La non autosufficienza riguarda il servizio sanitario nazionale?


Maurizio Motta | 4 Dicembre 2019

La domanda del titolo pare condurre ad un’ovvia risposta positiva, non foss’altro perché da sempre ci sono nel sistema sanitario sia professioni (come la geriatria o la psichiatria) sia servizi, che di non autosufficienza si occupano.

Ma merita chiarire, perché vorremmo discutere degli interventi per la tutela di chi non è autosufficiente nelle funzioni della vita quotidiana: per la cura di sé (lavarsi, vestirsi, nutrirsi, usare il bagno, muoversi in casa e fuori) e per la cura dell’ambiente (il letto, l’abitazione). Non quindi degli interventi di natura esclusivamente sanitaria (attività infermieristiche, mediche, ausili), né solo di assistenza sociale (come il sostegno del reddito).

 

È persino banale ricordare che senza questi supporti, quando la persona non è autonoma, è inutile anche una consistente assistenza sanitaria al domicilio. Ed altrettanto banale è ricordare come l’aumento di persone (prevalentemente anziane) con questi bisogni mette in crisi le risposte del welfare, e produce sofferenze nelle famiglie che hanno ormai raggiunto livelli insostenibili.

 

Dunque vorremmo discutere di un ruolo del SSN non solo nel costruire interventi/percorsi coordinati con altri (come quelli socio-assistenziali), ma nell’assumere meglio titolarietà primaria della competenza nella tutela dei non autosufficienti, e dei conseguenti impegni di spesa. Sul punto sono presenti due concezioni diverse:

  • Chi sostiene che gli interventi di tutela richiamati all’inizio debbano essere di competenza esclusiva del comparto socioassistenziale, e non del servizio sanitario, perché quest’ultimo deve limitarsi a interventi con operatori e strumenti di profilo tecnico sanitario. Per tradurre questa tesi in una espressione rozza ma efficace “non deve essere il SSN a pagare le badanti”.
  • E chi sostiene invece che i bisogni descritti all’inizio sono connessi a problemi di salute (il che peraltro è evidente) e dunque il SSN non può eludere una sua competenza ad occuparsi di tutte le modalità di intervento che “producono salute” ed evitano aggravamenti.

 

A chi scrive, questa seconda tesi pare più corretta per molte ragioni; proviamo ad esporne cinque1 con sguardi sulla normativa, tenendo conto che il punto centrale consiste nel fatto che nel SSN sia prevista come LEA (e dunque come ordinaria competenza di spesa) una parte dell’assistenza al domicilio di tutela negli atti della vita quotidiana.

 

1) Una prima ragione è che da tempo già accade che il SSN impegni sue risorse anche finanziarie (e proprio come LEA) in interventi di tutela che non consistono solo in azioni di operatori sanitari professionali. I LEA (e sin dal 2001) già prevedono l’inserimento in strutture residenziali di disabili e anziani non autosufficienti con metà del costo a carico del SSN; costo che copre non solo le spese di professioni o atti sanitari ma, appunto, tutte le prestazioni di tutela nella vita in RSA (dai pasti alle pulizie). Dunque perché non deve accadere lo stesso nell’assistenza domiciliare (che tra l’altro costa allo stesso SSN molto meno di un posto in RSA), analogamente prevedendo che l’assistenza di tutela sia in parte a carico del SSN?

Inoltre, e da molto tempo, vi sono altre spese del SSN per funzioni di tutela non consistenti in attività sanitarie o di professioni sanitarie: gli stessi LEA prevedono il rimborso delle spese di trasporto ai centri dialisi per i nefropatici cronici (art. 55 del dPCM n° 15/2017). E vi sono servizi psichiatrici che erogano anche sostegni monetari ai pazienti entro il loro progetto terapeutico, o sostegni domiciliari come quelli citati. Quindi già vi sono importanti interventi nei quali intervento e spesa del SSN riguardano “tutti i modi per fare salute”, e non solo gli “atti sanitari”.

