Il Reddito Minimo al Parlamento Europeo


Chiara Crepaldi | 16 Luglio 2017

Dalla fine dello scorso anno il Parlamento Europeo sta lavorando su una proposta, avanzata dalla relatrice italiana Laura Agea del Movimento Cinque Stelle, di introduzione di “Politiche volte a garantire il reddito minimo come strumento per combattere la povertà”. Una prima proposta è stata presentata il 10 febbraio 2017, per integrare e supportare la quale il Parlamento Europeo ha successivamente richiesto una analisi tecnica e un aggiornamento relativo alla situazione di implementazione delle misure di reddito minimo nei 28 Paesi UE. Tale analisi è stata realizzata dall’IRS ed è scaricabile dal sito del Parlamento Europeo.

Attraverso alcuni articoli che verranno pubblicati su Welforum.it ne verranno via via analizzati i risultati più interessanti. Questo articolo è tuttavia dedicato ai contenuti della proposta e al parere formulato su di essa da parte della Commissione per i problemi Economici e Monetari (ECO) del Parlamento Europeo il 29 giugno (link a relazione della commissione economica). Il voto in Commissione lavoro e affari sociali (EMPL) inizialmente calendarizzato per il 12 luglio è stato spostato a fine settembre.

 

La proposta Agea parte dal presupposto che l’introduzione in tutti gli Stati membri dell’UE di regimi di reddito minimo, costituiti da misure specifiche di sostegno alle persone con un reddito insufficiente attraverso una prestazione economica e l’accesso agevolato ai servizi, sia uno dei modi più efficaci per contrastare la povertà, garantire una qualità di vita adeguata e promuovere l’integrazione sociale, e si rammarica che alcuni Stati membri (tra cui ovviamente l’Italia, sebbene non citata)  non sembrino tenere conto della raccomandazione 92/441/CEE del Consiglio, che riconosce “il diritto fondamentale della persona a risorse e a prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana”;

La relazione rileva che, benché la maggior parte degli Stati membri disponga di regimi di reddito minimo, vari altri Stati ne sono privi: l’analisi tecnica che ha seguito questa proposta in realtà ha proposto una fotografia differente, evidenziando come ormai tutti i paesi europei abbiano forme consolidate o per lo meno forme sperimentali/pilota di misure assimilabili al reddito minimo. Quello che andrebbe invece sottolineato sono due cose: da un lato l’inadeguatezza e l’incapacità della maggior parte dei sistemi di rispondere alle esigenze dei cittadini in difficoltà e dall’altro il percorso involutivo che alcuni dei sistemi stanno ormai compiendo, muovendo nella direzione di una riduzione progressiva dei criteri di accesso e dell’irrigidimento delle condizionalità: tra gli altri è il caso ad esempio dell’Olanda, del Portogallo, della Slovacchia; la Germania ha introdotto criteri di eleggibilità più severi e la Danimarca ha ridotto gli importi per incentivare il ritorno al lavoro.

 

La proposta Agea comunque chiede agli Stati che ne siano privi di prevedere l’introduzione di regimi di reddito minimo garantiti per prevenire la povertà e favorire l’inclusione sociale, proponendo una Direttiva su un reddito minimo adeguato nell’Unione europea, che tenga presente il contesto sociale ed economico di ciascuno Stato membro e che stabilisca norme e indicatori comuni e fornisca metodi per il monitoraggio della loro attuazione, aspetti in effetti molto interessanti, perché proprio la mancanza di sistemi di valutazione dell’efficacia delle misure nella maggioranza dei paesi ne rappresenta uno dei grandi limiti. I regimi di reddito minimo dovrebbero, secondo tale proposta,  assicurare l’erogazione di un reddito al di sopra della soglia di povertà, prevenire le situazioni di grave privazione materiale e far uscire le famiglie da tali situazioni; dovrebbero essere integrati in un approccio strategico orientato all’integrazione sociale, che preveda sia misure generali sia politiche mirate relative ad alloggi, assistenza sanitaria, istruzione e formazione e servizi sociali, al fine di aiutare le persone a uscire dalla povertà e ad adoperarsi per l’accesso al mercato del lavoro. L’obiettivo deve essere quello di sostenere i beneficiari a passare da situazioni di esclusione sociale a una vita attiva. La soglia di reddito minimo dovrebbe essere stabilita dagli Stati membri in base a indicatori pertinenti (ma almeno al 60 % del reddito mediano dello Stato interessato)

La proposta è stata accolta con favore pur raccogliendo ben 295 emendamenti tra i membri della Commissione.

