Riforma degli ambiti territoriali sociali e coinvolgimento dei soggetti privati

Breve commento del ddl della Regione Veneto del 18 aprile 2023.


Alceste Santuari | 16 Giugno 2023

Nel sistema di welfare italiano si è assistito ad una progressiva integrazione tra il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e il sistema dei servizi e degli interventi socioassistenziali, che ha, nel corso dei decenni, contribuito a delineare un settore specifico di interventi e di azioni, individuabile quale comparto dell’integrazione socio-sanitaria.

Come è noto, a seguito dell’approvazione della legge costituzionale n. 3/2001, alle Regioni è stata assegnata la competenza esclusiva in materia di servizi sociali e concorrente in materia di sanità. Ne è conseguito, tra l’altro, che le Regioni hanno definito propri assetti istituzionali, organizzativi e gestionali attraverso cui garantire i livelli essenziali delle prestazioni e di assistenza.

Nell’ambito delle proprie competenze, la Giunta Regionale del Veneto ha approvato un disegno di legge recante “Assetto organizzativo e pianificatorio degli interventi e servizi sociali” (progetto di legge n. 200 del 18 aprile 2023). Obiettivo della proposta di legge è quello di attivare gli Ambiti Territoriali Sociali, già previsti nell’art. 8 della legge n. 328/2000, quale “luogo” ideale e funzione alla programmazione, regolazione, organizzazione e gestione dei servizi e degli interventi sociali e, quindi, quale perimetro territoriale e istituzionale per garantire i livelli essenziali delle prestazioni. In questo senso, la relazione al progetto di legge in argomento prevede “la necessità nella Regione del Veneto di dotare i Comuni, titolari della funzione socioassistenziale, di una struttura sovracomunale forte in grado di affrontare e gestire le nuove sfide, promuovendo una visione condivisa e omogenea nell’adozione di strategie di prevenzione, promozione e sviluppo di un dato territorio, in dialogo con tutti gli attori che operano nella comunità”.

Gli ATS, costituiti dai Comuni che partecipano al Comitato dei Sindaci di distretto delle aziende sanitarie locali, vengono considerati anche quali strumenti giuridici di matrice pubblicistica per favorire l’integrazione socio-sanitaria, che richiede l’avvio di “nuove strategie sul piano istituzionale, professionale e gestionale”.

Gli ATS possono adottare, in via preferenziale, le forme giuridiche di diritto pubblico previste dal TUEL e, in particolare, i consorzi e le aziende speciali.

Il disegno di legge individua le competenze e le funzioni di ciascun ente territoriale, affidando, in quest’ottica, alla Regione le funzioni di pianificazione, programmazione, indirizzo e orientamento, vigilanza e controllo, monitoraggio e valutazione, nonché di coordinamento. Ai Comuni, spettano le funzioni, da esercitarsi in forma associata, di pianificazione, programmazione, progettazione, gestione e valutazione del sistema locale dei servizi sociali. Alle Aziende ULSS, infine, spetta garantire l’integrazione socio-sanitaria e la gestione unitaria dei servizi, concorrendo, attraverso atti di intesa con gli ATS, all’attuazione dei Leps e alla programmazione degli interventi nell’ambito dei piani di zona. Nel nuovo disegno ordinamentale contemplato nella proposta elaborata dalla Giunta regionale, l’integrazione sociosanitaria appare quale “percorso” da costruire congiuntamente tra comuni e aziende sanitarie locali, atteso che in precedenza l’integrazione era per lo più identificata nella delega che i primi assegnavano alle seconde. Gli ATS, dunque, assurgono quali sistemi di governo locale del welfare sociale e socio-sanitario, per la regolazione dei quali alle Regioni è riconosciuta un’ampia autonomia in ordine alla loro organizzazione e gestione.

