L’integrazione dei rifugiati in Europa

Un'analisi comparativa relativa all’Italia, la Grecia, l’Ungheria, quali paesi di primo accesso e transito, e Austria, Germania e Svezia, quali paesi di destinazione finale


Chiara Crepaldi | 13 Febbraio 2018

A fine gennaio 2018 il Parlamento Europeo ha pubblicato due studi comparativi sul tema dell’integrazione dei rifugiati in Europa focalizzando l’attenzione sui progressi compiuti negli ultimi anni, le principali sfide incontrate e i cambiamenti nelle percezioni delle principali parti interessate, dei policymakers e della società. Il primo report, realizzato dall’Istituto per la Ricerca Sociale, presenta una panoramica comparativa dei recenti sviluppi nelle politiche di accoglienza ed integrazione dei rifugiati in Grecia, Ungheria e Italia, paesi di primo accesso e transito. Il secondo report, realizzato dall’Institute for Employment Research, presenta invece la situazione in Austria, Germania e Svezia, quali paesi di destinazione finale. L’articolo ne analizza i principali risultati.

 

I primi tre paesi presentano alcune somiglianze: sono paesi che in una situazione socioeconomica ed occupazionale molto complessa si sono trovati ad essere, a causa della loro posizione geografica, i principali punti di accesso all’UE sulle principali rotte migratorie del periodo 2015-2017. Tutti e tre sono paesi di transito con scarse esperienze precedenti nell’accoglienza e nell’integrazione di richiedenti asilo e rifugiati, ma nel corso della crisi migratoria hanno mostrato approcci molto diversi.

L’Italia, il principale punto di ingresso sulla rotta del Mediterraneo centrale, ha avuto il picco degli arrivi nel 2016 e nella prima metà del 2017. Nel corso del 2016 è diventato il secondo paese per numero di richiedenti asilo e numero di minori non accompagnati dell’UE28. I richiedenti asilo provengono principalmente dall’Africa, e in particolare dalla Nigeria. La Grecia è il principale punto di accesso sulla rotta del Mediterraneo orientale e il numero di richiedenti asilo ha raggiunto il picco nel 2016 quando la Grecia ha avuto 5 richiedenti ogni 1000 abitanti (rispetto ai 2,5 in media nella UE28), con una percentuale molto alta di donne e bambini sotto i 18 anni (quasi il 40% del totale), a causa del gran numero di arrivi di famiglie dalla Siria e dall’Iraq, ma con molti meno minori non accompagnati rispetto all’Italia. L’Ungheria è il principale punto di ingresso sulla rotta Balcanica di richiedenti asilo provenienti in particolare dall’Afghanistan e dalla Siria. Nel 2015 ha ricevuto un numero record di domande di asilo (il 14% del totale dell’UE) e in quello stesso anno ha registrato il numero più alto di richiedenti asilo rispetto alla sua popolazione (quasi 18 richiedenti ogni 1000 abitanti). Dopo la chiusura dei suoi confini, nel 2016 il numero di richiedenti asilo è diminuito drasticamente.

 

Nel 2015/2016 Austria, Germania e Svezia sono stati invece i principali paesi di destinazione dei richiedenti asilo dai paesi devastati dai conflitti in atto nel medio-oriente e in Asia. Tuttavia in tutti e tre i paesi, il numero di domande di asilo presentate per la prima volta è diminuito in seguito alle restrizioni dei controlli alle frontiere, alla chiusura della cosiddetta rotta balcanica e all’accordo sui rifugiati UE-Turchia del marzo 2016. In Austria il numero è sceso da 10 a 5 richiedenti asilo ogni 1.000 abitanti nel 2016: si tratta di persone provenienti principalmente dalla Siria, dall’Afghanistan, dall’Iraq e, più recentemente, anche dal Pakistan e dalla Russia. In Svezia, la quota è diminuita drasticamente da 17 a 3 richiedenti asilo ogni 1.000 abitanti nel 2016: in questo caso si tratta di persone provenienti principalmente dalla Siria, Eritrea, Iraq, Iran e Afghanistan. La Germania è ancora il principale paese di destinazione in Europa (il 28% di tutti i richiedenti asilo nell’UE nel terzo trimestre del 2017) ma il numero ha iniziato a diminuire nel 2017 a causa dei ritardi nelle procedure di registrazione. I richiedenti asilo provengono principalmente da Siria, Iraq, Afghanistan, Iran ed Eritrea e recentemente anche dalla Turchia e dalla Nigeria.

 

In tutti e sei i paesi i dinieghi risultano essere estremamente elevati e in forte aumento.  Nel 2016 in Italia il 60,6% delle domande esaminate (come prima richiesta di asilo) è stata rigettata, il 76,3% in Grecia e oltre il 91,6% in Ungheria, rispetto al 39,2% in media nell’UE28. Completamente differente è la situazione negli altri tre paesi, che presentano tassi di diniego molto più contenuti, seppure anch’essi in progressiva crescita: in Austria pari al 28,4%, in Germania al 31,2% e in Svezia al 30,5%1. Come reazione alla mancanza di un meccanismo efficace a livello europeo di redistribuzione dei flussi migratori tra i paesi UE, diluendo di conseguenza costi ed oneri legati all’accoglienza, tutti e tre i paesi di destinazione hanno implementato procedure per ridurre l’afflusso illegale dei richiedenti asilo. Sono stati introdotti controlli alle frontiere e i permessi di soggiorno concessi dai governi sono diventati sempre più frequentemente di tipo temporaneo invece che permanente, e per periodi più brevi. È stato inoltre sospeso temporaneamente il ricongiungimento familiare per le persone sotto protezione sussidiaria, esteso l’elenco dei paesi di origine considerati sicuri, insieme ad aver limitato la trasformazione del permesso di soggiorno da temporaneo a permanente a solo coloro che abbiano dimostrato di aver fatto il possibile per promuovere la propria integrazione.

