Per parlare del LEPS sulla prevenzione dell’allontanamento familiare occorre partire da PIPPI. PIPPI è un modello fondato sull’evidenza scientifica per l’accompagnamento delle famiglie che si trovano in una condizione di fragilità, che in Italia ha avuto, ancor prima della sua trasformazione in LEPS, un’importante percorso evolutivo. Nasce nel 2011 come programma sperimentale riservato a 10 grandi città italiane, nel 2017 viene recepito come l’approccio proposto all’interno delle Linee di indirizzo sul sostegno a famiglie e bambini in situazioni di vulnerabilità, e nel 2021 diventa LEPS con il Piano nazionale sugli interventi e servizi sociali 2021-2023.
Il LEPS in quanto tale è l’insieme delle azioni e degli interventi che dovrebbero garantire la risposta al fondamentale diritto dei bambini e delle bambine di crescere in un ambiente stabile, sicuro e nutriente, ma anche al diritto delle famiglie di essere accompagnate e sostenute nel delicato compito di crescita dei figli. La semina di questo modello è stata lunga e graduale, e ha permesso ad alcuni ATS di maturare una certa esperienza. Ad oggi, stando a quanto riportato nel Piano nazionale sociale, la copertura di tale LEPS è molto estesa: sono circa 500 gli ATS ad aver aderito ad almeno una sperimentazione del programma PIPPI. A livello attuativo però la situazione sui territori è molto diversificata: ATS che sperimentano il programma per la prima volta unitamente ad altri che hanno invece maturato un’esperienza avanzata fino al cosiddetto livello di autonomia.
Nel Comune di Bologna, il percorso con PIPPI è iniziato nel 2011 ed è andato avanti, anche se con fasi di incertezza e fatica, senza mai interrompersi. Nella nostra esperienza l’adesione al programma PIPPI, che vincola il rispetto di un protocollo scientifico rigoroso, ha immediatamente sollecitato al ripensamento delle prassi operative, innescando un percorso di cambiamento tuttora in atto. Questo rappresenta il primo grande punto di forza di questo LEPS, che ha favorito l’avvio di alcuni processi, che richiedono anni per il loro consolidamento, ma comunque importanti. Tra questi, l’avvio dello spostamento da uno sguardo nei servizi prevalentemente adulto-centrico e orientato ai problemi ad una visione in cui il bambino e i suoi diritti sono al centro del percorso. Anche lo stesso sostegno offerto ai genitori è progettato e costruito interamente a partire dai bisogni di crescita dei figli.
PIPPI ha attivato anche un processo di costruzione di un nuovo tipo di relazioni con le famiglie, in quanto il modello riconosce i bambini e i genitori come membri attivi dell’équipe e quindi fornisce ai servizi gli strumenti per raccogliere la loro voce sia sull’analisi della situazione sia sulla costruzione degli interventi. Questo richiede di compiere un cambiamento radicale, sicuramente non facile ma che si è visto essere possibile, ossia il passaggio da “progettare per” a “progettare con”. PIPPI è stato anche l’occasione per rafforzare la pratica del lavoro multiprofessionale e per avviare un percorso di superamento della frammentazione delle azioni. Infatti, fornendo una cornice teorica unica di riferimento, è possibile definire il progetto multiprofessionale e multidimensionale integrato in una forma unitaria.
Inoltre, ha permesso agli ATS di investire risorse – più o meno ingenti – per dare avvio o consolidare i percorsi di implementazione dei dispositivi di intervento, indicati come fondamentali e imprescindibili per la realizzazione dei progetti individuali. Infine, ha innescato un processo di creazione di una comunità di pratiche sul territorio nazionale che nel tempo potrà garantire una maggiore omogeneità di prestazioni e risposte ai bisogni dei cittadini.
Gli aspetti critici sono direttamente connessi ai processi avviati, che richiedono una grande manutenzione per la loro stabilizzazione. Si evidenzia in particolare la fatica degli operatori a praticare l’approccio nella quotidianità, soprattutto per alcuni aspetti quali l’elaborazione di un progetto scritto, il rispetto dei tempi, l’utilizzo della piattaforma online di raccolta dati per la rendicontazione degli interventi attuati e la verifica dell’efficacia degli stessi. Se, da una parte, la comunità professionale è sicuramente attivata e stimolata in questo percorso di cambiamento, dall’altra parte, il rigore scientifico richiesto, la complessità e la quantità delle situazioni affrontate tende a scoraggiarne la pratica in un modo esteso. Questa situazione è anche aggravata dall’accentuato turn-over del personale nei servizi.
