La gestione dei centri per anziani

Tra affidamento di servizio e principio di sussidiarietà


Alceste Santuari | 26 Dicembre 2022

Quando è ragionevole che un’attività nell’ambito del welfare sia oggetto di una convenzione tra enti locali e associazioni di volontariato/ di promozione sociale? Quando quella attività rappresenta un servizio da gestire in proprio da parte di un ente pubblico o affidare attraverso un appalto? Quando, in altre parole, è corretto riferirsi al principio di sussidiarietà, sostenendo l’autonoma iniziativa di cittadini che realizzano un intervento secondo il principio di gratuità e quando si tratta di attività da rendersi attraverso personale retribuito?

In queste settimane, il tema delle convenzioni con il volontariato, disciplinate dall’art. 56 del Codice del Terzo settore, è stato oggetto della sentenza del Tar del Lazio, sez. II – bis, del 6 dicembre 2022, n., chiamato a dirimere un contenzioso tra due associazioni di volontariato interessate alla gestione, di un Centro Anziani. Ciò avviene in un comune laziale che, dopo aver gestito i centri per anziani in economia, ha individuato la soluzione della convenzione con il volontariato per la gestione di tale attività, indicendo, pertanto, la procedura relativa per la gestione della struttura. Tale scelta ha luogo anche a seguito dell’approvazione di specifiche linee guida regionali recepite dal comune in apposito regolamento, che prevede “l’obbligatorio affidamento” dei centri in oggetto a favore delle APS ex art. 56 del Codice del Terzo settore, che abbiano il Centro Anziani come oggetto specifico ed esclusivo o prevalente.

Al di là del merito della sentenza, che interviene appunto nel dirimere la lite tra due associazioni interessate a tale attività, questa circostanza ci dà l’opportunità di domandarci, a monte, quando e a che condizioni sia ragionevole la scelta dello strumento della convenzione con il volontariato.

Da una parte, gli enti locali possono qualificare un’attività, anzi un servizio alla stregua di un “servizio pubblico locale”, il quale, conseguentemente, deve essere oggetto di uno specifico modello gestorio. Quest’ultimo, in conformità all’ordinamento giuridico interno, può essere ricondotto alla gestione in economia (diretta), alla gestione a mezzo di società mista, alla gestione a mezzo di società c.d. “in house”, nonché risultare oggetto di esternalizzazione a favore del mercato, anche riservato a taluni soggetti giuridici specifici, quali, per esempio, le imprese sociali.

Per contro, il Codice del Terzo settore ha previsto modalità di raccordo tra enti pubblici ed ETS, che non sono fondati su prestazioni sinallagmatiche, ma che, nondimeno, possono realizzare attività, interventi e progetti di interesse generale. In questo senso, l’art. 56 del d. lgs. n. 117/2017 stabilisce che gli enti pubblici possono sottoscrivere con APS e OdV apposite convenzioni per lo svolgimento di attività e servizi sociali di interesse generale.

 

La nota sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale ha inteso ribadire che gli istituti giuridici collaborativi di cui al Codice del Terzo settore e le procedure di gara di cui al Codice degli appalti devono considerarsi due paradigmi alternativi. In quest’ottica, pertanto, anche le recenti linee guida ANAC sull’affidamento dei servizi sociali hanno confermato l’alternatività degli strumenti giuridici dell’amministrazione condivisa rispetto a quelli, più tradizionali, delle procedure competitive.

Da ciò discende che, almeno per tracciare una linea di demarcazione, quando la pubblica amministrazione intenda acquistare sul mercato una prestazione, un servizio ovvero un’attività è coerente ricorrere alle procedure di cui al Codice dei contratti pubblici. Quando, al contrario, la sua intenzione è quella di attivare percorsi, processi e procedimenti che riescano a coinvolgere attivamente gli enti del terzo settore sia nella fase di definizione delle politiche di intervento sia nella eventuale realizzazione dei progetti individuati per rispondere ai bisogni individuati, la pubblica amministrazione può ricorrere agli istituti previsti nel Codice del Terzo settore, tra cui anche le convenzioni di cui sopra. Nello specifico, le convenzioni ex art. 56 CTS rappresentano lo strumento per sostenere attività svolte in forma volontaria e gratuita, mentre i procedimenti art. 55 sono finalizzati a coinvolgere il Terzo settore nella definizione dei progetti di intervento (come ribadisce ANAC, tanto in forma gratuita che in forma – parzialmente o integralmente – onerosa; sul punto, si rinvia ai contributi pubblicati sul sito)

L’art. 56 contiene un insieme di disposizioni – le caratteristiche soggettive dell’associazione, la quantificazione dei rimborsi, il procedimento di individuazione, le garanzie per il cittadino – a monte delle quali è però necessario interrogarsi sul fatto che il riscorso allo strumento della convenzione sia appropriato o meno.

E dunque, nel caso in questione, a che condizioni l’adozione, da parte della Regione, di specifiche linee guida con le quali disciplinare proprio “l’obbligatorio affidamento” di un servizio pubblico locale (si pensi, per esempio, ad un centro servizi per gli anziani di un territorio comunale) è ragionevole?