Accanto alle funzioni attribuite agli enti pubblici, il disegno di legge specifica che al sistema locale di servizi e degli interventi sociali partecipano gli enti del terzo settore, le società benefit e le imprese for profit socialmente responsabili: “… è promossa la partecipazione degli enti pubblici, degli ETS, delle comunità, del privato sociale, delle parti sociali, delle società benefit e delle imprese for profit socialmente responsabili o che si sono dotate di sistemi di welfare aziendale o partecipino attivamente al welfare territoriale, alla pianificazione, gestione e offerta di interventi e servizi” (art. 7). Si tratta di una previsione indubbiamente innovativa, considerando che agli enti del terzo settore, organizzazioni valorizzate in ragione del principio di sussidiarietà orizzontale, si aggiungono anche forme societarie lucrative. Si tratta di un unicum nel panorama delle leggi regionali in materia di terzo settore e amministrazione condivisa (Toscana, Molise, Umbria, Emilia-Romagna), le quali, invero, si limitano a riconoscere agli enti locali la possibilità di invitare anche soggetti non lucrativi diversi dagli ETS.

Se, da un lato, è comprensibile l’intenzione del legislatore regionale veneto di allargare la platea dei soggetti che possono contribuire, in ragione della loro vocazione alla responsabilità sociale di impresa, alla costruzione dei sistemi locali di welfare, dall’altro, è innegabile che la presenza di soggetti imprenditoriali lucrativi, accanto alle organizzazioni non profit, apre scenari inediti, che impongono qualche riflessione, in specie in ordine alle procedure relative al loro ingaggio.

Per quanto attiene agli Enti del terzo settore, è noto che essi, ai sensi del Codice del Terzo settore, svolgono specifiche attività di interesse generale e, pertanto, sono attivamente coinvolti nei processi di co-programmazione, co-progettazione, accreditamento e convenzionamento con le pubbliche amministrazioni. In quest’ottica, dunque, agli ETS l’ordinamento giuridico ha inteso riconoscere e “riservare” un perimetro del tutto autonomo e originale di collaborazione con gli enti pubblici nel perseguimento di finalità di interesse collettivo.

In questa cornice normativa, in virtù del principio di sussidiarietà, agli enti pubblici spetta coordinare, monitorare, valutare e sostenere gli interventi, i progetti e le attività realizzati dagli ETS e anche dalle altre organizzazioni non profit. Queste ultime sono chiamate a concepirsi sempre più come partners e non come controparti delle pubbliche amministrazioni, impegnate soprattutto a progettare soluzioni a forte contenuto innovativo, capaci di rispondere alle diverse e nuove istanze provenienti dalla società civile. Il principio di sussidiarietà, nelle sue dimensioni verticale e orizzontale, si colloca pertanto quale imprescindibile elemento di politica legislativa ai diversi livelli istituzionali per una riformulazione appropriata del sistema di welfare sociosanitario, specie quale paradigma giuridico capace di regolare i rapporti tra enti pubblici territoriali ed organizzazioni non profit in una dimensione diversa rispetto a quella proconcorrenziale.

Si tratta di una “dicotomia” ribadita con chiarezza dalla nota sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, che proprio sul legame necessario tra ETS e istituti giuridici cooperativi ha incentrato la propria interpretazione di una previsione contenuta in una normativa della Regione Umbria. In altri termini, la sentenza in parola ha confermato l’impianto delineato dalla Riforma del Terzo settore: in ragione delle loro peculiari caratteristiche organizzative, finalità perseguite, attività di interesse generale svolte e dei loro adempimenti formali, gli ETS sono individuati dal Codice del Terzo settore quali partners naturali delle pubbliche amministrazioni.

