L’ingiustizia civile in Italia


Giancarlo Lizzeri | 5 Febbraio 2021

Tra poco inizieranno le cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario. Cerimonie con discorsi un pò noiosi. A meno di sorprese, sono anche cerimonie un pò inutili perchè non parlano dei problemi più profondi della giustizia italiana1. Si dirà che le carceri sono stracolme, ma non si parlerà del fatto che l’Italia è un Paese che fa scarso ricorso a misure di detenzione alternative al carcere. Si parlerà dei reati che sono registrati dalle forze dell’ordine, ma non del fatto che molti reati non vengono nemmeno denunciati. E proprio per questo non si parlerà delle percentuali di reati perseguiti fino all’identificazione dei colpevoli. Per furti e scippi siamo largamente al di sotto del 10%. E soprattutto non si parlerà quasi per nulla di giustizia civile. Forse il maggior cancro della giustizia italiana.

 

Proprio di giustizia civile tratteremo invece ora. Tutto l’apparato di giustizia italiano è poco di casa in Europa.  Chi si occupa di giustizia civile ne è completamente fuori. Secondo gli indici stilati dal World Justice Project 2020 anche in Paesi come Sudafrica, Bielorussia, Argentina, Croazia ed Algeria la giustizia civile funziona meglio rispetto a quella italiana.

Il giudizio è dato prendendo in considerazione soprattutto i tempi per arrivare a sentenza, i tempi necessari per dar esecuzione a quanto deciso in sentenza, e infine alla presenza di fenomeni corruttivi nelle procedure della nostra giustizia civile. Per tutte e tre queste materie l’Italia si posiziona ultima in graduatoria e con un distacco rilevante rispetto agli altri Paesi europei. Usando un linguaggio scolastico, se il voto medio dato agli 11 Paesi presi in esame equivale a sette, il voto dato all’Italia equivale a quattro.

 

Un recente lavoro del Cerved ha permesso di conoscere i tempi medi richiesti in ogni tribunale italiano per portare a termine due procedure molto rilevanti. Per le esecuzioni immobiliari il tempo medio è pari a 5,1 anni. Il tempo minimo è quello del tribunale di Roma che richiede in media 3,2 anni. Il tempo massimo spetta al tribunale di Palermo con 9 anni. Per chiudere una procedura fallimentare i tempi medi sono pari a 7 anni, tempo minimo a Milano con 4,8 anni e tempo massimo ancora una volta a Palermo con 11,8 anni. I tempi minimi sono a malapena accettabili, i tempi medi e ancor più i tempi massimi sono tempi biblici, del tutto incompatibili con le esigenze degli operatori coinvolti.

L’analisi di dettaglio mette in evidenza che esistono delle eccezioni positive, in un mare di tante situazioni negative e di molte situazioni pessime. Talvolta si scopre che all’interno dello stesso tribunale una delle due procedure  è portata a termine con tempi  molto migliori rispetto alla media nazionale, mentre l’altra richiede tempi largamente superiori alla media nazionale. Tutto dipende dalle qualità e capacità del giudice che è a capo della prima e della seconda.

Mi illudo che nel corso di qualche discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario si proporrà di dare qualche titolo di merito al primo giudice e qualche segno tangibile di demerito al secondo. O magari si proporrà che d’ora in poi non sia solo il Cerved a fare le rilevazioni di cui ho parlato. Perchè quelle rilevazioni dovrebbero fare parte, assieme a molto altro, della strumentazione di governo dell’apparato di giustizia da parte del Ministero e/o del Consiglio Superiore della Magistratura.  Sono un inguaribile ottimista.

 

Fuori dall’Europa

Tutto l’apparato di giustizia italiano è poco di casa in Europa. Per quanto riguarda la giustizia civile ne è completamente fuori. Secondo gli indici stilati dal World Justice Project 2020, la giustizia civile italiana funziona peggio rispetto a come funziona in Paesi come Sudafrica, Bielorussia, Argentina, Croazia ed Algeria.

Limitiamoci al confronto con altri 11 Paesi europei. Nella tavola 1 è evidenziato il voto (su scala da 1 a 100, dove 100 è il voto per la situazione ideale) che il World Justice Project ha dato a ciascun Paese per le tre “materie” più importanti riguardanti il funzionamento della giustizia civile. Esse sono: tempi per arrivare a sentenza, tempi per l’implementazione di quanto deciso in sentenza, assenza di corruzione nell’intero procedimento. In tutti e tre le materie l’Italia si posiziona ultima in graduatoria e con un distacco rilevante rispetto a tutti gli altri 10 Paesi. Usando un linguaggio scolastico, se il voto medio degli 11 Paesi equivale a sette, il voto dato all’Italia equivale a quattro, in tutte e tre le materie.