E tuttavia è vero che, se non si vuole che un SSN squilibrato che sostenga solo i ricoveri in RSA e non almeno altrettanto l’assistenza al domicilio, occorra rafforzare (in primis nei LEA e poi in atti regionali) l’obbligo del SSN a compartecipare all’assistenza domiciliare, superando le ambiguità dell’attuale art. 22 del dPCM n°15/2017 sulle cure domiciliari. Ed anche esponendo LEA non generici, ma più consistenti in standard (offerte esigibili, volumi minimi di intervento, tempi massimi per fruirne).

2) Una seconda ragione è che è più efficace. Vi sono esperienze (purtroppo pochissime) dove l’assistenza domiciliare per non autosufficienti opera con questo meccanismo: la valutazione in UVG identifica un bisogno assistenziale che è abbinato ad un massimale di spesa, il quale contiene risorse sia sanitarie che sociali (inclusa la contribuzione del cittadino), cioè un “budget di cura” che può essere trasformato nell’intervento domiciliare che è più adatto alla persona in quel momento: assegno di cura con il quale la famiglia può assumere un’assistente familiare, buono servizio per ricevere un mix di prestazioni da fornitori accreditati, contributo alla famiglia che assiste da sé, affidamento a terzi, e altro.2.

Le due concezioni esposte all’inizio sul ruolo del SSN contrappongono dunque due possibili meccanismi:

  • un’offerta spezzata in competenze del SSN (con poche ore settimanali solo di operatori professionali, come gli OSS) e in competenze dei Comuni (con il rischio di avere poche ore di assistenti familiari); ma con l’effetto di essere utile solo alle famiglie che da sole possono pagarsi altre ore di assistenza;
  • oppure una ricomposizione di tutte le risorse (del SSN, dei Comuni, delle famiglie) in un budget con il quale si attiva ciò che serve in quel momento per i supporti nella vita quotidiana, che consista anche (ove opportuno) in molte ore di assistente familiare.

Peraltro un intervento di tutela al domicilio dipende da condizioni (del paziente, della famiglia, del contesto) difficilmente predefinibili, e che mutano. Dunque non è efficace poter erogare soltanto prestazioni che siano a priori già catalogate, ma occorre adattarle alla situazione. Senza che solo ad alcuni interventi (come le ore di OSS) si assegni a priori “dignità ed efficacia” sociosanitaria: familiari e assistenti familiari possono avere altrettanta efficacia, purché in un progetto appropriato e monitorato, con le eventuali necessarie azioni di altri professionisti.3

3) Una terza motivazione è la ragionevolezza, che non è mero “buon senso” ma anche un criterio costituzionale al quale devono uniformarsi i sistemi pubblici. Poiché discutiamo di “diritto all’assistenza”, il diritto non può che consistere nel ricevere tutto ciò che genera tutela, indipendentemente sia dal tipo di operatori coinvolti (infermieri, OSS, assistenti familiari) sia dalla forma degli interventi (operatori pubblici, assunzione di badanti con contributo pubblico, lavoro di cura dei familiari, buono servizio per ricevere assistenti familiari da fornitori terzi). La ragionevolezza impone che il nucleo fondamentale del diritto alla salute da garantire sia “il vivere al meglio tutelati”, e non solo “ricevere ore di infermiere o di OSS”. Inoltre assumere che debbano essere LEA (e quindi a carico del SSN) solo le prestazioni svolte da OSS, è illogico considerando che il costo orario dell’OSS è notevolmente superiore a quello dell’assistente familiare. È ragionevole che il SSN contribuisca solo con l’operatore più costoso?