Un altro aspetto critico è una situazione di solo parziale integrazione con il settore sanitario. La pratica del lavoro in équipe multiprofessionale è stata rafforzata, ma la collaborazione con la sfera sanitaria è spesso limitata alle situazioni più complesse e non rivolta alle famiglie che presentano elementi di vulnerabilità più lievi, che potrebbero invece maggiormente beneficiare in termini evolutivi delle azioni del LEPS. È ancora limitata la capacità di intervenire in modo incisivo in un’ottica preventiva e di includere nei percorsi modelli culturali che talvolta possono percepire queste pratiche come distanti dal proprio sistema di riferimento e poco comprensibili. Un’ultima criticità riguarda l’implementazione dei dispositivi di intervento, che avviene a macchia di leopardo sul territorio proprie perché alcuni sono dispositivi che richiedono grande investimento di energia e di risorse.
Quali sono le condizioni che possono favorire lo sviluppo e il consolidamento del LEPS? Sicuramente un aspetto molto importante è mantenere sempre un approccio di tipo sperimentale, ossia un atteggiamento aperto alla conoscenza, alla comprensione del metodo e soprattutto ai cambiamenti, ma fortemente orientato alla sostenibilità, e quindi nella direzione di adattare il metodo al proprio contesto e non il contrario. È importantissimo dedicare tempo e risorse per costruire una struttura che sorregga il metodo senza la quale difficilmente i cambiamenti, anche quando si realizzano, potranno essere stabilizzati. Tale struttura dovrebbe svilupparsi su tre pilastri portanti: il livello della Governance, individuare nel proprio contesto, partendo da quanto già esiste, i punti di raccordo istituzionale e interistituzionale su cui operare per garantire l’integrazione delle azioni e l’assunzione di decisioni organizzative quando necessarie; il livello del supporto tecnico alle EM impegnate nel lavoro con le famiglie attraverso l’attività di un numero idoneo di coach e di formatori; il livello della ricerca e dell’innovazione, con una sorta di Cabina di regia dedicata, che partendo dagli esiti dei processi (risultati raggiunti e criticità) individui i percorsi da intrapendere ed elabori traiettorie di sviluppo. Infine costruire un sistema di coordinamento stabile tra i diversi livelli.
Inoltre, risulta fondamentale un’azione costante e capillare di disseminazione del modello, avendo la cura di inserire i principi e le pratiche del LEPS nei documenti organizzativi e nei protocolli di intesa, creando anche linee operative o di indirizzo specifiche rispetto ai dispositivi di intervento. Nonché attivare percorsi ad hoc per l’implementazione dei dispositivi di intervento per la loro stabilizzazione e interconnessione, alimentare e stabilizzare il processo di costruzione di comunità di pratiche, creando una struttura nell’ATS che garantisca la formazione continua sul metodo PIPPI a tutti gli operatori, indipendentemente dal fatto che abbiano partecipato o meno alle sperimentazioni. Questo tipo di dispositivo è utile per consolidare la pratica del LEPS e per fornire le conoscenze fondamentali ai neo assunti, in considerazione dell’alto turn-over di personale nei SS. Esso potrebbe acquisire la forma di un laboratorio permanente, dove, attraverso incontri periodici, riflettere per costruire modalità di applicazione del LEPS in forme sostenibili, calate nel proprio contesto e nell’operatività, per tutte le famiglie e non solo per quelle inserite nel programma PIPPI (E’ possibile immaginare connessioni con il LEPS Supervisione?).
Infine, potenziare il servizio sociale tramite il PN inclusione, con la scelta di dedicare in modo esclusivo parte di queste risorse all’implementazione del LEPS PIPPI e compiere azioni per spostare gli interventi sempre più nell’area della protezione e della prevenzione attraverso azioni di rete e di comunità.Che significa , anche nel LEPS PIPPI, sviluppare gli strumenti della co-progettazione, dell’amministrazione condivisa, dei patti di collaborazione per intercettare tempestivamente ed accompagnare verso le opportunità presenti nella Comunità genitori, bambine e bambini che vivono condizioni di isolamento e di esclusione sociale. Avere attenzione e cura nel costruire Reti che facciano interagire, e quindi sfruttare al meglio, le risorse pubbliche (servizi sociali-educativi/scolastici-sanitari, Centri per le famiglie) con quelle informali (persone singole, famiglie, di gruppi di persone, associazioni) e del terzo settore, per rendere gli interventi più efficaci e sostenibili. Dedicare fondi per progettualità rivolte alla cura e all’accompagnamento nei Primi 1000 giorni.