Il 29 giugno, come anticipato, la Commissione Problemi Economici e Monetari (ECO) ha espresso il suo parere sulla proposta e poi l’ha accolta con ampia maggioranza: 43 voti a favore e 7 contrari, in particolare di alcuni membri appartenenti al gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei.

Le osservazioni e le sollecitazioni sollevate dalla Commissione ECO appaiono particolarmente interessanti, in particolare perché contrastano con l’immagine di una Europa ‘monetaria’ completamente disinteressata alla dimensione sociale dell’Unione.

 

In premessa la Commissione ECO propone una lettura dell’attuale contesto socio economico in un certo modo sorprendente, se consideriamo la prospettiva da cui viene espresso:

  • evidenzia la crescita, tra il 2008 e il 2015, delle persone a rischio di povertà ed esclusione sociale nell’UE in quella che è una delle regioni più ricche del mondo
  • in tale contesto vari Stati membri devono far fronte a gravi disavanzi di bilancio e a un accresciuto livello del debito, e hanno di conseguenza ristretto la loro spesa sociale, il che ha inciso sulla sanità pubblica, l’istruzione, la sicurezza e la protezione sociale e gli alloggi, nonché, in particolare, sull’accesso ai servizi correlati e sulla loro adeguatezza, disponibilità e qualità, con ripercussioni negative soprattutto sulle categorie sociali più svantaggiate. In parallelo le riforme strutturali dei mercati del lavoro e il consolidamento di bilancio hanno avuto effetti perversi, in quanto hanno allargato il divario tra gli Stati membri per quanto riguarda le condizioni di vita e il reddito familiare disponibile, causando disparità all’interno dell’Unione.

La Commissione ECO introduce a questo punto il ruolo rilevante che le politiche di sostegno al reddito possono giocare in tale contesto: le politiche in materia di reddito minimo fungono da stabilizzatori automatici, in particolare in caso di crisi, e infatti la recessione è stata meno pesante nei paesi che dispongono di solidi sistemi di sostegno al reddito familiare disponibile.  Considerando la diversa propensione al consumo che caratterizza i vari quintili di reddito la Commissione evidenzia come l’introduzione/il rafforzamento di misure di questo tipo avvantaggi l’economia europea nel suo complesso: “le politiche a sostegno delle fasce sociali più svantaggiate dell’UE andranno a vantaggio dell’intera economia e saranno tendenzialmente neutre in termini di bilancio”. Il FMI ha infatti sottolineato che, se la quota di reddito del 20 % della popolazione che si colloca nella fascia superiore aumenta di un punto percentuale, il tasso di crescita del PIL si riduce di fatto di 0,08 punti percentuali nei cinque anni successivi, mentre viceversa un aumento analogo nella quota di reddito del 20 % più basso (i poveri) è associato a un aumento del tasso di crescita dell’ordine di 0,38 punti percentuali”.1 A ciò viene anche accompagnato il concetto che, come è dimostrato da numerosi studi “la povertà incide negativamente sulla crescita economica”2. Infine le politiche di reddito minimo, se accompagnate ad altre misure e politiche sociali e del lavoro, possono offrire una soluzione per contrastare la povertà e sostenere l’inclusione sociale e l’accesso al mercato del lavoro, e, se ben concepite, non fungono da disincentivi al lavoro3.

Ancora più sorprendentemente, la premessa introduce il concetto di reddito di base, sottolineando come alcuni Stati membri abbiano avviato progetti pilota per testare politiche in materia di reddito di base, come è il caso della Finlandia, dove un campione casuale di 2000 disoccupati riceverà una somma di EUR 560 al mese incondizionata e che dovrebbe costituire un incentivo adeguato ad accettare lavori temporanei e a tempo parziale.

