Le donne detenute in Italia

Alcune evidenze dal Primo Rapporto Antigone


Susanna Marietti | 14 Aprile 2023

Lo scorso 8 marzo, in occasione della Giornata internazionale della donna, Antigone ha presentato presso un’aula del Senato della Repubblica Dalla parte di Antigone, il primo rapporto sulle donne detenute in Italia. Nei mesi precedenti, attraverso il nostro Osservatorio sulle condizioni di detenzione in Italia – autorizzato dal lontano 1998 a visitare tutte le strutture carcerarie italiane – ci siamo recati in tutti i luoghi che ospitano donne detenute nel nostro Paese.

I luoghi

Sono tanti e sono differenti tra loro. Ci sono le carceri interamente femminili, che sono tuttavia solamente quattro – a Roma, Venezia, Pozzuoli e Trani – sulle 190 carceri per adulti che abbiamo in Italia. Esse non ospitano che un quarto delle donne detenute. I rimanenti tre quarti si trovano nelle 44 sezioni femminili all’interno di carceri a prevalenza maschile. Alcune sono di media grandezza, con cento e oltre detenute. Altre vedono la presenza di tre, quattro, cinque donne. Capita dunque che, dovendo operare delle scelte a causa delle scarse risorse disponibili, la direzione convogli sulla parte maschile dell’istituto l’organizzazione di attività e la vivacità della vita interna, lasciando abbandonata a se stessa la sezione femminile. Capita che, quando ci rechiamo in visita, ci venga spiegato che è impossibile organizzare una classe scolastica per sole due donne e quindi non si riesca a garantire il diritto allo studio. Tutti gli organismi internazionali sui diritti umani, tuttavia, ci hanno insegnato da tempo che la vita penitenziaria deve essere il più possibile simile alla vita esterna, se non per gli aspetti che riguardano specificamente la reclusione. Non si capisce dunque per quale motivo le donne ospitate dalla sezione femminile non possano la mattina recarsi nella stessa aula scolastica dove fanno lezione gli uomini della sezione maschile. La possibilità di effettuare attività diurne miste, che si ritrova come una delle fondamentali proposte di Antigone sul tema, risolverebbe un grande problema della detenzione femminile.

Vi sono poi tre luoghi che ospitano ragazze detenute nel circuito minorile, un carcere e due sezioni. Inoltre, incontriamo un (basso) numero di donne anche nei cinque Icam attivi sul territorio, gli istituti a custodia attenuata per madri. Infine, vi sono sei sezioni per detenute trans, che il sistema penitenziario censisce secondo il dato biologico e colloca di conseguenza in carceri maschili ma che noi consideriamo invece come donne e inseriamo dunque nel nostro rapporto.

Tutti questi luoghi abbiamo visitato, per renderci conto in prima persona di come vivono le donne in carcere. L’osservazione diretta di luoghi chiusi è una forma di conoscenza indispensabile per andare oltre il dato formale o normativo e comprendere le letture sociali che ne vengono fatte. L’osservazione diretta permette di percepire l’aria che si respira in un carcere. L’osservazione diretta ci ha consentito di interpretare la detenzione femminile e di mettere a disposizione del legislatore e dell’amministrazione una serie di proposte.