Già il voto attribuito all’Italia per le prime due materie (i tempi per arrivare a sentenza e quelli della sua implementazione) è impietoso. Su di esso torniamo tra poco. Lascia ancor più amaro in bocca il voto attribuito nella terza colonna di tavola 1, relativo alla presenza di fatti corruttivi. Non avendo modo di valutare ora meglio questo aspetto, non ne parleremo più nel resto di questo testo. Ma occorre ricordare che quanto annotato dal World Justice Project quasi coincide con quanto emerge dalla più recente ricerca di Eurobarometer sullo stesso argomento. Secondo quella ricerca il 40% delle imprese italiane ritiene i giudici civili soggetti a influenza da parte di interessi economici e di pressioni politiche. Il fatto che su molte procedure di giustizia civile in Italia aleggi il sospetto di corruzione è la singola cosa più pesante contenuta nel rapporto.

 

Tavola 1

  VOTO PER LA VOTO PER LA VOTO PER
PAESI ASSENZA DI RITARDI TEMPESTIVITÀ NELLA L’ASSENZA
  IRRAGIONEVOLI ESECUZIONE SENTENZE DI CORRUZIONE
Germania 82 89 88
Svezia 80 91 91
Danimarca 73 88 99
Olanda 67 91 93
Austria 67 82 86
Gran Bretagna 66 70 91
Francia 57 74 76
Spagna 51 55 72
Belgio 45 82 83
Portogallo 40 53 79
Italia 32 33 66
       
MEDIA 11 PAESI 54 74 84
Fonte: World Justice Project – Rule of Law Index – 2020

 

I tempi delle esecuzioni immobiliari nei principali tribunali italiani

Quanto il World Justice Project afferma riguarda l’Italia nel suo insieme. Val la pena entrare in una valutazione di maggior dettaglio su quanto succede all’interno del nostro Paese. Il Cerved ha realizzato due anni fa uno studio approfondito sulla durata media in ogni tribunale italiano dei tempi necessari per completare una esecuzione immobiliare e dei tempi per esaurire una procedura fallimentare. Abbiamo riassunto i risultati in tavole che si riferiscono, per brevità, solo ai tribunali delle maggiori città.

La Tavola 2 evidenzia i tempi richiesti per chiudere le esecuzioni immobiliari. La procedura di una esecuzione immobiliare inizia quando, a seguito di mancati pagamenti da parte del debitore, il creditore si rivolge al Tribunale di competenza per potersi rivalere sui beni immobili sui quali è stata imposta una ipoteca a garanzia del prestito. La procedura termina normalmente con la messa all’asta di tali beni.

Il tempo medio italiano è altissimo: cinque anni nella media dei tribunali da noi presi in esame. Ma con una scansione sul territorio che fa particolare impressione. A sorpresa (si vedrà tra poco perché) Roma è la città con i tempi più contenuti.  Le sette città del centro Nord hanno un tempo medio pari a 3,9 anni. Le cinque città del Sud e delle Isole richiedono un tempo medio superiore del 70%, pari a 6,7 anni.

 

Tavola 2

  Tempo richiesto per chiusura
TRIBUNALE esecuzione immobiliare
  anni
Roma 3,2
Genova 3,7
Venezia 3,9
Milano 3,9
Torino 4,0
Bologna 4,2
Firenze 4,4
Napoli 5,1
Catania 5,7
Bari 6,8
Cagliari 7,0
Palermo 9,0
 
Media 12 Tribunali 5,1

Fonte: Cerved 2019

 

In fondo alla graduatoria c’è Palermo dove sono richiesti tempi tripli rispetto a Roma: in quella città occorrono 9 anni per restituire al circuito economico un bene ipotecato in seguito ad un prestito non onorato. Dopo tre anni quel bene ha ancora un valore residuo non trascurabile, dopo 9 anni ha un valore tendente a zero. L’economia locale, ovviamente, è la prima a risentirne, in più modi.

 

I tempi delle procedure fallimentari nei principali tribunali italiani

Ancor più drammatica è la situazione che emerge dalla tavola 3, che espone i tempi per la definizione di una procedura fallimentare da parte dei medesimi tribunali. La procedura fallimentare ha inizio dal momento in cui il giudice accerta la presenza dei presupposti di legge per poter dichiarare il fallimento. A questo accertamento fa seguito la nomina del curatore fallimentare (con o senza la continuazione dell’attività dell’impresa fallita), quindi la liquidazione del patrimonio del fallito e il riparto di tale patrimonio tra i creditori.