La sezione successiva relativa ai suggerimenti si apre con l’invito  a procedere ad una valutazione negli Stati membri degli esiti delle sperimentazioni in corso sull’introduzione di programmi in materia di reddito di base, concetto espresso prima ancora di quello della necessità di adottare con urgenza misure concrete per eradicare la povertà e l’esclusione sociale. Certo il parere della Commissione ECO mette bene in chiaro che “i regimi di reddito minimo sono di competenza delle autorità nazionali e che pertanto la loro introduzione o il loro sviluppo devono tenere conto della realtà economica e sociale nonché del sistema produttivo di ogni singolo paese”.

La connessione col mercato del lavoro rappresenta un punto forte dei suggerimenti, perché viene suggerito che il modo migliore per ridurre la povertà ed evitare l’esclusione sociale consiste nel promuovere una crescita sostenibile e nel creare condizioni quadro favorevoli per le imprese europee. L’approccio da adottare è quello di ‘investimento sociale’, secondo cui politiche sociali ben concepite costituiscono un fattore di stimolo della crescita economica, e proteggono al tempo stesso le persone dalla povertà e fungono da stabilizzatori economici.

 

La Commissione ECO chiede che, in sede di definizione delle politiche macroeconomiche, si presti d’ora in poi la dovuta attenzione alla necessità di ridurre le disuguaglianze sociali e di garantire a tutte le categorie sociali l’accesso a servizi sociali pubblici finanziati in maniera adeguata, contrastando in questo modo la povertà e l’esclusione sociale. Si tratta tuttavia di un mero auspicio non tradotto operativamente in alcuna forma, quale potrebbe essere per esempio quella di trattare nell’ambito del funzionamento del meccanismo europeo di stabilità gli indicatori di sviluppo sociale alla stessa stregua degli indicatori di sviluppo economico e di deficit.

La Commissione ECO comunque chiede che si intervenga per ridurre le disuguaglianze sociali mettendo le persone in condizioni di sfruttare al meglio i propri talenti e le proprie capacità; chiede altresì di concentrare il sostegno sociale su coloro che sono sia poveri sia incapaci di produrre un reddito sufficiente unicamente con i propri sforzi.

 

Rispetto a come promuovere politiche di reddito minimo il parere segnala che le recenti esperienze di riforme basate su esenzioni fiscali dimostrano che è preferibile finanziare le politiche in materia di reddito minimo avvalendosi del sostegno di bilancio piuttosto che di incentivi fiscali e sottolinea che l’istruzione, i trasferimenti sociali e regimi fiscali progressivi, equi e di tipo redistributivo possono contribuire alla coesione economica, sociale e territoriale.

Il parere entra infine nella definizione delle caratteristiche da attribuire a tali misure: temporaneità, definizione a livello di Stato membro (per tenere conto delle specificità di ciascuno), connessione a forme di valutazione che tengano in considerazione il complesso de sistemi nazionali globali dei servizi sociali (istruzione, assistenza sanitaria, assistenza all’infanzia, alloggi e mobilità) e che favoriscano anche lo scambio delle migliori pratiche tra gli Stati membri.

La discussione e il lavoro in Commissione occupazione e affari sociali è prevista per la fine del mese di settembre. Vedremo se e come la proposta uscirà dall’aula.

  1. FMI “Causes and Consequences of Income Inequality: A Global Perspective” (Cause e conseguenze della disparità di reddito: una prospettiva globale), 2015 – citato in www.taxjustice.net
  2. Banca mondiale, “Poverty Reduction and Growth: The Virtuous and Vicious Circle” (Riduzione della povertà e crescita: il circolo virtuoso e il circolo vizioso), 2006; OCSE, “Trends in Income Inequality and its Impact on Economic Growth” (Tendenze della disparità di reddito e ripercussioni sulla crescita economica), 2014.
  3. Commissione europea, “Employment and Social Developments in Europe 2013” (Occupazione e sviluppi sociali in Europa nel 2013), 2014