L’Assegno di Inclusione in un welfare che divide


Remo Siza | 12 Giugno 2023

L’instabilità normativa persistente

Per varie ragioni politiche, finanziarie, e in minor misura per i cambiamenti delle condizioni delle famiglie a basso reddito, in poco più di due decenni sono stati approvati e successivamente abrogate una decina di schemi di intervento per il contrasto della povertà (Reddito minimo di inserimento; Reddito di ultima istanza; Carta acquisti (social Card); Sostegno all’inclusione attiva (SIA), Reddito di inclusione (REI), Reddito di cittadinanza; Assegno di Inclusione).

In questi due decenni, più volte sono cambiati le strategie e gli strumenti, l’entità dei finanziamenti, la generosità dei benefici e la loro estensione territoriale, i controlli sui beneficiari. Ognuna di queste misure è orientata da una differente rappresentazione delle famiglie e degli individui in condizione di povertà. Nella analisi delle cause che determinano la povertà si oscilla fra due estremi: misure protettive che riconoscono la rilevanza dei fattori strutturali e i limiti storici dell’economia italiana nel determinare povertà e livelli di disoccupazione stabilmente alti e misure meno generose che attribuiscono pressoché esclusivamente colpe e responsabilità alle persone in condizione di povertà, alla loro passività, alla loro scarsa capacità di iniziativa.

Il passaggio da uno schema ad un altro – in particolare dal Sostegno all’inclusione attiva (SIA) al Reddito di inclusione (REI) e, in termini molto più marcati, al Reddito di cittadinanza – ha significato un progressivo e significativo incremento del numero dei beneficiari, delle persone coinvolte in progetti di attivazione e dell’importo economico assicurato a ciascuna famiglia e più favorevoli requisiti per l’accesso alla misura.

Il passaggio dal Reddito di cittadinanza (RdC) all’Assegno di inclusione (AdI) recentemente istituito con il Decreto Legge n. 48/2023, ha invertito questa tendenza alla progressiva crescita dei benefici di welfare per le famiglie in condizione di povertà. Il decreto ha ridisegnato ancora una volta le misure di contrasto alla povertà, ma questa volta in termini fortemente restrittivi, ha modificato il ruolo del welfare nella protezione sociale e attivazione dei beneficiari, il ruolo del mercato del lavoro e le rappresentazioni della povertà. Ciò che preoccupa è la leggerezza, anzi la mano pesante, con la quale si seleziona da un gruppo molto esteso di beneficiari del Reddito di Cittadinanza un gruppo molto più ristretto cancellando un supporto economico essenziale per la sopravvivenza di un numero così esteso di persone e famiglie.

Verso un welfare che divide

Il modello di microsimulazione della Banca d’Italia stima che, per le famiglie di residenti di nazionalità italiana, l’introduzione dei requisiti anagrafici e dei nuovi requisiti economici previsti dal Decreto Legge n. 48/2023 riduca la platea dei nuclei beneficiari dell’Assegno di inclusione di quasi il 40 per cento rispetto a quella del Reddito di cittadinanza (Banca d’Italia, p. 64). L’Osservatorio INPS su reddito e pensione di cittadinanza (maggio 2023) rileva che nel periodo gennaio-aprile 2023 le famiglie beneficiarie di almeno una mensilità del RdC siano stati 1.135.651 per un numero di persone pari 2.555.919, tra l’altro molto meno degli individui stimati dall’Istat in condizione di povertà assoluta (5,6 milioni di individui).

Secondo le stime della Banca d’Italia il numero di famiglie straniere beneficiarie si ridurrà di due terzi rispetto all’RdC. L’estensione della platea delle famiglie straniere derivante dalla riduzione del requisito di residenza in Italia prevista dal decreto (dai dieci anni ai cinque anni) sarebbe più che controbilanciata dall’irrigidimento dei requisiti economici e anagrafici determinando una riduzione netta delle famiglie straniere che possono beneficiare della misura (Banca d’Italia, p. 65).

