Dalla competizione alla collaborazione: dalla teoria alla pratica


Claudia Fiaschi | 29 Novembre 2018

La necessità di ancorare l’approccio della coprogettazione al dettato costituzionale, già evidenziata da Scalvini, è un tema che per il Forum nazionale del Terzo Settore è stato al centro dell’interlocuzione con il governo per la costruzione del nuovo Codice del Terzo settore. L’art. 55 riconosce il valore del Terzo settore per quello che è il suo apporto caratteristico: l’iniziativa volontaria e organizzata dei cittadini nella costruzione di progresso sociale nelle proprie comunità.

Diversamente dalla storia della regolazione del rapporto pubblico-privato che nasce negli anni Ottanta per gestire processi di esternalizzazione, il ruolo dell’iniziativa civica organizzata ha una storia secolare. Moltissime esperienze di questo tipo, nel corso degli anni, hanno saputo cogliere alcune priorità sociali e sperimentare soluzioni efficaci attraverso un sano dialogo, collaborativo, con chi esercitava la funzione pubblica ed hanno trasformato testimonianze d’impegno rispetto ad alcune priorità in architetture sociali e in politiche per l’integrazione, generando processi di innovazione sia delle pratiche che della politica.

Il dialogo tra i cittadini liberamente organizzati e le istituzioni, al di là delle differenti caratterizzazioni che questo fenomeno ha assunto nel tempo, non si è mai fermato. Oggi la capacità di creare nuove soluzioni sociali d’impresa mobilitando la comunità è molto preziosa, non solo perché consente un risparmio nei costi e nei tempi, ma anche e soprattutto per le conseguenze positive che questa buona pratica si porta dietro: un maggiore impatto sociale, la riduzione dei costi a fronte di maggiore welfare e la promozione dei legami tra le persone.

 

Sicuramente c’è bisogno di dar vita a processi di creatività sociale e di valorizzazione dell’apporto dei diversi attori. Oggi la coprogettazione ricopre un ruolo centrale proprio perché c’è bisogno di nuove soluzioni sociali; quelle vecchie non sono infatti in grado di assicurare un accesso universalistico ad alcune dimensioni legati ad aspetti di qualità della vita. Dobbiamo essere in grado di coniugare alla ricerca di un nuovo universalismo la qualità, la sostenibilità economica e la capacità di ridurre le disuguaglianze nell’accesso ai beni fondamentali. Le innovazioni di cui abbiamo bisogno devono essere non solo di prodotto, ma anche di processo. Se guardiamo alle strategie per garantire l’accesso ai beni, accanto alle soluzioni generative nell’uso delle risorse pubbliche che derivano dalla fiscalità ordinaria, troviamo anche quelle relative alla fiscalità volontaria del 5 per mille, alla capacità di mobilitare in modo intelligente gli apporti donativi di persone e imprese, alla responsabilità sociale delle imprese e al tema del welfare aziendale obbligatorio e volontario. Il campo su cui poter generare processi creativi di innovazione sociale, da parte di soggetti non solo pubblici ma anche privati, è quindi molto ampio.

 

Innovare le strategie è dunque necessario: la creatività ci chiede a volte di utilizzare processi noti, in maniera nuova. Questo genera maggiori conseguenze positive e – anche a parità di costo – una maggiore capacità di impatto sociale per la comunità. Questo approccio rivoluziona il modo di intendere l’interesse pubblico e degli strumenti da mettere a suo servizio.

Un’altra innovazione è quella delle alleanze: da una indagine che abbiamo condotto tra gli 87 soci adenti al Forum del Terzo Settore è emerso che buona parte dei progetti innovativi scelgono strategie di partnership, non solo all’interno del proprio mondo o con le imprese del territorio o le amministrazione pubbliche, ma anche partnership di tipo circolare, volte ad aggregare i soggetti attorno ad obiettivi comuni per generare efficacia di impatto sulle soluzioni sociali ritenute utili, prioritarie ed urgenti per quella comunità.

In questo quadro la competizione non diventa un disvalore perché, se da un lato la coprogettazione valorizza la capacità di generare innovazione sociale, dall’altro le procedure competitive, selezionando le buone idee, riescono a dare loro “gambe” più velocemente e su una scala più lunga, generando un cambiamento sociale maggiormente diffuso. Il valore che deve essere preservato deve essere in primis il valore aggiunto per il cittadino, quali che siano le forme – competitive e collaborative – grazie a cui si realizza.

 

Su questo aspetto la riforma del Terzo settore da un apporto rilevante anche perché riforma l’impresa sociale consentendo per la prima volta in Italia di avere un’impresa cui si associano l’amministrazione pubblica, le imprese profit e non profit, e a tutto il mondo del terzo settore nelle sue diverse forme.

Credo quindi che la coprogettazione possa diventare uno strumento dell’architettura comunitaria per una governance condivisa dei processi di generazione dei beni comuni fondamentali, superando così il modello del rapporto pubblico-privato, che si basava essenzialmente sul “bandificio” degli enti pubblici a cui rispondeva il “progettificio” dei soggetti del terzo settore, e andando verso una piena sussidiarietà circolare, che riconosca a ciascuno degli attori un apporto coerente con la propria identità, missione e responsabilità. Gli esempi in tal senso non mancano, tanto meno all’interno della nostra esperienza come Forum. L’importanza di costruire insieme una cultura condivisa è un tema dal quale vorremmo partire per generare un lavoro comune attraverso spazi di formazione e di riflessione con le pubbliche amministrazioni. Si tratta di una strada per iniziare a costruire insieme questo tipo di cultura e visone, in quanto il tema della governance condivisa richiede la maturità e la consapevolezza intenzionale degli attori che dovranno poi portarla avanti ed esercitarla.