Integrazione e sviluppo dei servizi sociosanitari


Emanuele Ranci Ortigosa | 22 Ottobre 2020

Il Punto estivo di Welforum, Un nuovo paradigma per i servizi sanitari, era centrato sull’affermazione che la pandemia può rivelarsi un’occasione per ripensare lo stesso paradigma delle politiche sanitarie.

 

Come avevamo preannunciato, presentiamo ora la successiva raccolta su Integrazione e sviluppo dei servizi sociosanitari, che riprende la stessa impostazione trattando delle politiche e degli interventi sociosanitari, di cui occorre rivedere e riequilibrare l’impostazione e organizzazione per renderli più efficienti, più efficaci e più equi attraverso la costruzione di forti reti territoriali integrate.

 

Il tema dell’integrazione è datato ma purtroppo tutt’altro che adeguatamente considerato e ancor meno risolto. L’attuale situazione lo ripropone ancora una volta con forza, come approccio e gestione di limiti e problemi assistenziali altrimenti irrisolvibili. Esso viene affrontato nei primi tre articoli di questo nuovo Punto di Welforum.it

“Non è più il momento di “appelli” e dichiarazioni, ma di provvedimenti legislativi e dispositivi con ricadute operative, e capaci di ampio respiro e disegni strategici”. Così Maurizio Motta che nel suo articolo propone una serie di temi da includere in una agenda di riordino dei servizi sociali e sociosanitari territoriali, alla luce di ciò che si è imparato nella pandemia. Temi di cui evidenzia le criticità per formulare poi specifiche proposte di cambiamento e potenziamento delle politiche e dei servizi, per gestire esigenze e problemi in modo più adeguato ed efficace, a vantaggio di un’utenza per lo più debole e molto esposta.

 

Nell’articolo che segue Alceste Santuari tratta i nodi giuridici e istituzionali dell’integrazione sociosanitaria che interessa e coinvolge sempre più soggetti, pubblici e del terzo settore. L’assetto istituzionale e i modelli organizzativi che definiscono il sistema di welfare, afferma Santuari “incidono profondamente sulle dinamiche di gestione ed erogazione delle prestazioni e dei servizi socio-sanitari, sull’effettività delle tutele sociali”. E sono anche all’origine delle diseguaglianze territoriali e sociali, che anche la reazione alla pandemia Covid-19 ha messo in evidenza. La regolamentazione pubblica deve assicurare l’equità nella distribuzione delle risorse a disposizione e la definizione di assetti regolatori e programmatori funzionali a garantire la fruizione dei livelli essenziali delle prestazioni.

Con le forti affermazioni di Gianmario Gazzi, presidente del Cnoas, si conclude questa prima parte del Punto di Welforum: “Qualcuno mi deve dire come faccio a fare integrazione sociosanitaria se da una parte, nella sanità, ci sono i livelli essenziali e dall’altra non mancano soltanto i livelli, ma anche i diritti essenziali. È arrivato il momento di dare attuazione a una vera integrazione e capire chi fa che cosa”.

 

La seconda parte di questo Punto di Welforum tratta di componenti importanti della costruzione di un welfare territoriale integrato, fondato sui livelli essenziali, con specifici articoli sull’esigenza di un vero e proprio Patto per il sociale Caiolfa, sulla coprogrammazione De Ambrogio, sui partenariati pubblico-privati Santuari.

 

Caiolfa focalizza il suo intervento sul coordinamento e l’integrazione fra i diversi livelli di governo delle politiche e degli interventi sociali, oggi estremamente dispersi e frammentati. Un passaggio necessario per dare identità ad un campo sociale in grado di confrontarsi con le altre componenti del welfare. “È forse possibile”, scrive, “pensare alla costruzione di uno strumento simile al Patto per la salute, al netto del differente assetto delle competenze dei vari livelli amministrativi nelle materie socioassistenziali. Un Patto per il sociale e i diritti di cittadinanza che ovviamente non potrebbe limitarsi a generare una semplice intesa dai contenuti generici, ma andrebbe a costituire un atto amministrativo complesso in grado di ordinare e coordinare le principali misure di livello nazionale come avviene in campo sanitario. (…) All’interno di un quadro completo e coerente diventa possibile sviluppare con maggiore efficacia le scelte e le priorità generali, le misure specifiche da attuare, la dotazione delle risorse, i meccanismi operativi; per poi tentare di porre nella prospettiva costituzionale dei Livelli Essenziali delle Prestazioni anche le altre misure nazionali attive”.