L’Osservatorio INPS (maggio 2023) rileva che l’importo medio mensile del RdC è stato di 600,31 euro. Il decreto n. 48/2023 stabilisce che il beneficio economico non possa essere superiore ai 500 euro al mese, salvo un incremento di 130 euro mensili “se il nucleo familiare è composto da persone tutte di età pari o superiore a 67 anni ovvero da persone di età pari o superiore a 67 anni e da altri familiari tutti in condizioni di disabilità grave o di non autosufficienza” (art. 3). Il decreto riduce il supporto per il canone di locazione e prevede una scala di equivalenza meno generosa rispetto al RdC: la crescita del beneficio economico per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo è inferiore; è più alta solo per le poche famiglie con una persona con disabilità.

Una incerta “occupabilità”

L’accesso all’Assegno di inclusione è condizionato alla verifica della situazione economica, alla presenza di componenti di nuclei familiari con disabilità, nonché dei componenti minorenni o con almeno sessant’anni di età. La soglia del requisito relativo all’ISEE non cambia (9.360 euro) rispetto al RdC, sebbene altri requisiti che riguardano il patrimonio immobiliare siano molto più restrittivi.

Il decreto prevede che l’accesso all’Assegno di inclusione non sia assicurato agli occupabili, cioè persone che si ritiene abbiano competenze e capacità, storie lavorative, che consentono di trovare rapidamente un’occupazione e che pertanto, non necessitino di un supporto di welfare anche per un breve periodo. Il decreto identifica gli occupabili sulla base di criteri demografici e carichi di cura, indipendentemente dalla loro distanza dal mercato del lavoro: sono considerati occupabili tutte le persone che hanno una età compresa fra 18 e 59 anni e che non abbiano carichi di cura di minori o persone con disabilità. Nel caso partecipino a programmi formativi o a progetti utili per la collettività, beneficiano per la durata del programma del Supporto per la formazione e il lavoro (SFL), di un’indennità mensile pari a 350 euro.

In realtà è noto che la occupabilità di questo gruppo, la loro possibilità di uscire dalla povertà attraverso un corso di formazione e di accedere ad un lavoro dignitoso, per molti di loro è aleatoria. Nell’audizione alle Commissioni congiunte della Camera dei Deputati e del Senato (dicembre 2022), l’Istat rileva che i cosiddetti occupabili (non rinviati ai servizi sociali secondo la normativa RdC) hanno livelli di istruzione particolarmente modesti (solo il 30% va oltre la scuola dell’obbligo), tassi di inattività specifici molto elevati e ridotti segnali di lavoro. Quasi la metà dei beneficiari hanno un’età compresa fra 45 e 59 anni (pp. 13-14). L’ANPAL (2022) rileva che il 72,8%, dei beneficiari del RdC soggetti al patto per il lavoro (non rinviati ai servizi sociali) non ha mai avuto un contratto di lavoro subordinato o para-subordinato negli ultimi 3 anni.

Un cinquantenne con una disoccupazione di lunga durata, con una storia lavorativa discontinua e competenze generiche, ha chiaramente possibilità di reinserirsi nel mercato del lavoro, ma sicuramente sarà necessario una fase transitoria protettiva e attivante in cui riceve un supporto di welfare che gli consenta di vivere una vita dignitosa e acquisire nuove professionalità. Come è noto, in tutti i paesi europei esistono ormai da decenni misure di contrasto della povertà (Sozialhilfe inAustria; Revenue d’integration in Belgio; lo Starthjalp in Danimarca; l’RSA in Francia) che hanno una doppia funzione: di protezione e di attivazione. In queste misure il supporto economico è il prerequisito di ogni percorso di attivazione.

Chiunque operi nel sociale e nelle politiche attive sa bene che le povertà non occasionali sono multidimensionali in quanto riguardano molteplici aspetti del lavoro e della personalità che ostacolano un immediato inserimento nel mercato del lavoro e che richiedono progetti di attivazione non approssimativi, corsi di formazione non improvvisati, fondati su risultati e conoscenze tecniche consolidate.

Segmenti di questo gruppo di persone ritenute occupabili rispondono comunque alle attese di un mercato del lavoro molto polarizzato che offre pochi lavori specializzati e una miriade di lavori a bassa qualificazione, precari e scarsamente remunerati, lavori irregolari e poveri. Segmenti che si ritiene che il reddito di cittadinanza abbia immobilizzato impropriamente per molti anni.