4) Quali diritti vogliamo tuteli il SSN? Assumere che nell’assistenza al domicilio i supporti nelle funzioni della vita quotidiana possono essere solo “extra LEA”4, assegna il dovere di garantire queste prestazioni solo ai Comuni o alle famiglie. E i Comuni sono più soggetti a incertezze nei finanziamenti, con conseguenze sulla esigibilità di quello che per il cittadino dovrebbe essere invece un diritto garantito. Ma vogliamo un Servizio sanitario che abbia come compito solo l’erogazione di prestazioni incardinate in specifiche professioni, oppure la tutela della salute come diritto, a prescindere dagli strumenti che deve usare allo scopo? Meglio un diritto alla salute che consista nel ricevere tutto ciò che supporta i bisogni della persona con limitazioni, e non nel fornire solo “prestazioni sanitarie predefinite”. E, come si è ricordato al punto 1) è proprio ciò che già il SSN da tempo mette in opera in molte esperienze in psichiatria e in tutti gli inserimenti in RSA di non autosufficienti (sia anziani che disabili).

5) Prevedere spese a carico del SSN non mira ad alimentare un conflitto su “chi deve pagare” tra Aziende sanitarie e Comuni, per far risparmiare i Comuni a scapito delle Aziende Sanitarie. Sempre di denaro pubblico si tratta, il cui uso efficiente è da perseguire comunque. Ma la responsabilità finanziaria anche delle Aziende sanitarie è ingrediente necessario per dare concretezza alla loro titolarità primaria nell’assistenza domiciliare ai non autosufficienti, che gestisce appunto esiti di malattia/traumatismi, comunque si attui la modalità di tutela. Ad evitare che (anche data l’assenza di livelli essenziali nazionali sui servizi socio assistenziali), assegnare l’intera assistenza tutelare domiciliare agli Enti gestori dei servizi sociali produca maggiori spese per le famiglie o minori offerte di prestazioni, o privi la tutela al domicilio di garanzie giuridiche robuste perché sottratta alla natura di LEA.

 

La tesi che qui si sostiene incontra possibili obiezioni, e proviamo a esporne cinque, ma invitando chi le sostenga a confrontarle con quanto si segnala:

  • Prima obiezione: non ci sono abbastanza risorse nel SSN, per includervi anche i sostegni domiciliari nella vita quotidiana. È un nodo di tutto rispetto, ma anche senza entrare nelle possibilità di ridurre spese poco efficaci del SSN (che pure è un’area di lavoro alla quale non sfuggire), merita ricordare che:
    • vi sono pochi problemi di origine sanitaria così dirompenti (come dimensione e gravità) nella vita di milioni di famiglie, e sui quali il welfare è in così grave ritardo. Come può il SSN eluderli? È chiaro che ciò implica anche più risorse del FSN da destinare alla tutela della non autosufficienza, ma che razza di LEA riteniamo idonei se non si punta proprio al loro interno a garantire (ed ovunque in Italia) almeno un livello minimo di tutele davvero esigibili su un problema così diffuso?
    • il SSN oggi spende intorno ai 150 euro al giorno per un posto letto in case di cura post ricovero ospedaliero (per 60 giorni in attesa del ritorno al domicilio del non autosufficiente o del suo inserimento in RSA); costo interamente a carico del SSN e per degenze spesso inappropriate, non di rado meri “posteggi” in attesa di un posto in RSA o in assistenza domiciliare. E il SSN spende intorno ai 40 euro al giorno per la parte sanitaria della retta in RSA, che è circa il 50% del costo totale, il resto del quale è a carico del ricoverato e/o dei comuni. Con una spesa molto minore potrebbe coprire il 50% del costo di una robusta assistenza domiciliare tutelare. Non sarebbe un significativo risparmio interno allo stesso SSN?
    • già ora è in atto una spesa consistente, sia delle famiglie che di diversi rami del settore pubblico (interventi socioassistenziali dei Comuni, indennità di accompagnamento, percorsi Home Care Premium dell’INPS, spese INPS per i congedi lavorativi di chi ha familiari non autosufficienti, ipotesi di contributo ai caregiver). C’è dunque il tema di ricomporre filoni scoordinati di risorse ed interventi entro un budget di cura unificato e utilizzabile per ciò che davvero serve al paziente e alla famiglia. Ma questo non deve significare solo “mettere insieme le risorse sociali”, rinunciando a una più chiara competenza del SSN dell’assistenza domiciliare ai non autosufficienti.
  • Seconda obiezione: non è giusto che il SSN spenda per interventi di supporto negli atti della vita quotidiana, perché questa “per natura” è una spesa socioassistenziale. Ma questa obiezione deve misurarsi col fatto che, come evidenziato, vi sono già diversi interventi a carico del SSN di questa natura. Vogliamo che il SSN mantenga questo irrazionale strabismo? Peraltro la titolarietà di funzioni in capo a soggetti pubblici (con le conseguenti competenze di spesa) deriva dalle scelte sui modelli di welfare che si perseguono e non da “logiche naturali” o dalla mera denominazione dei servizi coinvolti.
  • Terza obiezione: il SSN non può occuparsi da solo della tutela negli atti della vita quotidiana. Ma nessuno immagina e chiede una cosa del genere. Anzi è necessario che il sistema delle cure locali sia costruito con più forti obblighi di accordi di programma tra ASL ed Enti gestori dei servizi sociali (cosa oggi decisamente rara), che chiariscano bene i rispettivi ruoli e impegni. Ma prima dell’integrazione sociosanitaria (leit motiv ricorrente su questi temi) è utile introdurre precisazioni sulle competenze (anche finanziarie) del sistema sanitario e di quello sociale. Dopo di che certo occorre dare forma organizzativa a tutta la filiera sociosanitaria per le persone non autosufficienti: da punti di primo accesso capaci di ampia informazione, alla valutazione multidimensionale della non autosufficienza, alla costruzione di un piano di assistenza che offra una gamma di interventi, a snodi che gestiscano la continuità di cure tra ospedale / case di cura / territorio.
  • Quarta obiezione: il problema va risolto solo definendo i livelli essenziali dei servizi sociali. Che questi LEP debbano essere definiti è evidente, ma non è questa la modalità idonea per esaurire l’intero disegno del sistema. Se infatti i “livelli essenziali del sociale” (auspicabili) ed il Fondo Nazionale per la Non Autosufficienza (esistente) fossero gli unici strumenti per rafforzare l’assistenza ai non autosufficienti, nessuna delle 5 motivazioni prima esposte (in particolare per l’assistenza domiciliare) troverebbe risposta5
  • Quinta obiezione: se si usano indistintamente dal “budget di cura” risorse di fonte diversa (SSN, Comuni, famiglie) si crea una ingestibile confusione o si obbligano amministrazioni a spendere impropriamente. Ma è esattamente il concetto di appropriatezza, anche sotto il profilo della correttezza contabile, che si vuole perseguire: appropriato non è che “ciascun Ente compri o spenda solo ciò che ha sempre fatto”, ma che “serva ciò che si fa”; e “serva” significa poter costruire il piano di assistenza anche col vantaggio della flessibilità nell’uso dell’intero budget di cura. Certo uso del budget e piano di interventi vanno gestiti; ma questa è una necessità in qualunque assetto delle competenze.

 

Merita peraltro ricordare che vi sono attualmente almeno due contenitori giuridici in divenire nei quali sarebbe opportuno rafforzare come LEA l’intervento del SSN sulla non autosufficienza, soprattutto nella tutela al domicilio: il costruendo Patto per la Salute, e le possibilità di revisione degli stessi LEA. E che sarebbero utili iniziative delle Regioni sul tema.

