La legge Stanca compie 20 anni


Stefania Leone | 28 Febbraio 2024

Il ventennale della legge 4/20041, la nota “legge Stanca”,  dal nome del firmatario Lucio Stanca, allora Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale, ci invita a riflettere sullo stato dell’arte, a che punto siamo, cosa si è fatto e cosa si può fare.

Non possiamo affermare di essere al punto di partenza, anche perché la legge è stata rafforzata dalla Direttiva UE Web Accessibility Directive WAD 2016/21022 che ha imposto di legiferare sul tema agli Stati Membri. L’Italia tuttavia era già stata la prima a farlo.

Inizialmente i 22 requisiti tecnici  previsti per  legge recepivano in parte le Linee Guida Web Content Accessibility Guidelines  WCAG 1.0 e poi le WCAG 2.0, mentre ora la legge prevede che vengano recepite le linee guida standard nella versione vigente, 2.2 e successive.

Inoltre nel decreto attuativo e nelle successive modificazioni  è stato ampliato il novero degli aventi obbligo  ad ottemperare alle regole previste per legge e dunque, oltre alle Pubbliche Amministrazioni e agli Enti pubblici presenti nell’elenco IPA, sono obbligate a rispettare l’accessibilità di siti web e app mobili anche gli Enti privati che nel triennio abbiano superato un  fatturato medio annuo di 500 milioni di Euro. Va notato positivamente che l’accessibilità è prevista  anche nel Codice degli appalti, pertanto nei bandi pubblici di gara  le aziende appaltatrici devono considerare l’accessibilità dei prodotti digitali che realizzano e consegnano.

La norma dunque riguarda una platea di soggetti abbastanza ampia e molte sono le best practice di coloro che, pur non essendo obbligati per legge, valutano l’accessibilità come un’opportunità di crescita di clienti e quindi di aumento di mercato per i propri prodotti  e servizi. Ultimamente si parla di accessibilità in vari settori, come quello del turismo, della comunicazione, della mobilità, ma i problemi restano sempre a livello  di base, ovvero sul come realizzare concretamente siti e app accessibili, di cui  se ne sa poco o nulla.

Le regole tecniche restano le stesse e basterebbe porre attenzione ad etichettare correttamente link e pulsanti, a non pubblicare pdf-immagine e a mettere sottotitoli o audiodescrizioni laddove un file multimediale sia solo audio o solo video.

Diciamo che se ne parla, ma solo tra addetti ai lavori, mentre è importante che l’accessibilità esca dagli ambienti del mondo della disabilità in cui è nota. Dopo vent’anni manca ancora una vera e propria cultura sull’accessibilità, considerata da molti solo come un problema, un obbligo, piuttosto che come un’opportunità conveniente per molti, anzi per tutti.

Negli ultimi anni  una  grande novità è rappresentata dalle tecnologie mobili: diverse  app accessibili hanno di molto migliorato l’utilizzo dei servizi digitali, slegandoli dal singolo sito web, in quanto spesso la relativa app mobile risulta più snella e usabile ed offre la possibilità di evitare di affrontare i limiti di accessibilità del sito web ufficiale. Tale risorsa non appare come una giusta soluzione al problema, ma è pur sempre un aspetto positivo da considerare.

Dal 2025 si avrà un’ulteriore virata verso l’accessibilità grazie alla Direttiva European Accessibility ACT (EAA) che rafforzerà quanto previsto dalla legge Stanca con ricadute pratiche: si parla infatti di  prodotti  e servizi immessi sul mercato europeo, tra cui bancomat, strumenti di pagamento digitale come i POS, macchine per l’emissione di biglietti, sistemi operativi, computer, tablet e cellulari, elettrodomestici e molto altro!

Questo comporterà  un aumento di ricerca di informazioni su modalità di progettare prodotti e servizi accessibili e usabili da parte di tutte le aziende produttrici. Motivo per il quale è dunque necessaria una cabina di regia forte e vigile.

Come afferma anche Roberto Scano, uno dei massimi esperti in tema di accessibilità a livello nazionale e internazionale, “tutti aspettano il 2025, ma gli obblighi di accessibilità e di non discriminazione esistono già con il decreto legislativo 216/2003 riguardante il mondo del lavoro e con la legge 67/2006 per tutti gli altri ambiti”.

