, ben lontano dal diventare il fulcro del benessere del Paese, si ritrova impegnato in lotte fratricide al ribasso che hanno come premio, per il vincitore, una stentata sopravvivenza, mentre le persone per cui il Terzo settore si spende vedono erosi ogni giorno i propri diritti.

 

Fase 3 – Di nuovo alta per il welfare, bassa per il Terzo settore

A questa fase è seguita una nuova fase simile alla prima. Vi è una progressiva ripresa nel ciclo del welfare, sia da un punto di vista economico, sia dal punto di vista politico culturale: accanto alla nuova dotazione dei fondi nazionali, parte a metà degli anni Dieci il processo che porterà nel 2017 ai maggiori nuovi stanziamenti per le politiche sociali di questi decenni, con l’introduzione delle misure di contrasto alla povertà, ambito sino a quel momento trascurato dal nostro sistema di protezione sociale. Vi è al tempo stesso la massima enfasi dell’ideologia che vede acriticamente nella competizione di mercato l’unico elemento di garanzia per il benessere dei cittadini; sono gli anni dello strapotere ANAC che, anche sull’onda del clima culturale creatosi a seguito degli scandali di mafia capitale, realizza una stretta senza precedenti per ricondurre anche il welfare entro i criteri di mercato e il Terzo settore nell’alveo dei competitor fornitori delle pubbliche amministrazioni. Ma è al tempo stesso il contesto in cui, con il processo ancora oggi in via di compimento della Riforma del Terzo settore, inizia un ciclo diverso.

 

Fase 4 – Ora

Arriviamo ai giorni nostri. Non vi è spazio per ricostruire la lunga e dura contesa tra una concezione del Terzo settore come soggetto di mercato fornitore di servizi e quella di soggetto di interesse generale che contribuisce al benessere della comunità (si rimanda in merito a questo articolo). Quello che è importante affermare è che oggi ci si trova in un contesto non frequente – non più visto dopo l’inizio degli anni Novanta – di ciclo politico positivo sia per il Terzo settore, sia per il welfare, come aveva giustamente intuito in un articolo su Welforum Ugo De Ambrogio. Rispetto al Welfare, come ben indicato dal Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021 – 2023, vi sono, a vent’anni dalla 328/2000, le condizioni per una seria programmazione, che metta mano in modo significativo ad uno dei grandi nodi irrisolti del nostro sistema di protezione sociale, l’assenza di Livelli Essenziali delle Prestazioni, pur costituzionalmente previsti. Anche il rafforzamento del sistema dei servizi ha visto una svolta importante, trainata dalle politiche di contrasto alla povertà (il Piano documenta, tra le altre cose, un consistente aumento delle risorse impegnate nel servizio sociale professionale) e i fondi per il welfare hanno invertito in modo deciso il ciclo negativo della fase 2008 – 2012, con un raddoppio documentato dal Piano rispetto a tale periodo, oltre che con le consistenti risorse aggiuntive destinate al contrasto alla povertà. Sul fronte del Terzo settore, vi sono importanti segni di superamento della concezione strumentale connessa all’ideologia della competizione di mercato: oltre alla definitiva legittimazione sul fronte giuridico degli istituti della coprogrammazione e della coprogettazione grazie alla sentenza 131/2020 della Corte costituzionale (qui il commento su Welforum), alle modifiche del Codice dei contratti pubblici (vedi questo articolo su Welforum) e alle Linee guida sui rapporti tra enti pubblici e Terzo settore (vedi questo articolo e questo su Welforum), la percezione del Terzo settore come soggetto che, al pari e a fianco delle pubbliche amministrazioni costruisce l’interesse generale travasa in una pluralità di contesti normativi diversi: dalla legislazione dell’emergenza Covid (il peraltro sfortunato art. 48 del Cura Italia) al PNRR, dalle tante pratiche di enti locali ad appunto il citato Piano nazionale, è ormai consolidato nella nostra cultura giuridica e nella prassi amministrativa il fare riferimento alla coprogrammazione e alla coprogettazione e quindi pensare al Terzo settore come partner delle pubbliche amministrazioni chiamato a co-costruire l’interesse generale.

 

Guardando avanti

Dunque, dopo molto tempo i “cicli politici alti” del welfare e del Terzo settore coincidono, con esiti positivi che le migliori pratiche locali già stanno documentando. Risorse per il welfare forse contenute rispetto ad altri paesi europei, ma non più annualmente ridimensionate e nuove sinergie tra gli attori del territorio possono portare a una fase potenzialmente molto feconda. Tutto ciò se gli attori in campo sono consapevoli di questa opportunità e la sfruttano per dare vita in modo sinergico ad una fase di innovazione che può essere altrettanto produttiva rispetto alla precedente fase di coincidenza dei cicli positivi di welfare e Terzo settore, dalla fine degli anni Settanta ai primi anni Novanta, in cui è stato costruito il welfare così come lo conosciamo.

Tutto ciò se si saprà mettere a frutto questa circostanza positiva con la giusta dose di creatività e immaginazione, che significa anche: tenendo a bada le involuzioni tecnicistiche e burocratiche che deprimono la capacità di uscire dagli schemi, dato che la costruzione del “nuovo” non si fa solo dotando il “vecchio” di un budget un po’ superiore. Una nuova fase virtuosa richiede infine la capacità di affrontare in modo non distruttivo le immancabili sfide e difficoltà che si incontrano durante il percorso: si è scritto su Welforum di come l’amministrazione condivisa non sia priva di fatiche (vedi questo articolo e questo) e sul fronte del Welfare non è un caso che il dibattito politico di questi giorni veda iniziative volte a minare (non a migliorare e correggere, ma a rimuovere!) le misure di contrasto alla povertà considerate inefficaci e costose. Di fronte alla difficoltà, la tentazione di una semplificazione che guarda al passato è sempre presente e vi possono essere, anche nel terzo settore, soggetti in qualche modo sedotti dalla possibilità di recuperare spazi economici e di potere connessi a scenari precedenti. Speriamo di avere invece la capacità di guardare avanti.