La povertà dei cittadini stranieri prima e dopo la prima fase dell’emergenza sanitaria


Eleonora Gnan | 2 Novembre 2020

Lo avevamo già commentato a giugno, in occasione della pubblicazione degli ultimi dati Istat sulla povertà in Italia. Nel 2019 nel nostro Paese le famiglie in condizioni di povertà assoluta sono quasi 1,7 milioni che, con un’incidenza pari al 6,4%, coinvolgono complessivamente 4,6 milioni di individui. Ormai è una consuetudine che si ripete da anni: i più colpiti sono i minori, le famiglie residenti nel Mezzogiorno e quelle che vivono in affitto. Anche gli stranieri sono tra le categorie più esposte alla povertà, non solo economica ma anche educativa, relazionale e sanitaria.

 

 

I dati ufficiali prima del Covid-19

Nel 2019 le stime Istat contano quasi 1,4 milioni di stranieri in povertà assoluta, registrando un’incidenza del 26,9% contro il 5,9% dei cittadini italiani. Tale incidenza risulta maggiore per quelle famiglie composte esclusivamente da stranieri (31,2%), seguite da quelle con almeno uno straniero (27%) e dai nuclei misti (20%).

Livelli di povertà assoluta superiori alla media si registrano anche nelle famiglie composte da soli stranieri con figli minori, che presentano un’incidenza del 31,2%, ossia un valore cinque volte superiore a quello delle famiglie di soli italiani con minori. Nel Mezzogiorno tale dato sale al 36,8%. Particolarmente critica risulta infatti la situazione delle famiglie straniere residenti nel Sud Italia e nei piccoli comuni con meno di 50 mila abitanti, dove la povertà assoluta si aggira intorno al 25%. Segnali di miglioramento rispetto al 2018 si registrano invece per le famiglie di soli stranieri residenti nelle Regioni del Centro (da 23% a 15,7%). Per quanto riguarda la condizione professionale della persona di riferimento della famiglia, la povertà assoluta raggiunge il 33,3% nei nuclei composti da soli stranieri con persona di riferimento in cerca di occupazione, contro il 16,3% delle famiglie di soli italiani.

Gli ultimi dati Istat sembrerebbero quindi delineare uno specifico identikit dello straniero povero: persona in cerca di occupazione, con figli minori a carico e residente nei piccoli comuni del Mezzogiorno. A questo si aggiunge un altro elemento significativo: l’assenza di un’abitazione di proprietà. Per via di una più bassa capacità reddituale e di una minore probabilità di avere accumulato risparmi o di aver avuto accesso a beni ereditari, la maggioranza delle famiglie straniere vive in affitto. L’incidenza della povertà assoluta nei nuclei stranieri in affitto raggiunge il 26,6%, contro il 15,1% di quelli italiani.

Le famiglie straniere sono tra le più colpite non solo dalla povertà economica e reddituale, ma anche da quella educativa e sanitaria, tra loro strettamente intrecciate. Queste si traducono, da un lato, in minori possibilità di accesso ai servizi pubblici, minori capacità di partecipazione ad attività culturali e ricreative, maggiori limitazioni nelle attività relazionali e sociali, maggiori rischi di abbandono e dispersione scolastica, minori livelli d’istruzione e situazioni lavorative precarie. Dall’altro lato, assistiamo a peggiori condizioni di salute e maggiori difficoltà ad accedere alle cure necessarie, se non addirittura rinuncia alle stesse in conseguenza della scarsità del reddito. L’indagine Istat sulle spese per consumi delle famiglie riferita all’anno 2019 mette infatti in evidenza come le quote di spesa destinate a servizi sanitari e salute dalle famiglie con almeno uno straniero siano decisamente più contenute rispetto alle famiglie composte da soli italiani. Mentre le famiglie di soli italiani destinano alla salute circa 123 euro mensili, pari al 4,7% della loro spesa totale, le famiglie composte da soli stranieri, che dedicano alla salute solo il 3,5% della loro spesa mensile, spendono circa 70 euro al mese. Il Rapporto 2019 di Banco Farmaceutico sottolinea inoltre come la spesa totale mensile pro capite per servizi sanitari e salute delle famiglie povere, pari in media a poco più di 10 euro mensili, registra forti differenze al variare della cittadinanza della persona di riferimento: 12,3 euro mensili delle famiglie povere italiane contro i 6,2 euro delle famiglie povere composte da soli stranieri, quasi la metà. Uguale gap si rileva anche nell’acquisto di prodotti farmaceutici: 3 euro mensili per i poveri stranieri contro 8 euro nel caso dei poveri italiani, più del doppio.