 

De Ambrogio allarga la riflessione al di la del campo socioassistenziale richiamando e commentando due fatti che innovano il quadro normativo. Il primo: “un emendamento al Decreto Rilancio (…) introduce il principio che i servizi sociali, socio assistenziali e sociosanitari per le persone con disabilità e per chi è in difficoltà sono servizi pubblici essenziali, volti ad assicurare diritti costituzionalmente tutelati. I servizi previsti all’articolo 22, comma 4, della legge 8 novembre 2000, n. 328, sono da considerarsi servizi pubblici essenziali, anche se svolti in regime di concessione, accreditamento o mediante convenzione, in quanto volti a garantire il godimento di diritti della persona costituzionalmente tutelati (…). Le regioni e le province autonome (…) definiscono le modalità per garantire l’accesso e la continuità dei servizi sociali, socio assistenziali e socio sanitari essenziali di cui al presente comma anche in situazione di emergenza, sulla base del progetto personalizzato”. A sua volta una sentenza innovativa della Corte Costituzionale, determina il fatto che “Terzo settore e Pubblico sono da considerarsi partner che, insieme per perseguire il valore della solidarietà sociale, concorrono con pari dignità e valore, alla costruzione delle politiche sociali pubbliche”. Si apre così uno spazio nuovo per percorsi di coprogrammazione e coprogettazione che mirino allo sviluppo e all’integrazione dei servizi territoriali.

 

Santuari offre nel suo scritto chiarimenti e riflessioni relative ai partenariati pubblico-privati, in sigla PPPs, e scrive in merito: ”Nello specifico dei servizi sociosanitari, nell’ambito del sistema di welfare italiano, in cui alle istituzioni statali, in collaborazione con quelle regionali e locali, è affidato il compito di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni sociali e civili, le PPPs – soprattutto a livello territoriale – possono contribuire in modo originale e innovativo a garantire quei livelli”. E sottolinea, toccando un tema dibattuto: “Nelle PPPs ciò che rileva è la finalità (di interesse pubblico) cui esse sono preposte e alla quale esse devono essere assoggettate. Agli enti pubblici che decidono di stabilire partnerships durature, siano esse contrattuali ovvero istituzionalizzate con soggetti privati, è richiesta una capacità di supervisione, di vigilanza e di valutazione dei risultati (anche in forma congiunta con il soggetto partner) e, quindi, un elevato grado di coinvolgimento e di assunzione di responsabilità, che sono all’opposto di qualsiasi forma di abdicazione di funzioni o di doveri pubblici”.

 

Nella terza parte di questa raccolta, l’articolo di Novelli, Totis, Bruno, Beraldo e Ferri evidenzia una delle situazioni di bisogno, la condizione doppiamente esposta degli anziani nella pandemia e la debolezza nel sostegno dei servizi territoriali: “gli effetti del virus hanno colpito in grande maggioranza la popolazione anziana, gli effetti delle misure di contrasto al virus portano con sé altrettanta capacità di colpire nuovamente la popolazione anziana. La pandemia ha certo trovato impreparati tutti ma la debolezza e la fragilità dimostrata dai servizi territoriali pone molti interrogativi e richiede risposte immediate”.

 

I due ultimi articoli sono dedicati appunto alla riqualificazione e sviluppo dell’assistenza domiciliare, tema cruciale per lo sviluppo dei servizi sociosanitari territoriali. Sottolineano entrambi la separazione degli interventi, il mancato coordinamento, la loro inadeguatezza rispetto ai bisogni quotidiani di vita di non autosufficienti e disabili. Scrive Pasquinelli: “Ciò di cui c’è bisogno è un ventaglio ampio di supporti perché i bisogni cruciali delle persone fragili non sono solo sanitari, infermieristici, riabilitativi, ma riguardano sostegni e tutele sociali, legate agli atti della vita quotidiana”. Continua Motta: “L’assistenza a casa dei non autosufficienti si concretizza in tre tipi di risposta spesso non coordinati: il lavoro di cura dei familiari (che tuttavia chiedono servizi che li sostengano), il mercato delle badanti (quasi tutto con spesa privata delle famiglie), i servizi pubblici (nella forma di ADI e/o SAD). Ma è proprio questa drastica separazione che va superata, ricomponendo le risorse entro un sistema più unitario. Come? Facendo derivare gli interventi di tutela al domicilio (ossia il Piano di assistenza) da un budget di cura”