Il Reddito di Cittadinanza in tempo di Epidemia


Michelangelo Caiolfa | 9 Aprile 2020

Al di là delle polemiche dei mesi scorsi, il Reddito di Cittadinanza ha una radice nobile, anzi nobilissima. Garantire la disponibilità reale di un limite di reddito a tutte le famiglie, per il solo fatto di essere formate da cittadini italiani. Anche se l’attuale impostazione del RdC non è quella di una forma incondizionata di base, ma è un dispositivo condizionato e composto da più misure che viene innescato da una forma di ‘integrazione al minimo vitale’ (i 500 euro mensili), la radice nobile rimane del tutto evidente. Anche se l’attuale impostazione del RdC è fortemente e malamente condizionata dal complesso delle norme regolative chiamate in gergo ‘antidivano’, la radice nobile dello strumento rimane del tutto evidente. Anche se l’esasperata torsione lavoristica subita dal provvedimento in fase di discussione politica ha introdotto nel RdC una sorta di meta-finalità impossibile, che sembra figlia di un pensiero magico (trovare lavoro in pochi mesi alla parte di cittadini più in difficoltà), la radice nobile dello strumento rimane del tutto evidente. E quindi, non sarebbe il caso di riprendere con forza quella radice nobile per costruire con immediatezza, sulla base del Reddito di Cittadinanza ‘normale’, una sua versione straordinaria adattata alle esigenze generali della nostra comunità nazionale in questo momento così tragico?   La radice del Reddito di Cittadinanza è legata a una dimensione etica, ideale, pratica e normativa ben precisa: mettere in rapporto i diritti sociali individuali con la cittadinanza. Nel nostro ordinamento la protezione sociale è in diretto riferimento con le singole forme contrattuali del lavoro, lo abbiamo sempre saputo ma in questo momento diventa tutto tragicamente evidente come dimostrano le discussioni e i conflitti scaturiti dagli ultimi decreti governativi. Abbiamo invece bisogno di una misura efficace in tempi ristretti capace di dare liquidità alle famiglie in difficoltà ma che proprio ora, proprio nel momento più difficile, possa tracciare una linea importante per il futuro. Come da più parti emerge abbiamo bisogno di pensare e cominciare a costruire un Sistema Universale di Protezione Sociale che, proprio per questo, non può basarsi sulle singole forme assunte dai contratti di lavoro ma deve basarsi sulla spinta generale e comunitaria della Cittadinanza. Abbiamo bisogno che questo sistema sia allo stesso tempo universalistico, equo, proporzionale, congruo e che non faccia abbassare la propensione all’attività e alla ricerca del lavoro delle singole persone e dei nuclei familiari. Nessuno ha ricette già pronte per l’uso, ma esistono tantissime fonti di pensiero e di competenze e di esperienze che si stanno esprimendo da tempo nei mondi della ricerca, dell’azione sociale, delle organizzazioni del lavoro, delle organizzazioni politiche. Bisognerebbe raccoglierle e farle convergere progressivamente verso una piattaforma condivisa, contemporaneamente agile e visionaria, per cercare di approssimarsi al futuro. Il Reddito di Cittadinanza in tempo di Epidemia potrebbe essere un primo passo in questa direzione. Ora le famiglie hanno bisogno di una forma seria e forte di integrazione al reddito, di questo si tratta. Abbiamo visto che andare a muovere tutte le singole leve, grandi e piccole, legate alla platea sterminata delle fonti di reddito dipendente o autonomo è una impresa titanica. Forse organizzare al contrario una misura di ‘integrazione generalizzata a qualunque forma di reddito’ rispetto a limiti quantitativi prefissati, potrebbe essere una strada più efficace nel breve e più aperta alle trasformazioni di cui avremmo bisogno per il futuro. E qui si pone, tra tante altre, la questione del superamento di una delle più profonde ipocrisie nazionali: quella del lavoro nero totale o parziale che di fatto rappresenta una forma di integrazione al reddito familiare in tantissimi luoghi del sud, e forse anche in alcuni luoghi del nord. Lo sanno benissimo quelle organizzazioni e quelle persone che hanno a che fare veramente con queste cose, che guardano veramente in faccia quella sottrazione secolare e inesorabile di diritti e possibilità di emancipazione, che guardano veramente in faccia la povertà che si forma al margine delle classi medie occidentali e dei loro (nostri) stili di vita attuali.   Il Forum DD e l’ASviS, insieme a Cristiano Gori e Patrizia Luongo, hanno elaborato la proposta per ‘Rendere universale la protezione sociale contro la crisi’ che tutti conosciamo. Si tratta di un lavoro davvero importante che procede con forza nella giusta direzione, raccoglie analisi e proposte definite in tempi strettissimi da un gruppo di esperti che sa molto bene di cosa si parla e come si può agire con immediata concretezza unita a una visione di prospettiva. Vengono avanzate due proposte per integrare le azioni già definite dal Decreto ‘Cura Italia’: il ‘Sostegno di emergenza per i lavoratori autonomi’ (SEA) e il ‘Reddito di cittadinanza per l’emergenza’ (REM) dedicato in modo specifico alle famiglie cadute in povertà. Strumenti che fanno parte di un progetto complessivo di tutela dell’intera popolazione nella prima fase successiva al diffondersi del Covid-19, e che al momento comportano un numero limitato di cambiamenti mirati. Continuare in questa direzione per procedere verso una possibile misura di ‘integrazione generalizzata a qualunque forma di reddito’ rispetto a limiti quantitativi prefissati, comporta il confronto con alcune questioni molto pratiche e concrete ma allo stesso tempo profondamente complesse.