Un ulteriore importante elemento di analisi delle condizioni di povertà degli stranieri arriva dal XXIX Rapporto Immigrazione 2020 realizzato da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes. È in particolare l’approfondimento curato da Walter Nanni ad entrare nel dettaglio mediante l’analisi dei dati raccolti dai Centri di ascolto Caritas nel corso del 2019, offrendo una lettura del fenomeno precedente alla pandemia Covid-19. Secondo i dati provenienti da 144 Caritas diocesane, le persone incontrate durante l’anno passato dalla rete dei Centri di ascolto Caritas sono state oltre 124 mila. Di queste, la maggior parte (52,2%) è costituita da cittadini stranieri che, provenienti in larga misura da Marocco e Romania, si concentrano essenzialmente nelle diocesi del Nord-Est d’Italia, la cui incidenza è pari al 62,4%, seguite da quelle del Nord-Ovest (57%). I valori più bassi si registrano invece nelle Isole (25,8%).

Un numero piuttosto elevato di stranieri che si rivolgono ai Centri di ascolto Caritas è costituito da persone senza dimora e in situazioni di grave marginalità, con problemi afferenti alla sfera abitativa, relazionale e all’accesso ai principali diritti sociali. D’altra parte, oltre la metà (66,8%) delle persone senza dimora che si rivolgono alla Caritas è proprio di cittadinanza straniera.

Dall’analisi dei bisogni registrati emerge come, sia per i cittadini italiani sia per quelli stranieri, le maggiori difficoltà afferiscano alla sfera materiale. Il 76,3% degli stranieri che si rivolgono ai Centri di ascolto Caritas presenta problemi di povertà economica: all’interno di questa macro-categoria spiccano situazioni di reddito insufficiente e di assenza totale di entrate. Il secondo ambito di bisogno è costituito da problematiche relative al lavoro, che riguardano il 53,2% degli stranieri intercettati. Rispetto a questa macro-categoria pesa maggiormente lo stato di disoccupazione, i casi di licenziamento, di precariato e di lavoro in nero. Il terzo nodo critico riguarda problemi relativi all’abitazione, che coinvolgono il 31,1% degli stranieri. Al suo interno emergono come particolarmente problematiche le situazioni di quanti sono privi di un’abitazione, di chi può contare solo su un’accoglienza provvisoria e di chi è sotto sfratto. Il quarto ambito di bisogno, che riguarda il 21,9% degli stranieri, si riferisce a problematiche legate all’immigrazione, e in particolare a questioni legate a situazioni di fuga da contesti di guerra, alle domande di asilo, all’irregolarità giuridica e a problemi burocratici e amministrativi. Al contrario, le problematiche familiari e sanitarie – forse perché considerate, soprattutto le seconde, più facilmente rinviabili e tenuto conto della tendenza degli stranieri poveri a spendere di meno per questioni relative alla salute – sono molto più diffuse tra gli italiani (21,2% e 18,9%) che tra gli stranieri (8,8% e 8,2%).

 

 

La situazione post-Covid-19

Sulla situazione post-Covid-19, e in particolare sulle condizioni di povertà degli stranieri in seguito all’emergenza sanitaria, si sa ancora troppo poco. I dati finora presentati fanno infatti riferimento alla situazione italiana nel 2019, senza quindi tenere conto dell’impatto socio-economico che la pandemia ha esercitato – e sta ancora esercitando – nel nostro Paese. Utili spunti di riflessione arrivano sempre dal Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, che avanza l’ipotesi secondo la quale le restrizioni imposte dal lockdown sui vari aspetti della vita sociale delle famiglie abbiano penalizzato fortemente i nuclei stranieri, anche per via di una situazione lavorativa – lavoratori irregolari e stagionali, badanti e assistenti familiari, venditori ambulanti – già notoriamente più debole e meno tutelata di quella degli italiani.

Nel mese di giugno Caritas ha condotto un monitoraggio relativo al trimestre marzo-maggio 2020, comprendente tutta la prima fase delle misure anti-Covid-19 e l’avvio della seconda fase. I dati, provenienti da 169 Caritas diocesane, hanno messo in evidenza la posizione di fragilità delle famiglie di origine straniera nel corso della pandemia. In soli tre mesi Caritas ha aiutato oltre 445 mila persone, contro una media annua in condizioni di “normalità” di circa 200 mila individui. Sul totale dei beneficiari nel periodo marzo-maggio, gli stranieri che hanno chiesto aiuto alla Caritas sono stati circa il 38,4%, e costituiscono il 32,9% dei quasi 130 mila “nuovi poveri” che nello stesso periodo si sono rivolti ai Centri di ascolto.