I numeri

Le donne in carcere sono percentualmente poche, il 4,2% del totale della popolazione detenuta, un dato che è rimasto sostanzialmente costante nei decenni. La grande domanda che ciò pone è relativa al perché le donne delinquano così tanto meno degli uomini. Vari sono stati i tentativi di risposta nella storia del pensiero, ma nessuno di essi ha resistito alla prova dei fatti e si è dimostrato culturalmente soddisfacente. Se tuttavia guardiamo alla percentuale di denunce che riguarda le donne scopriamo che essa – pari al 18,3% delle denunce totali – è sensibilmente più alta di quella relativa alla carcerazione. Lo scarto tra i due numeri va attribuito a vari fattori. Sicuramente la scarsa caratura criminale delle donne, per la quale molti dei piccoli reati commessi finiranno in binari giudiziari morti. In secondo luogo, la scarsa pericolosità sociale e il maggior tasso di fiducia che la magistratura è disposta ad accordare loro, che fa sì che le donne abbiano un accesso percentualmente maggiore alle misure alternative al carcere piuttosto che alla detenzione. Al gennaio 2023 le donne in carcere costituivano infatti l’1,3% del totale delle persone sottoposte complessivamente a controllo penale, mentre le donne in area penale esterna ne costituivano il 7,9%. Per gli uomini le due percentuali si attestavano rispettivamente al 30,1% e al 60,6%. Se per le donne la seconda percentuale è oltre sei volte maggiore della prima, per gli uomini il rapporto è di circa uno a due. Ciò è segno tanto del maggior numero di condanne brevi ricevute da donne, quanto delle norme specifiche sulle alternative al carcere per le detenute madri, quanto ancora del maggior tasso di fiducia di cui le donne godono presso la magistratura, visto il loro scarso peso in termini di pericolosità sociale.

Le proposte

È proprio, tuttavia, il poco peso numerico della detenzione femminile che ha storicamente creato difficoltà alle donne in carcere. L’istituzione penitenziaria viene pensata al maschile e plasmata sui bisogni degli uomini detenuti. Le esigenze delle donne sono poco considerate, per mancanza tanto di un’attenzione specifica quanto di una specifica competenza nel riconoscerle. È per questo che la prima delle nostre proposte riguarda la creazione di una specifica unità amministrativa all’interno del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che possa essere diretta da persone esperte in politiche di genere e possa occuparsi esclusivamente delle donne in carcere.

Si tratta di una proposta che Antigone avanzò già molti anni fa, arrivando nel lontano 2005 a far votare una mozione parlamentare che impegnava l’allora Governo a istituire un ufficio di questo tipo. L’operazione amministrativa venne effettuata, ma in maniera già depotenziata in partenza. Fu creata un’unità non autonoma bensì incardinata all’interno dell’Ufficio detenuti e trattamento del Dap, con poco personale e priva di qualsiasi autonomia di spesa. Dopo alcuni anni di lavoro pur fruttuoso, l’esperienza cadde nel nulla e non venne rinnovata.

Cosa potrebbe fare un gruppo dirigenziale esperto e dedicato esclusivamente alla detenzione femminile? Potrebbe innanzitutto occuparsi del necessario raccordo tra operatori penitenziari, operatori sanitari e servizi sociali, indispensabile per una presa in carico della donna detenuta capace di accompagnarla in un percorso di reintegrazione sociale che continui anche dopo la fine della carcerazione. Per non fare che un esempio, sebbene estremamente rilevante, un’alta percentuale di donne detenute proviene da situazioni precedenti di abusi e violenze. Non sempre la persona è pienamente consapevole di quanto esperito e il periodo di detenzione, attraverso l’incontro con gli operatori, può aiutare a portare a consapevolezza il proprio vissuto. Tuttavia, non portare a compimento un simile percorso può essere pericoloso. Abbandonare a se stessa la donna, che spesso fortunatamente ha una pena non lunga da espiare, al momento del rilascio e dopo che in lei qualcosa è stato smosso, senza però fornirle il supporto necessario per proseguire nel cammino, può avere ripercussioni molto serie sul suo equilibrio psicologico. È necessario che si predisponga un percorso complesso e capace di durare nel tempo, nel quale facciano la propria parte tanto gli attori della giustizia quanto i servizi sociali e sanitari del territorio, con una fondamentale necessità di raccordo e di attivazione che un’unità amministrativa dedicata potrebbe garantire.

