Le dimissioni protette


Francesca Pozzoli | 9 Settembre 2025

La normativa intende le dimissioni protette come delle dimissioni da contesti sanitari che prevedono una continuità di cura e assistenza attraverso un programma concordato tra ospedale e territorio. Le dimissioni protette, e nello specifico i servizi sociali per le dimissioni protette, rappresentano uno dei LEPS approvati dalla Legge di Bilancio 2022 (L. 234/2021) e di cui il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, già nella programmazione 2021-2023, definisce le caratteristiche principali (es: destinatari, contenuti, obiettivi, modalità di accesso, professioni coinvolte.) Le dimissioni protette sono però anche un LEA ed è proprio il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali a stabilire che le dimissioni protette, in quanto LEPS, devono essere erogate ad integrazione di quanto già previsto dai LEA.

Quando si parla di integrazione, questo richiamo tra normative (sociale e sanitaria) è fondamentale. Tuttavia, si tratta di un richiamo che ad oggi lascia ancora ampi spazi di interpretazione rispetto a quello che è di fatto il rapporto tra LEA e LEPS, costituendo un problema per i territori che si trovano a dover ricomporre programmazioni diverse senza che i punti di convergenza siano ben definiti.

L’importanza dell’integrazione nel contesto delle dimissioni protette non riguarda però solo il lato programmatorio ma anche quello finanziario. Sono diverse le fonti di finanziamento che sostengono il LEPS dimissioni protette: c’è il Fondo nazionale delle politiche sociali, con una quota dedicata che nella programmazione 2021-2023 era di 10 milioni e che passa 20 milioni nell’attuale programmazione 2024-2026. Sempre sul lato sociale, c’è poi anche il Fondo non autosufficienza e la Missione 5 del PNRR (M5C2, Investimento 1.1.3), oltre che eventualmente risorse dedicate dal livello regionale e comunale. Sul lato sanitario, le dimissioni protette, in quanto LEA, sono invece finanziate dai fondi sanitari regionali e dalla Missione 6 del PNRR (M6C1, Investimento 1.2). Anche in relazione alle fonti manca però “connessione”. Ad esempio, la Missione 5 e la Missione 6 del PNRR, che prevedono, rispettivamente, progetti di rafforzamento dei servizi sociali a favore della domiciliarità e l’aumento delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a raggiungere il 10% della popolazione di età superiore ai 65 anni, non sono necessariamente collegate tra loro. Si tratta di una “disconnessione” che si ripercuote sui territori, che faticano a far convergere le progettualità finanziate da queste diverse fonti di finanziamento in un orizzonte comune.

Come gruppo di lavoro IRS sulle dimissioni protette, abbiamo seguito diverse delle progettazioni PNRR legate alla Missione 5 – Linea di investimento 1.1.3, che nel complesso ha investito 66 milioni di euro per un totale nazionale di 200 progetti con un costo di circa 330.000 euro l’uno e con l’obiettivo di garantire entro il 2026 la dimissione protetta di 25.000 persone. La Lombardia è la Regione che ha attivato il più alto numero di progetti PNRR su questa linea. Il lavoro che come IRS stiamo svolgendo ci consente di osservare i processi relativi alle dimissioni protette da un osservatorio privilegiato, in grado di restituire, da un lato, le potenzialità che i progetti PNRR stanno sviluppando sui territori e, dall’altro lato, i nodi critici.

Sul lato della opportunità, una prima osservazione da riportare è che la partita dimissioni protette è davvero una partita in cui si gioca l’integrazione sociosanitaria. Ovviamente il tema dell’integrazione non è nuovo e non lo è nemmeno nel campo specifico delle dimissioni protette. Nonostante ciò, vediamo che per tanti territori l’integrazione rimane un obiettivo difficile da realizzare. Ad esempio, diversi sono i territori che abbiamo incontrato e in cui già da tempo esistono protocolli sulle DP. Di fatto si tratta però, in gran parte dei casi, di protocolli ancora molto “centrati” sull’Ospedale, che lasciano appunto l’integrazione irrealizzata o che la realizzano “all’interno del ospedale”, attraverso servizi ospedalieri dedicati alle DP che vedono, anche, la presenza di assistenti sociali ospedaliere (es: nuclei dimissioni protette, centrali dimissioni protette). Per realizzare la vera integrazione sul territorio non basta però integrare il sociale nell’Ospedale con la presenza di un’assistente sociale dentro l’ospedale. Al contrario, serve prestare attenzione alle diverse fasi in cui si sviluppano le dimissioni protette e in cui dovrebbe realizzarsi l’integrazione:

  1. La fase ospedaliera, che inizia al momento dell’ammissione in Ospedale e comprende l’identificazione delle situazioni fragili che richiedono una DP e la segnalazione ai servizi competenti. In questa fase sono coinvolti professionisti prevalentemente dell’ospedale (es. personale di reparto, medici, infermieri, assistente sociale ospedaliera);
  2. La fase di “cerniera” tra ospedale e territorio, che è una fase di coordinamento e comunicazione tra i diversi soggetti coinvolti, professionisti ma anche caregiver, e che è finalizzata all’attivazione delle cure domiciliari in seguito a una fase di valutazione e progettazione personalizzata;
  3. La fase territoriale, che consiste nell’attivazione effettiva dei servizi (“pacchetti integrati di servizi”) al momento del rientro al domicilio, e nelle attività di monitoraggio integrato delle situazioni.

Una dimissione per essere davvero “protetta” non può limitarsi a una sola di queste tre fasi ma le deve comprendere tutte, allo stesso modo l’integrazione tra interventi sociali e sanitari deve riguardare tutte le fasi del percorso di dimissione protetta, dal momento dell’ammissione a quello della dimissione.

Per quanto riguarda i nodi invece, una questione centrale e ricorrente è relativa alle tempistiche, spesso molto diverse tra ospedale e territorio: l’ospedale ha generalmente tempi più corti, dettati anche dall’esigenza di liberare posti letto e che non si conciliano necessariamente i tempi del territorio.

Ospedale e territorio hanno però anche linguaggi molto diversi, che non aiutano a trovare soluzioni condivise. La stessa definizione di dimissione protetta non è condivisa: l’Ospedale generalmente considera come dimissioni protette tutte le situazioni che passano dai servizi ospedalieri di dimissione protetta; se si applica però la definizione che il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali dà al LEPS, non necessariamente tutte queste sono situazioni che i servizi sociali considerano “di dimissione protetta”. Questo ci dice che anche solo un allineamento di linguaggio e di definizioni permetterebbe di gettare le basi per percorsi effettivamente integrati.

Un altro tema è quello relativo agli strumenti, anche in questo caso spesso già esistenti ma che rimangono scollegati. Un esempio per tutti: di solito la segnalazione della persona fragile a rischio di dimissione difficile avviene in ospedale attraverso la scheda Brass, che però è una scheda prevalentemente sanitaria e non considera il rischio sociale. Fare integrazione significa anche integrare questo tipo di strumenti, così da permettere processi integrati anche a livello operativo. Lo stesso discorso si potrebbe fare per gli strumenti di valutazione, per il PAI e per il monitoraggio.

Infine, anche se brevemente, è importante sottolineare che un altro nodo relativo alle dimissioni protette riguarda il coinvolgimento dei medici di base, che nella maggior parte dei casi rimangono totalmente assenti, nonostante la funzione di “cerniera” che potrebbero svolgere tra Ospedale e territorio.

Come ultima osservazione riportiamo che, per affrontare queste ed eventualmente altre criticità relative alle dimissioni protette, la presenza di protocolli e accordi integrati costruiti sul territorio, attraverso il coinvolgimento dei diversi professionisti coinvolti nei processi di dimissione protetta (assistenti sociali, infermieri di famiglia e comunità, anche con appartenenze organizzative diverse: ATS, Ospedali, presidi della sanità territoriale), si sta rivelando un’importante potenzialità, soprattutto in considerazione del quadro normativo e finanziario molto frammentato che abbiamo visto. Peraltro, qui ci sarebbe un ruolo che anche le Regioni potrebbero svolgere, aiutando i territori a ricomporre fondi e indirizzi provenienti dal livello nazionale. Questo però non necessariamente avviene e, in alcuni casi, anche laddove le Regioni hanno provato a fornire linee di indirizzo ai territori in tema di dimissioni protette, questo è avvenuto attraverso direttive regionali non integrate tra comparto sociale e sanitario.

Le dimissioni protette hanno la potenzialità di essere un campo di integrazione in cui provare a tradurre in pratica la sfida dei LEPS, dei LEA e della loro integrazione. La presenza di accordi e protocolli integrati a livello locale può aiutare a vincere questa sfida grazie alla sperimentazione di pratiche di integrazione socio-sanitaria su diversi livelli: programmatorio, organizzativo e anche professionale.

In attesa di indirizzi chiari dal livello nazionale o regionale, i territori ricoprono quindi oggi un ruolo fondamentale ai fini della realizzazione dell’integrazione, che è importante considerare e monitorare.