La rete dei servizi residenziali psichiatrici in Piemonte e Lombardia

Modelli e culture a confronto


Daniela Teagno | 26 Maggio 2017

Oggi in Europa

Le problematiche di salute mentale rappresentano nell’Europa di oggi (che comprende più di 50 Stati e quasi 900 milioni di persone che vivono in condizioni culturali, economiche, sociali e politiche diverse) una sfida per la salute pubblica in termini di prevalenza, carico della malattia e disabilità, nonché dal punto di vista economico e sociale1. Emerge una grande eterogeneità fra gli stati europei: la quantità e la qualità dei servizi psichiatrici sono estremamente variegate, persino contraddittorie.  A più di 10 anni dal messaggio di Helsinki del 20052, che esortava la promozione della salute mentale ritenuta cruciale per il benessere generale delle persone, della società e delle nazioni, raccomandando azioni volte alla prevenzione, alla inclusione sociale, a pratiche basate su servizi territoriali, troviamo ancora diffusi in Europa ambiti istituzionali tradizionali come gli ospedali psichiatrici, grandi strutture para-ospedaliere. Di contro si sta sviluppando un movimento che promuove servizi centrati sulla persona, che uniscono la personalizzazione, la libertà di scelta e la partecipazione dell’utenza, pongono grande attenzione sui punti di forza e le risorse proprie degli utenti e non sui loro problemi di salute mentale.3

 

Dopo Basaglia

In Italia, come risaputo, la riforma psichiatrica del 1978, con l’emanazione della Legge n. 180 (la cd “legge Basaglia”) inglobata in seguito nella Legge n. 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, inserisce i servizi psichiatrici nei servizi sanitari generali per eliminare ogni forma di discriminazione e favorire il recupero e il reinserimento sociale dei malati mentali. Gli Ospedali psichiatrici perdono la loro funzione, in quanto la legge vieta espressamente nuove ammissioni e la loro costruzione.  La riorganizzazione dei servizi psichiatrici avviene lentamente e in modo disomogeneo sul territorio nazionale; ancora oggi si registra una variegata situazione fra le Regioni4. Appare poco probabile che la disomogeneità nella dotazione di strutture residenziali possa essere posta in relazione con variazioni regionali nei tassi di prevalenza dei disturbi mentali o nella richiesta di assistenza da parte dei pazienti psichiatrici. E’ più plausibile che l’ampia variabilità rifletta differenze nella programmazione e nelle politiche adottate a livello locale.

 

Il percorso attuativo in Piemonte

In Piemonte, una delle prime regioni a darsi una legge psichiatrica (L. R. 61/89), si è sviluppato un processo che ha portato alla chiusura definitiva dei manicomi (D.G.R. n. 118-7609/1996) e che ha permesso di sviluppare una rete di percorsi flessibili e un ventaglio abbastanza ampio di soluzioni residenziali, coinvolgendo enti pubblici e attori del privato/privato sociale.

Con la D.G.R 3 giugno 2015, n. 30-1517 la Regione punta al riordino complessivo della rete dei servizi residenziali5. Dalla rilevazione di supporto al provvedimento, aggiornata al 31 dicembre 2014, si individuano sul territorio piemontese le seguenti tipologie di strutture residenziali riservate ad accogliere i pazienti adulti affetti da patologie psichiatriche:

  • 355 Gruppi Appartamento, con 1.365 posti letto;
  • 21 Comunità Alloggio, accreditate, con 208 posti letto;
  • 64 Comunità Protette, accreditate (di cui 54 di tipologia B e 10 di tipologia A), con un totale di 1.263 posti letto.

Si tratta di numeri rilevanti per la residenzialità cosiddetta “leggera”: soprattutto i Gruppi Appartamento (pur non essendo a oggi ancora accreditati) hanno assunto e assurgono una visibilità e una consistenza che ha pochi eguali sul territorio nazionale6. Diventa particolarmente interessante confrontare il contesto piemontese con quello lombardo (dove si superano appena i 200 posti letto tra comunità alloggio e gruppi appartamento).

Un confronto con la Lombardia

In Lombardia i gruppi appartamento, o progetti di residenzialità leggera, sono regolamentati da una Delibera di Giunta Regionale del 2008, sulla base della quale hanno assunto un profilo molto rigido, che li ha ridotti a realtà marginale. Sono intesi come soluzioni assistenziali socio-sanitarie, escluse dai LEA, ossia dai livelli essenziali di assistenza garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale a tutti i cittadini; hanno una tariffa sanitaria fissa di 45 euro al giorno, che consente davvero poche ore di assistenza (intorno a 3 ore al giorno, in media); la quota sociale è a carico degli utenti solventi o dei Comuni e dei servizi sociali. Il risultato è che il numero totale di utenti ospitati in strutture di questo tipo, in tutta la Lombardia, è davvero trascurabile; in Piemonte il tasso di utenti ogni centomila abitanti è più di dieci volte superiore a quello lombardo, mentre le rette non sono mai basse come quelle della vicina regione.