  1. La misura di integrazione generalizzata è legata ai nuclei familiari o alle singole persone lavoratrici? Se si deve passare a un sistema centrato sulla Cittadinanza, bisogna necessariamente legare la misura ai nuclei familiari e non alla condizione contrattuale della singola persona che lavora. Questo vuol dire che occorre conteggiare tutti redditi che entrano nel nucleo da qualunque forma di lavoro derivino e, a regime, costruire in modo automatico per tutti i nuclei familiari italiani l’indicatore ISEE.
  2. Come è possibile determinare il livello di integrazione proporzionato per ogni famiglia? Per semplicità si potrebbe fare riferimento agli attuali meccanismi del RdC con alcuni correttivi. Potrebbe essere confermato il limite dei 780 euro, ma senza la scomposizione in 500 euro per l’integrazione al reddito e 280 euro per l’integrazione all’affitto. L’integrazione all’affitto ha bisogno di essere qualificata, proporzionata alla composizione del nucleo familiare, alle dimensioni, alle caratteristiche e alla categoria dell’abitazione e ad altri parametri che potrebbero configurare una misura aggiuntiva ai 780 euro. Anche la scala di equivalenza va riequilibrata cercando soluzioni che seguono il profilo reale della povertà in Italia, o meglio delle disuguaglianze e delle fragilità. Rispetto a questo limite e alla sua scala di equivalenza, si potrebbe ricavare la quota di integrazione necessaria al nucleo familiare considerato.
  3. Come è possibile cominciare ad attivare una misura del genere durante l’anno dell’epidemia? Sostanzialmente in questo momento di totale e generalizzata emergenza accorerebbe sostituire l’ISEE con una specifica autocertificazione con cui dichiarare i redditi effettivamente percepiti nei primi mesi del 2020, le attuali condizioni lavorative, gli eventuali sostegni ricevuti dalle misure normali o dalle misure straordinarie già adottate, e tutte le altre informazioni necessarie riferite al nucleo familiare. Naturalmente in questo periodo non è possibile pensare ad altro mezzo se non all’utilizzo dei conti corrente per alimentare i redditi familiari, ad eccezione delle carte-acquisto già distribuite dal RdC. Nella seconda parte dell’anno occorrerebbe verificare le autocertificazioni attraverso l’ISEE ‘corrente’ e altre azioni di verifica. Probabilmente alla fine dell’anno si potrebbe mettere un punto e capire quali compensazioni e regolazioni sono necessarie per fare un ulteriore piccolo passo in avanti.

  Naturalmente queste riflessioni non sono altro che piccole e parzialissime considerazioni su quella che potrebbe essere una misura basata sull’estensione dell’esistente, e che cerca di guardare ad una evoluzione futura capace di recare un vero e profondo cambiamento nelle politiche nazionali di protezione sociale. È altrettanto ovvio che in prospettiva uno strumento del genere non può essere considerato come una misura ‘semplice’, ma come un dispositivo complesso articolato in più misure coordinate tra loro che è possibile sviluppare e stabilizzare solo in presenza di altre azioni regolative. Diventa essenziale, ad esempio, la determinazione di un salario orario minimo e soprattutto una vera azione di controllo sulla regolarità del lavoro, potenziata ed estesa su tutto il territorio nazionale. Non è possibile portare a regime una forma di protezione sociale universale basata sulla cittadinanza in coesistenza con forme generalizzate di evasione ed elusione fiscale. Un’ipotesi di Reddito di Cittadinanza in tempo di Epidemia, una misura generale di integrazione al reddito che sia rapida e fluida, tuttavia potrebbe andare oltre ed essere applicata non solo ai nuclei familiari ma anche alle attività commerciali e alle piccole imprese. Forse potrebbe essere possibile, e forse in questo caso si avvicinerebbe più ad uno strumento finalizzato di microcredito a fondo perduto per il piccolo commercio al dettaglio, per il piccolo artigianato, per le piccole attività a conduzione familiare delle filiere agro-alimentari e della pesca. Forse misure del genere potrebbero avere la loro giusta pertinenza ed efficacia se coordinate ovviamente con crediti sul consumo dei servizi primari, credito di impresa, ammortizzatori sociali, riconfigurazione delle tassazioni nazionali, regionali e locali. Forse anche in questo modo si potrebbe contenere la chiusura dovuta alle conseguenze dell’epidemia di tantissime attività, quelle che finora arrivano ogni volta al limite della chiusura annuale in condizioni normali. Una forma finalizzata di microcredito a fondo perduto e legata al proseguimento dell’attività anche per i prossimi due anni potrebbe essere importantissima, anche solo per preservare il capitale sociale e produttivo di intere comunità interne o periferiche.   E in cambio di tutto questo? Cosa può essere richiesto in cambio dell’abbandono della attuale monologia produttivista, aziendalistica e paternalista, che consente un’azione collettiva e statale solo a fronte della garanzia apparente di non aiutare dei fannulloni o dei disonesti o degli approfittatori? Cosa può esserci in cambio del progressivo abbandono delle forme contrattali del lavoro come gabbie per i diritti di cittadinanza sociale dell’intera comunità nazionale? In cambio di tutto questo accorerebbe esigere un po’ di onestà. Onestà nei comportamenti individuali da parte dei beneficiari di misure così imponenti e straordinarie; onestà della classe dirigente rispetto al bisogno di redistribuire una parte dei privilegi e della ricchezza accumulata finora; onestà della comunità nazionale rispetto agli enormi problemi da affrontare sui temi e sulle pratiche della vera illegalità diffusa.