Il tempo medio per tutti i tribunali italiani per chiudere un fallimento è pari a 7 lunghissimi anni. Il tempo medio per le 7 città del centro-nord è di 5,7 anni, già inaccettabili. Per le cinque città del Sud e Isole è di 9,1 anni, tempi quasi biblici. Milano è in prima posizione e richiede “soli” 4,8 anni.  Palermo ancora una volta viene in fondo all’elenco, con ben più del doppio del tempo: 11,8 anni.

 

Tavola 3

  Tempi per chiusura
TRIBUNALI procedura fallimentare
  anni
Milano 4,8
Torino 5,1
Genova 5,3
Roma 5,4
Firenze 5,7
Bologna 5,7
Venezia 6,4
Cagliari 6,7
Napoli 7,2
Catania 9,3
Bari 10,7
Palermo 11,8
   
Media 12 Tribunali 7,0

Fonte: Cerved 2019

 

Dalle eccezioni si capiscono le regole

Le due osservazioni macroscopiche che derivano alla lettura delle due tavole sono:

  1. tempi ovunque incredibilmente lunghi, anche nei tribunali più efficienti,
  2. tempi che si allungano sempre di più via via che si procede da Nord a Sud.

Ma è opportuno vedere anche che ci sono eccezioni importanti. E che talvolta tali eccezioni hanno un segno opposto all’interno di uno stesso tribunale. Citiamone alcune:

  • il tribunale di Roma, la città più vasta e complessa d’Italia, ha tempi minori per un’esecuzione fallimentare rispetto a quelli di qualsiasi grande città del Nord;
  • il tribunale di Crotone (non compare nella tavola 3, perché Crotone non è una grande città, come altri tribunali citati più sotto) chiude una procedura fallimentare in 3,8 anni, un anno in meno rispetto ai 4,8 anni di Milano;
  • il tribunale di Ivrea ha tempi relativamente buoni per le esecuzioni immobiliari (3,2 anni, stesso tempo del tribunale di Roma) e tempi pessimi per la chiusura di una procedura fallimentare (8,8 anni);
  • i tribunali di Trani, Lecce, e Urbino sono nella parte alta della graduatoria per le esecuzioni immobiliari (rispettivamente con 4,3, 4,4 e 4,8 anni, sempre meglio della media nazionale), e per contro tempi pessimi (rispettivamente 9,4, 8,8 e 10 anni, peggio della media nazionale) per chiudere una procedura fallimentare;
  • il tribunale di Messina ha tempi già lunghi per le esecuzioni immobiliari (6 anni, uno in più della media nazionale) e i tempi peggiori d’Italia per le procedure fallimentari: 18,5 anni, più di due volte e mezzo la media nazionale;
  • tra i 10 tribunali meno efficienti per le procedure fallimentari, 8 sono meridionali, uno tuttavia (Acqui Terme) è piemontese ed uno (Camerino) è marchigiano.

 

Se una sezione del Tribunale Civile di Roma che si occupa di esecuzioni immobiliari funziona con tempi più brevi rispetto a quella di Milano o Torino ciò dipende quasi sicuramente solo dal fatto che la sezione del Tribunale di Roma che si occupa di esecuzioni immobiliari si è data un’organizzazione e procedure più efficienti rispetto a quella del Tribunale di Milano (non parliamo di Napoli o Palermo). Lo stesso vale per le due sezioni del Tribunale di Ivrea: l’organizzazione della sezione esecuzioni immobiliari è affidata a giudici che sanno mettere in atto procedure di lavoro ben organizzate in un caso, procedure lente ed inefficienti  nell’altro.

A parte uno annota che comunque di giudici si tratta. Tutti, come vedremo in un altro momento, assai ben remunerati. Alcuni procedono con tempi compatibili o semi-compatibili con le esigenze delle parti in causa. La maggior parte procede con tempi che sono inaccettabili per chiunque. Ci si può forse anche chiedere perché la macchina organizzativa di un tribunale debba essere gestita da giudici. Un giudice, se è bravo, sa far bene il lavoro suo e sa coordinare quello dei suoi collaboratori. Ma, salvo rare eccezioni, anche quel giudice non ha formazione e DNA culturale per gestire l’organizzazione di una struttura complessa come un tribunale. Questo è uno dei tanti nodi di tutta la giustizia italiana. Di cui non si parla.

  1. Per il precedente articolo di Lizzeri sulla giustizia vedi qui