La composizione socio-giuridica della detenzione femminile è caratterizzata da una marcata marginalità sociale, ancora più accentuata di quella che investe la detenzione maschile. Le pene sono tendenzialmente brevi e ripetute, tipico di una piccola e piccolissima criminalità di strada. Una marginalità sociale che il periodo di detenzione non fa che accentuare, creando così un circolo vizioso. La donna che delinque spesso allenta o addirittura recide i propri legami famigliari e sociali. La maggiore stigmatizzazione che subisce rispetto all’uomo, quasi avesse mancato di rispondere al ruolo di moglie e di madre che la società le assegna, fa sì che la donna detenuta rompa il legame con il proprio partner o con la propria famiglia di provenienza ben più frequentemente di quanto non accada per gli uomini.

Ciò contribuisce all’elevato disagio psichico che riscontriamo durante la detenzione. Le donne con diagnosi psichiatriche gravi sono il 12,4% delle presenti, contro il 9,2% dei presenti in tutti gli istituti visitati da Antigone nel 2022, e fanno regolarmente uso di psicofarmaci il 63,8% delle presenti, contro il 41,6% del totale. Gli atti di autolesionismo sono stati addirittura doppi tra le donne rispetto agli istituti da noi visitati che ospitano solo uomini: 30,8 contro 15 ogni 100 detenuti.

È il complesso di queste e altre informazioni da noi rilevate che ci ha portato a formulare le nostre dieci proposte sulla detenzione femminile. Le altre proposte di Antigone, dopo la prima sopra menzionata, sono le seguenti:

  1. Vanno previste azioni positive dirette a rimuovere gli ostacoli che le donne incontrano nell’accesso al lavoro, all’istruzione, alla formazione professionale;
  2. Le camere di pernottamento delle detenute devono disporre di tutto ciò che è necessario per soddisfare le esigenze igieniche e sanitarie specifiche delle donne, compresi gli assorbenti igienici forniti gratuitamente;
  3. Alle donne detenute deve essere assicurato un servizio di prevenzione e di screening dei tumori femminili equivalente a quello delle donne in libertà. In particolare il PaP test e il test di screening per il cancro al seno o all’apparato riproduttivo devono essere offerti alle detenute parimenti a quanto avviene nella comunità libera per le altre donne della medesima età;
  4. In fase di accoglienza della donna in carcere deve essere assicurato dagli operatori del carcere e da quelli del Servizio Sanitario Nazionale un approfondito esame diretto a verificare se la donna ha subito violenza sessuale o altri abusi o forme di violenza prima dell’ammissione in carcere. Se durante la detenzione vengono accertati o denunciati episodi di violenza sessuale o altri abusi o maltrattamenti, la donna deve essere prontamente informata del diritto di rivolgersi all’autorità giudiziaria;
  5. Alla donna vittima di violenza presa in carico dal punto di vista sanitario, psicologico e sociale durante la detenzione deve essere assicurata continuità di cura una volta fuori;
  6. Nelle carceri dove sono recluse donne vi deve essere staff adeguatamente formato e specializzato sulla violenza di genere. Tutto il personale incaricato di lavorare con le donne detenute deve ricevere una formazione relativa alle esigenze specifiche di genere e ai diritti delle donne detenute;
  7. Vanno previste azioni dirette a evitare ogni forma di discriminazione basate sul genere nei confronti delle donne che lavorano nello staff penitenziario a tutti i livelli;
  8. In accordo con il principio per cui la vita in carcere deve approssimarsi il più possibile a quella nella comunità libera, in tutte le carceri che ospitano sia uomini che donne vanno previste attività diurne congiunte, così da incrementare le opportunità in particolare per le donne detenute;
  9. Le carceri e le sezioni femminili devono essere improntate il massimo possibile al modello della custodia attenuata.

Proposte di buon senso, che ci auguriamo vengano raccolte e che nascono da una profonda consapevolezza del sistema dovuta alla conoscenza diretta che Antigone continua a potenziare anno dopo anno attraverso il proprio lavoro di monitoraggio delle condizioni di detenzione e le elaborazioni di dati quantitativi e qualitativi che porta avanti. Una consapevolezza che questo grande viaggio nella detenzione femminile ha enormemente arricchito e che, attraverso il primo rapporto sulle donne detenute in Italia, mettiamo a disposizione.