La risposta ovviamente non è univoca e richiede di entrare nel merito della specifica questione, cosa che esula dagli obiettivi di questo articolo. Sono tuttavia chiare le domande che è necessario porsi: tale scelta trova corrispondenza in situazioni in cui l’attività dei centri anziani è svolta in termini solidaristici o mutualistici? Si pensi, ad esempio, ad anziani attivi che si auto organizzano per gestire in autonomia spazi di incontro a loro dedicati e aperti agli altri anziani del territorio e che per questa preziosa attività sono supportati, con il rimborso parziale o totale delle spese vive sostenute, dalle istituzioni. O, al contrario, l’intervento in questione rappresenta un’attività di servizio che viene assicurata in forma organizzata e tendenzialmente professionale da soggetti organizzati e professionali? In che modo si può assicurare che la risposta a tale domanda sia uniforme, così appunto da determinare un “obbligatorio affidamento” in sede di deliberazione regionale? La pregnanza dell’alternativa sopra descritta è testimoniata anche dal fatto che il ricorso all’art. 56 è previsto laddove esso sia “più conveniente rispetto al ricorso al mercato”; e ciò testimonia una volta di più il suo carattere di procedimento alternativo a quello di mercato. Nel contesto sopra delineato, nello specifico, il convenzionamento diretto ha ad oggetto la gestione di un servizio, che in precedenza era stato gestito dall’ente pubblico in forma diretta e non un’attività frutto del confronto e dell’identità di obiettivi da conseguire da parte dell’ente locale e dell’associazione coinvolta attraverso la sottoscrizione di apposita convenzione. In quest’ottica, le APS sono state individuate quali soggetti di terzo settore ritenuti più idonea ad assumere la gestione di un servizio in convenzione con l’ente locale interessato.

 

Una volta che ciò sia definito, ci si può porre una seconda questione, affrontata in particolare nella sentenza qui commentata e che riguarda la possibilità che il convenzionamento scaturisca da un procedimento che coinvolge una unica associazione.

In generale, l’ente locale pubblica una manifestazione di interesse rivolta a verificare se e quante APS presentino i requisiti, l’esperienza e le caratteristiche organizzative per essere “affidatari” di quel determinato servizio. Qualora alla procedura comparativa si presentasse una sola APS, l’ente locale potrà affidare a quest’ultima il servizio oggetto di quella manifestazione di interesse. Analogamente, il medesimo risultato potrebbe essere conseguito anche nel caso in cui l’ente locale, a seguito di specifica ricognizione, non riscontrasse la presenza di altre APS in grado di assicurare l’erogazione di quel servizio. Il principio di sussidiarietà appare quindi elemento legittimante l’affidamento diretto di un servizio, in assenza di “concorrenti” potenziali, che impongono, al contrario, il ricorso a procedure comparative finalizzate alla selezione del soggetto affidatario di quel determinato servizio. Si tratta delle procedure previste dall’art. 56 del Codice del Terzo settore qualora le APS (e le ODV) da selezionare risultino più di una, che nulla dicono in ordine alla circostanza per la quale in un determinato territorio e/o per una specifica attività ovvero servizio sia presente soltanto una associazione, che abbia i requisiti previsti per la gestione di quella attività ovvero di quel servizio. In questo senso, soccorrono le linee guida regionali e la discrezionalità amministrativa dell’amministrazione comunale procedente, consacrata in un apposito regolamento comunale. È proprio in quest’ottica che è possibile sostenere che il principio di sussidiarietà non può considerarsi alla stregua di un “succedaneo” dell’evidenza pubblica. La valorizzazione dell’apporto autonomo, originario e “co-progettante” del terzo settore non ammette “scorciatoie” amministrative nel senso di evitare l’evidenza pubblica.

 

Il secondo profilo desumibile dall’art. 56 attiene alla capacità organizzativa, all’esperienza maturata e agli altri requisiti strutturali e gestionali richiesti in capo ad associazioni che intendano svolgere un’attività ovvero un servizio caratterizzato, tra gli altri, da continuità e affidabilità. In questo senso, l’art. 56 disciplina convenzioni il cui contenuto obbligatorio è preciso, articolato, fonte di responsabilità pubbliche affatto marginali, nonché oggetto di attenta valutazione da parte dell’ente pubblico sottoscrittore. Ne discende che, lungi dall’essere attività “leggere”, quelle dedotte in convenzione rispondono a requisiti strutturali, organizzativi, operativi, di impegno volontario e gestionali non nella disponibilità di tutte le APS o OdV. Potrebbe essere questo l’elemento ovvero la caratteristica che spinge taluni enti pubblici a prevedere l’affidamento di un servizio alla stregua di un’attività in convenzione. Tra le due modalità di “affidamento” rimangono comunque talune differenze ontologiche: a prescindere dal nomen iuris, le attività oggetto di convenzione ai sensi dell’art. 56 del Codice del Terzo settore (e anche per vero quelle sottoscritte nel periodo pre Codice) possono ammettere soltanto il rimborso delle spese sostenute e documentate. Per contro, negli affidamenti di servizi, l’ente gestore/erogatore è legittimato dal medesimo strumento giuridico della procedura di matrice concorrenziale ad essere retribuito (sinallagma).

 

Il terzo profilo riguarda la necessaria combinazione tra soggettività giuridiche (non profit) e gli strumenti giuridici dell’amministrazione condivisa. Gli artt. 55 e 56 prescrivono, infatti, la possibilità per gli enti pubblici di attivare i percorsi di co-programmazione, co-progettazione, accreditamento e di sottoscrivere convenzioni soltanto con gli enti del terzo settore che risultano iscritti nel Runts. Lo strumento amministrativo, in altri termini, non può prescindere dalla qualificazione giuridica del soggetto non lucrativo che l’ente pubblico intende coinvolgere. Il portato di una simile combinazione trova una propria applicazione nel procedimento amministrativo individuato quale più adeguato e funzionale a perseguire le finalità di interesse pubblico. Si potrebbe ipotizzare che il Codice del Terzo settore abbia inteso definire il perimetro preciso degli ETS in funzione della loro riconducibilità ad uno o più degli istituti giuridici di natura cooperativa di cui agli artt. 55 e seguenti. In quest’ottica, il medesimo Codice sembra aver escluso un “impiego” degli ETS in procedure diverse da quelle richiamate.