In questo contesto, ora si tratta di comprendere quale spazio possano avere le forme imprenditoriali, che, ancorché caratterizzate da una vocazione sociale e di responsabilità di impresa, non appartengono alla nozione di ETS. Certamente, esse non potranno essere coinvolte dagli enti pubblici territoriali e dalle ASL attraverso le procedure di cui agli artt. 55 e 56 del Codice del Terzo settore. Muovendo dalla loro natura giuridica di soggetti privati che perseguono un lucro, quali potrebbero essere i “canali di collaborazione” attivabili affinché essi possano contribuire alla realizzazione del sistema locale di welfare, così come delineato dal disegno di legge della Giunta Regionale del Veneto? Come è noto, gli operatori economici sono, in larga parte, “ingaggiati” dagli enti pubblici attraverso le procedure ad evidenza pubblica di natura competitiva/concorrenziale. Ne consegue che nell’ambito del sistema locale di welfare, dovranno essere individuati i servizi e le prestazioni oggetto di affidamento competitivo. Per vero, i medesimi operatori economici possono collaborare all’organizzazione dei sistemi di welfare territoriale a mezzo di finanziamenti/erogazioni liberali a favore dei progetti realizzati dagli ETS e dagli enti pubblici. A ciò si aggiunga la possibilità che le società lucrative a vocazione sociale / responsabilità di impresa attivino forme di accordi a rete con le imprese sociali impegnate in percorsi e processi di inserimento lavorativo di persone con disabilità e/o svantaggiate. In linea teorica, inoltre, gli operatori economici costituiti sotto forma di imprese lucrative potrebbero assumere la qualifica di soci nell’ambito di società a partecipazione mista pubblico-privata, qualora questa fosse una formula individuata dagli enti pubblici per assicurare talune prestazioni o servizi nel comparto socio-sanitario.

Anche a prescindere dalle “effettive” formule di ingaggio delle società lucrative a vocazione sociale, occorre segnalare che la previsione contenuta nel disegno di legge in argomento risulta particolarmente interessante per gli scenari che potranno aprirsi rispetto a quanto siamo abituati a conoscere. In particolare, si ritiene che la combinazione tra soggetti lucrativi a vocazione sociale ed ETS potrebbe contribuire ad irrobustire l’offerta complessiva di soluzioni, percorsi, progetti ed interventi nel comparto dei servizi e delle prestazioni socio-sanitarie. Res sic stantibus, tuttavia, rimane un punto fermo: le pubbliche amministrazioni non potranno non ricorrere alle procedure stabilite dal d. lgs. n. 117/2017 quando intendano coinvolgere attivamente gli ETS.

È verosimile ipotizzare un più ampio coinvolgimento dei soggetti lucrativi nell’ambito dei processi di co-programmazione, finalizzati ad identificare i bisogni e le risorse da mettere in campo. La specifica procedura, come ribadito nelle linee guida n. 72/2021, non costituisce una modalità di affidamento di servizi e, in quanto tale, può essere il luogo ideale in cui favorire la collaborazione tra diversi soggetti giuridici, pubblici, privati for profit e non lucrativi per la realizzazione di finalità condivise a livello territoriale. A patto che le diverse procedure rimangano a presidio degli “universi paralleli”, rappresentati, rispettivamente dal principio di sussidiarietà e dai rapporti sinallagmatici, così come peraltro confermato dall’art. 6 del Codice dei contratti pubblici:

1. In attuazione dei principi di solidarietà sociale e di sussidiarietà orizzontale, la pubblica amministrazione può apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, modelli organizzativi di amministrazione condivisa, privi di rapporti sinallagmatici, fondati sulla condivisione della funzione amministrativa gli enti del Terzo settore di cui al codice del Terzo settore di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, sempre che gli stessi i contribuiscano al perseguimento delle finalità sociali in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente e in base al principio del risultato. Non rientrano nel campo di applicazione del presente codice gli istituti disciplinati dal Titolo VII del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo n. 117 del 2017.

In questo senso, i regolamenti di cui si sono dotati e si stanno dotando molti enti pubblici territoriali e aziende sanitarie per disciplinare i rapporti giuridici con gli ETS potrebbero essere integrati per contemplare le modalità, le formule e le condizioni in base alle quali le imprese lucrative a vocazione sociale possono partecipare, collaborare, integrare e finanziare i progetti elaborati e gestiti nella cornice dei rapporti giuridici collaborativi.