Manca un vero e proprio raccordo tra le  competenze e le figure esperte nei vari settori dell’accessibilità, che non è più una caratteristica unica, ma  va declinata a seconda del tipo  di prodotto o servizio e del livello tecnico di progettazione, ovvero  di hardware, di software, o  di un puro utilizzo pratico.

È semplice e condivisibile affermare  che tutto debba essere prodotto secondo il principio dell’Universal Design, ma poi chi sa farlo veramente? Qualche tipologia di utenza specifica può sfuggire, e molte cose vanno progettate  con esperti di ogni settore.

Manca l’insegnamento della materia a livello universitario, elemento che ormai non riguarda soltanto ingegneri e informatici, ma anche esperti di comunicazione, informazione, cultura, turismo, salute, ecc.

Pur essendo previsto uno specifico strumento per segnalare i problemi3, prima all’Agenzia per l’Italia digitale e poi al Responsabile Civico digitale, sono ancora poche le segnalazioni che pervengono, probabilmente perché i cittadini delegano al mondo associativo la rivendicazione dei propri diritti, o  perché ritengono debole e poco efficace la procedura per la soluzione.

Basterebbe anche solo far valere la legge antidiscriminazione presso un giudice e la sentenza farebbe giurisprudenza, ma su questo probabilmente si è un po’ pigri e dunque,  piuttosto che imbarcarsi in procedure formali di reclamo, ovvero segnalazioni di inaccessibilità e denuncie legali, si preferisce risolvere  in maniera pratica i problemi legati alle tecnologie.

Ciò è comprensibile, se si pensa che una persona con disabilità deve affrontare le complicazioni quotidiane e ordinarie legate alla disabilità, per cui ogni ulteriore impegno sia pure per far valere i propri diritti, richiede tempo, energie, competenze non sempre presenti contemporaneamente.

Cosa è opportuno introdurre?

Dovrebbe esserci una cabina di regia forte ed efficace, tra il Ministero per le Disabilità, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, il Dipartimento Trasformazione Digitale e l’AgID, che sia preposta al monitoraggio e al controllo di  prodotti e servizi e abbia forza sanzionatoria.

Anche le associazioni più rappresentative e i singoli cittadini dovrebbero fare da sentinella, ma come detto sopra, non sempre hanno le forze necessarie per portare avanti battaglie efficaci e risolutive.

In ambito lavorativo, un buon esempio utile all’affiancamento nella lotta sull’accessibilità degli strumenti di lavoro  potrebbe essere la figura del Disability Manager, responsabile certificato per l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, ma si tratta di una figura professionale ancora poco nota, pur se obbligatoria in enti pubblici con più  di 200  dipendenti.

Tale figura potrebbe essere un punto di riferimento centrale tra l’azienda e i lavoratori con disabilità, nella soluzione di  problemi di accessibilità degli strumenti di lavoro, che se restassero irrisolti porterebbero conseguenze negative sia individuali che collettive, come inattività  e improduttività, peso economico per l’azienda e peso economico sociale.

Fortunatamente, di diverse imprese di grandi dimensioni del settore privato hanno colto l’utilità  delle competenze e dei suggerimenti di un disability manager, in grado di fornire opportune  soluzioni pratiche e tecniche per mettere in condizioni di lavorare anche le persone con disabilità. A volte, credetemi, basta veramente poco!

Altro aspetto previsto dalla legge Stanca è che l’AGID effettui monitoraggi triennali a campione. È evidente che questi non bastano a risolvere le problematiche a breve termine, pur essendo di importanza fondamentale a livello statistico. Ciò che risulta molto utile, ed è prevista per legge in caso di contratti di fornitura sopra una certa soglia, è la “verifica soggettiva”: si tratta di un test da parte di un pull di persone con diverse disabilità, visiva, uditiva, intellettiva e fisica, che si effettua prima di consegnare un prodotto; viene prodotto un report completo su cosa va bene e cosa va migliorato.

A tal proposito, dato che è necessario inventare nuovi lavori inclusivi, perché non pensare ad impiegare proprio in ambito di testing di accessibilità e usabilità le persone con disabilità?

  1. Legge 9 gennaio 2004, n. 4 “Disposizioni per favorire e semplificare l’accesso degli utenti e, in particolare, delle persone con disabilità agli strumenti informatici”.
  2. Direttiva UE 2016/2102 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2016, relativa all’accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici.
  3. Si vedano le Linee Guida di design per i siti internet e i servizi digitali della PA, scaricabili dal sito AgID.