La consistente differenza tra i due contesti regionali non si spiega certo con l’eccessiva prodigalità della Regione Piemonte nel remunerare le strutture cosiddette leggere. Si tratta, piuttosto, di una differenza culturale e di modello. Le scelte normative della Regione Lombardia hanno ridotto la residenzialità leggera a uno strumento residuale, adatto a una ristrettissima minoranza di utenti. Nel modello lombardo, a partire dallo scorso decennio, la grande maggioranza dei pazienti bisognosi di interventi di residenzialità sono inseriti prevalentemente in istituzioni a elevata connotazione sanitaria, simil-ospedaliere, con una presenza di ore mediche e infermieristiche quasi da reparto per acuti, e con rette elevate, a totale carico della sanità. Per ogni posto di residenzialità leggera sono attivi circa dieci posti in comunità psichiatriche, sia riabilitative, sia protette di area assistenziale, ad alta o media assistenza in entrambi i casi. Sono poi diffuse strutture che, all’interno dello stesso comprensorio, ospitano più di una comunità da 20 posti, da due fino a quattro, magari confinanti con altre strutture destinate a diversi utenti, come anziani o disabili, conferendo all’insieme una connotazione sanitaria-ospedaliera molto netta, separata dal mondo esterno7.

In Piemonte, a livello sia politico che gestionale operativo, finora è prevalso nell’ambito della salute mentale un approccio favorevole alla residenzialità leggera, che non significa offrire soluzioni abitative di tipo meramente assistenziale, ma abitazioni con caratteristiche anche terapeutiche declinate a diversi livelli di assistenza. Esistono molti gruppi appartamento con rette intermedie, organizzati in modo flessibile, che svolgono un’irrinunciabile funzione riabilitativa, nell’ambito di percorsi complessi, e che non possono in alcun modo perdere il carattere di strumenti terapeutici essenziali, inequivocabilmente LEA, potendo altresì porsi come alternative, anche dal punto di vista economico, alle Comunità protette di tipo A e B. Quest’ultime, che hanno svolto negli anni una funzione molto importante, in integrazione e dialettica con i gruppi appartamento e con gli altri progetti di riabilitazione territoriale, nessuno pensa che debbano essere svalutate o eliminate, ma non possono diventare l’unico standard, come accadrebbe inevitabilmente se le residenzialità leggera, anche in Piemonte, fosse ridotta ai minimi termini con una regolamentazione di tipo lombardo.

 

Prospettive di azione

Si ricorda che nel Piano d’Azioni Nazionale per la Salute Mentale del 2013 il concetto di LEA viene inteso come “percorsi di presa in carico e di cura esigibili”, e non come singole prestazioni, tenuto conto della particolare complessità, multifattorialità e necessità di trattamenti integrati per i disturbi psichiatrici maggiori, ma anche in relazione ai fattori di rischio biopsicosociale e agli interventi di riabilitazione ed inclusione sociale. I gruppi appartamento sono componenti fondamentali di questi percorsi di presa in carico e pertanto hanno una valenza terapeutica: si possono considerare vere e proprie abitazioni terapeutiche che si collocano fra gli altri nodi della rete di strutture e progetti riabilitativi territoriali (come la domiciliarità, le borse lavoro, l’affido familiare), che riescono a realizzare sinergie evolutive, a disposizione anche  delle strutture più protette che difficilmente potrebbero realizzare i loro obiettivi terapeutici (e soprattutto rispettare i rigidi limiti di durata degli inserimenti previsti sulla carta) senza una strutturale integrazione con altre agenzie e progettualità.

Anche i “basagliani” più ortodossi che tendono a vedere nelle strutture residenziali una riedizione dei manicomi, ovvero contesti non di cura né spazi per abitare ma solo posti letto da occupare, riconoscono l’importanza e il valore della cosiddetta residenzialità leggera quando essa offre la possibilità di vivere la propria vita nel mondo, avendo consapevolezza della malattia, imparando a venire a patti con i sintomi, a farli propri, a controllarli e perfino talvolta a utilizzarli come singolari e impensabili risorse.

A questo proposito segnaliamo due link di approfondimento: abitazioniterapeutiche.it e forumsalutementale.it.

 

Un’altra versione di questo articolo è stata pubblicata anche sul blog: Scambi di Prospettive.

Un articolo di approfondimento verrà pubblicato su uno dei prossimi numeri di Prospettive Sociali e Sanitarie

  1. ESN (European Social Network) (2011), La salute e il benessere mentale in Europa. Per un approccio comune e centrato sulla persona
  2. R. Mezzina, La salute mentale in Europa dopo Helsinki, in “Communitas” n. 12/2006.
  3. Il Piano d’azione europeo per la salute mentale (European mental health action plan) è il faro a cui guarderanno le politiche degli Stati membri fino al 2020 per migliorare la salute e il benessere mentale della propria popolazione. Tale documento, risalente al 2013, è complementare al Piano d’azione per la salute mentale 2013-2020 dell’Oms (Who Mental Health Action Plan 2013-2020).
  4. G. de Girolamo, A. Picardi, P. Morosini e il gruppo Progress, Le strutture residenziali psichiatriche in Italia.  Risultati  del progetto PROGRES, Notiziario Istituto Superiore Sanità, 2001, vol. 14, n. 4. I dati raccolti non sono più stati aggiornati e le informazioni sulla rete dei servizi a tutela della salute mentale in Italia sono tuttora frammentarie.
  5. Sul provvedimento del 2015, successivamente modificato e integrato, grava un giudizio del TAR. Si veda la pagina tematica
  6. Per un quadro sintetico dei servizi per la salute mentale
  7. L’elenco delle strutture psichiatriche lombarde, suddivise per provincia, si può trovare on line