Al di là dei numeri, la condizione di fragilità delle famiglie straniere durante la pandemia emerge anche da elementi percettivi e testimonianze qualitative raccolte dalle Caritas diocesane, che hanno monitorato in tempo reale quel che stava succedendo sui territori. In riferimento a diversi ambiti di criticità, le situazioni problematiche sono state molteplici e legate, da un lato, a fenomeni di riduzione del reddito e della mobilità territoriale e, dall’altro, alla mancata esigibilità dei diritti socio-assistenziali, determinata sia da situazioni di povertà educativa, culturale e relazionale tali da rendere complesso l’orientamento all’interno del sistema di welfare italiano sia da circostanze di esclusione sociale della platea straniera. In tal senso, un esempio significativo è quello del cosiddetto “Bonus spesa” – previsto dal Decreto Cura Italia, incrementato con l’ordinanza 658/2020 del Capo della Protezione civile e rifinanziato dal Decreto Rilancio – che molti Comuni italiani hanno erogato operando distinzioni in base alla cittadinanza, alla residenza anagrafica o al permesso di soggiorno dell’avente diritto, escludendo di fatto diversi cittadini stranieri.

Un altro esempio è quello del Reddito di Cittadinanza. Lo stesso Istat ha identificato una correlazione tra l’andamento positivo della povertà in Italia nel 2019 – per la prima volta dopo quattro anni in lieve riduzione – e l’introduzione del Reddito di Cittadinanza. Tuttavia, se si guarda specificatamente la condizione dei cittadini stranieri, occorre leggere quest’affermazione con cautela. Nonostante la povertà colpisca questa categoria in modo particolarmente marcato, gli ultimi dati dell’Osservatorio Inps sul Reddito e Pensione di Cittadinanza, aggiornati al 6 ottobre, confermano la tendenza ormai consolidata di una bassa inclusione dei cittadini stranieri all’interno della misura, complice il vincolo dei dieci anni di residenza in Italia che ne inibisce l’accesso alla maggior parte. Le famiglie straniere beneficiare di Reddito di Cittadinanza sono infatti poco più di 95 mila e, coinvolgendo oltre 277 mila persone, costituiscono ad oggi solo l’8% del totale dei nuclei beneficiari. Tale incidenza scende ulteriormente se si considera anche la Pensione di Cittadinanza: oltre 98 mila nuclei familiari beneficiari, pari al 7,4% del totale.

 

 

In conclusione

L’analisi presentata dimostra come la condizione di povertà degli stranieri sia un fenomeno fortemente radicato nel nostro Paese e precedente l’emergenza sanitaria connessa alla pandemia, anche se ulteriormente aggravato da quest’ultima.

L’Area politiche e servizi sociali e sanitari dell’IRS in un contributo pubblicato a giugno già aveva messo in evidenza alcuni elementi cruciali per il futuro del nostro welfare, all’interno dei quali la questione dei poveri stranieri trova una collocazione perfetta. L’emergenza Covid-19 amplierà la povertà in termini di allargamento della platea ed acuirsi dei bisogni. Tra gli scenari che è possibile tratteggiare vi sono sia l’aumento delle disuguaglianze in termini di opportunità di accesso ai servizi e tra gruppi di popolazione sia un ulteriore impoverimento dei “già poveri”. D’altra parte, le procedure di emersione dei rapporti di lavoro nei settori dell’agricoltura, del lavoro domestico e dell’assistenza alla persona – che hanno visto oltre 207 mila domande presentate – genereranno ulteriori disuguaglianze, considerata l’esclusione di ampi settori di popolazione straniera dall’esigibilità dei propri diritti.

Dal punto di vista del fenomeno della povertà degli stranieri, e della domanda sociale ad esso correlata, ribadiamo dunque l’esigenza, da un lato, di intervenire con riforme strutturali dell’attuale sistema di protezione sociale, che tradizionalmente lascia ampie porzioni di popolazione prive di coperture e, dall’altro, di agire mediante un pensiero strategico complessivo, che sia in grado di adeguarsi in modo più dinamico e inclusivo ai bisogni della popolazione straniera povera, e non solo.