L’incremento della sorveglianza attiva

Il decreto incrementa ogni forma di controllo e di sorveglianza. In due articoli (art. 7 e 8) per complessivi 25 commi si richiamano i controlli ispettivi dell’Ispettorato nazionale del lavoro, del Comando Carabinieri per la tutela del lavoro, del personale ispettivo dell’INPS, della Guardia di finanza e si introducono sanzioni e pene detentive molto severe paragonate alle depenalizzazioni dei reati fiscali previste nel decreto 28 marzo 2023 numero 26. S’incrementa ogni forma di condizionalità aggravando sensibilmente la condizionalità prevista all’art.4 della legge 26/2019 istitutiva del Reddito di cittadinanza. L’articolo 9 stabilisce che i beneficiari, pena la perdita del supporto economico, sono tenuti ad accettare un’offerta di lavoro a tempo indeterminato senza limiti di distanza nell’ambito del territorio nazionale. All’articolo 4 si prevede che il beneficiario decade dal beneficio se non si presenta ogni novanta giorni ai centri per l’impiego per aggiornare la propria posizione; se non partecipa alle iniziative, genericamente definite dall’art. 8, di carattere formativo o di riqualificazione o ad altra iniziativa di politica attiva o di attivazione comunque denominate.

Tra fattori strutturali che determinano la povertà e i fattori individuali, il decreto privilegia chiaramente le cause individuali del degrado e delle povertà estreme, i comportamenti individuali irregolari che è necessario affrontare e risolvere con decisione e rapidamente con interventi securitari, sanzioni e controlli prima che incidano drammaticamente sulle relazioni economiche e sulla nostra vita sociale.

La crescita delle “food charity”

In Europa il welfare è utilizzato frequentemente per distinguere, escludere, sanzionare comportamenti irregolari e per affermare una visione del mondo che legittima esclusioni sociali più o meno estese, per dividere e separare le persone meritevoli di aiuto dalle persone che non si comportano in modo responsabile, per escludere gruppi minoritari e sostenere generosamente gruppi sociali più rappresentativi.

Il “welfare condizionale” e il “welfare chauvinism sono le due configurazioni prevalenti di questo sistema di interventi sociali sempre meno inclusivo. In primo luogo la condizionalità, fondata sul principio che non esistono diritti acquisiti una volta per tutti dalle persone. Il diritto delle persone a ricevere un sostegno economico dipende dal loro comportamento. Una seconda configurazione è costituita dal “welfare chauvinism”. Il termine è comunemente utilizzato per definire una configurazione di welfare che limita l’accesso ai sussidi o riduce il livello di benefici per gli immigrati, introduce più selezioni e misure basate sulla condizionalità per le minoranze etniche e i gruppi ritenuti tradizionalmente non meritevoli, le persone i cui valori e comportamenti sono considerati la causa primaria della loro condizione. I tagli alla spesa pubblica devono essere limitati esclusivamente ai benefici e agli interventi destinati a questi gruppi minoritari.

In queste nazioni i beneficiari di prestazioni di supporto economico sono diminuiti sensibilmente. La diminuzione solo in minima misura è determinata dal miglioramento delle condizioni di vita dei gruppi sociali a basso reddito. Una parte molto più ampia di queste famiglie si allontana dal sistema pubblico e si rivolge alle associazioni come la Caritas che distribuiscono beni di prima necessità e che accolgono le persone senza distinzioni e controlli. In molto paesi, come il Regno Unito, un crescente numero di persone hanno perso il loro diritto a ricevere una prestazione pubblica e si rivolgono alle “food charity” per ricevere beni di prima necessità (Lambie-Mumford e Silvasti, 2021).

Criteri di accesso alle misure di welfare molto severi, discriminazioni, controlli non rispettosi della dignità delle persone, rischi di sanzioni, rappresentano formidabili deterrenti per le persone più semplici, persone spesso con pochi strumenti che li aiutino a decodificare limiti e rischi reali, ad evitare errori nella compilazione di una richiesta di aiuto.