  1. Questa tesi, e molte delle motivazioni qui esposte, sono tra i contenuti del “Manifesto per la tutela della non autosufficienza”, promosso da numerosi attori sociali in Piemonte, e che registra ad oggi l’adesione di 39 organismi del terzo settore, 19 Comuni ed enti gestori dei servizi sociali, 582 persone singole. Il Manifesto si può scaricare qui e chi vuole aderire può scrivere a: segreteria@bottegadelpossibile.it
  2. Importante considerare che ciò che serve ai non autosufficienti e alle loro famiglie per l’assistenza al domicilio, non è soltanto “denaro per retribuire assistenti familiari” (perché non tutte le famiglie sono in grado di trasformarlo in interventi di assistenza), bensì un più completo “sistema delle cure”, che da un lato garantisca prestazioni esigibili (e non solo collochi in lista d’attesa) e dall’altro offra la scelta entro un insieme articolato di sostegni, da adattare alla specifica condizione della persona e della sua rete familiare
  3. Questa osservazione è anche in D. Bodda, M. Merana, “Dieci buone ragioni perché le cure domiciliari siano LEA”, in Welfare Oggi, n°2/2014
  4. Ossia con risorse aggiuntive a quelle destinate ai livelli essenziali di assistenza del SSN
  5. Su come il recentissimo Piano Nazionale per la non Autosufficienza (a corredo del relativo Fondo) si misura con questi snodi mi permetto di rinviare all’articolo pubblicato su questo sito: M. Motta “Piano Nazionale per la Non autosufficienza: possibili miglioramenti?” del 24 Ottobre 2019.

Commenti

Per la non autosufficienza va potenziato il concetto delle spese così dette a rilievo sanitario che oggi in Emilia Romagna sono riconosciute, limitatamente ai servizi con accreditamento socio-sanitario, utilizzando il Fondo Regionale per la non autosufficienza. L’onere a rilievo sanitario viene erogato per coprire l’assistenza di base necessaria in ragione del grado di non autosufficienza. Partendo da questo concetto, la persona non autosufficiente necessita di assistenza non sanitaria per le attività della vita quotidiana proporzionate al suo grado di non autosufficienza. Tale concetto andrebbe ulteriormente esteso in termine di risposte ai bisogni delle persone non autosufficienti, anche a domicilio. E’ sufficiente l’assegno di cura, da non confondersi con l’accompagnamento erogato dall’INPS?

Per favore qualcuno dica come e quanto il d.P.C.M.conosciuto come decreto Craxi del 1985 (che decretò la separazione le prestazioni socio-sanitarie da quelle socio-assistenziali e relativi finanziamenti), abbia effettivamente prodotto il contenimento della spesa auspicato e non abbia invece generato una serie infinita di errori e storture incostituzionali, che tutti i numerosi provvedimenti successivi non sono mai riusciti a rimediare, in quanto l’impostazione iniziale ne ha determinato il risultato.
Bisognerebbe avere il coraggio di fermarsi, cancellare tutte le sovrastrutture e semplicemente ritornare alle origini rifacendosi ai fondamentali Costituzionali.
Il SSN non può ignorare il socio assistenziale, almeno quanto il Servizio Sociale non può scindersi completamente dal Sanitario.
Le persone non sono o sane o malate, la salute è determinata anche da condizioni sociali rispettose delle esigenze della vita quotidiana. E le condizioni per svolgere agevolmente gli atti quotidiani della vita dipendono anche dalle condizioni di salute.

In relazione ai due commenti dei lettori segnalerei che:
1) L’articolo cerca di spiegare perchè il SSN deve impegnare proprie risorse nel partecipare anche al budget di cura da usare per l’assistenza domiciliare “di tutela della vita quotidiana” che non può essere delegata solo “al sociale” o alle famiglie. Questa scelta dovrebbe essere inclusa anche nel modo con cui diverse Regioni hanno costruito “Fondi regionali per la non autosufficienza”, visto che esiste il rischio che quei fondi non producano davvero questo risultato
2) E’ importante che l’intervento domiciliare non sia unico o prefissato (ad esempio solo assegno di cura), ma consista nel trasformare il budget di cura (nel quale oltre alle risorse del SSN ci sono anche quelle dell’utente, come l’indennità di accompagnamento) e dei Comuni (se l’utente non ha sufficienti risorse)in ciò che è più adatto alla persona, scegliendo tra diverse opzioni: assegno di cura con il quale la famiglia può assumere un’assistente familiare, ore OSS, buono servizio per ricevere un mix di prestazioni da fornitori accreditati, contributo alla famiglia che assiste da sé, affidamento a terzi, e altro