 

Politiche di accoglienza ed integrazione

Per fronteggiare la crisi dei rifugiati i tre paesi di transito hanno dovuto creare rapidamente un sistema di accoglienza ed integrazione partendo da zero, poiché nessuno di loro aveva precedenti esperienze nel trattare con un gran numero di richiedenti asilo e rifugiati. Essendo paesi di transito piuttosto che paesi di destinazione, i loro principali investimenti strategici si sono concentrati sull’accoglienza piuttosto che sulle misure di integrazione, con modalità molto diversificate, anche a causa della diversa posizione geografica e dei loro diversi contesti culturali e politici. L’Italia e la Grecia hanno scelto di non chiudere le loro frontiere e hanno lavorato per cercare di migliorare i loro sistemi di accoglienza ed integrazione. Sebbene in molti centri di accoglienza le condizioni di vita restino precarie e la registrazione e la valutazione delle domande richiedano molto tempo, entrambi i paesi hanno ampliato la loro capacità di accoglienza e si sono mossi verso una semplificazione delle procedure di riconoscimento al fine di ridurre il tempo necessario per la valutazione e la decisione; ove possibile i paesi hanno iniziato anche a promuovere misure per sostenere l’integrazione e l’accesso al mercato del lavoro. L’Ungheria si è invece orientata verso un approccio restrittivo, chiudendo i suoi confini sulla rotta balcanica.

L’Italia, in particolare, sta passando da un approccio di emergenza, incentrato principalmente sulla fornitura della prima assistenza umanitaria, a un approccio di integrazione più strutturato promuovendo, nel cosiddetto sistema SPRAR, misure di pre-ingresso al mercato del lavoro, attraverso percorsi di istruzione/formazione e attività sociali attuati dai comuni con il supporto delle ONG. Tuttavia queste esperienze positive sono ancora limitate ed estremamente differenziate nel territorio nazionale. Anche la Grecia ha migliorato il proprio quadro giuridico e ha investito in capacità di accoglienza, sebbene incontrando grossi problemi in fase di attuazione a causa delle difficili condizioni socioeconomiche in cui versa il paese e della ridotta capacità amministrativa: la crisi dei rifugiati è stata dunque ampiamente affrontata con l’aiuto di istituzioni internazionali e ONG. L’Ungheria invece si è opposta al programma di ricollocazione dell’UE e ha avviato la costruzione di muri alle frontiere con la Croazia e la Serbia, creando centri di detenzione per i richiedenti asilo che entrano irregolarmente o soggiornano in Ungheria. Ha inoltre nel tempo drasticamente ridotto il sostegno pubblico, sia in termini di sostegno finanziario che di servizi ai rifugiati e ai beneficiari di protezione internazionale. I percorsi di integrazione sono quindi oggi forniti principalmente dalle ONG.

 

Per quanto riguarda l’accesso al mercato del lavoro in tutti e tre i paesi di transito ai beneficiari di protezione internazionale è riconosciuto il diritto di accesso alle stesse condizioni degli altri cittadini, tuttavia con modalità e criteri diversi di ammissibilità. In Grecia i richiedenti asilo possono cercare un lavoro non appena abbiano presentato la domanda, in Italia devono invece aspettare 60 giorni dalla presentazione e in Ungheria non possono accedere ai servizi per l’impiego e al mercato del lavoro finché non vengono riconosciuti come rifugiati. Vi sono tuttavia numerose barriere all’attuazione delle misure di integrazione nel mercato del lavoro nei tre paesi, che ne ostacolano l’accesso da parte dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Uno è la carenza di concreti programmi di integrazione, un secondo problema è la mancanza di coordinamento tra i servizi per l’impiego e le istituzioni responsabili delle politiche di integrazione. Vi sono poi i ritardi nelle procedure di registrazione insieme alla gravità della crisi economica che ha ridotto le opportunità di lavoro per tutti, e pertanto anche per i richiedenti asilo e i rifugiati. Seri problemi si rilevano anche per quanto riguarda le misure di integrazione sociale, che in Italia si basano su progetti su piccola scala gestiti dalle autorità locali e in Grecia e in Ungheria sono attuate principalmente dalle ONG, spesso con il sostegno dei finanziamenti dell’UE, con problemi legati alla loro sostenibilità a lungo termine e alla loro limitata capacità di accoglienza. Nel 2016 inoltre l’Ungheria ha inoltre eliminato tutte le erogazioni in denaro (pocket money, sostegno economico collegato alla frequenza a percorsi scolastici, e sostegno legato al costo dell’alloggio).

 

Tutti e tre i paesi infine hanno adottato negli ultimi anni nuove misure per la protezione e la salvaguardia dei diritti dei minori non accompagnati, tuttavia la loro applicazione è ancora in una fase iniziale e il numero di coloro che scompaiono dai centri di accoglienza è diventato un problema che suscita crescenti preoccupazioni.

 

I tre principali paesi di destinazione esaminati (Austria, Germania e Svezia) hanno invece rafforzato considerevolmente nel corso del 2016 i propri sforzi per promuovere misure per l’integrazione dei rifugiati. In tutti e tre casi la partecipazione al mercato del lavoro è considerata il fattore più importante per favorire l’integrazione a lungo termine nella società, pertanto i governi di tutti e tre i paesi hanno stanziato risorse considerevoli per migliorarne integrazione e l’inserimento lavorativo. Inoltre la partecipazione alle misure di integrazione è stata resa obbligatoria in tutti e tre i paesi. Gli approcci nazionali variano a seconda delle specificità nazionali in tema di necessità di figure professionali e del clima politico del paese. La Svezia ha introdotto il sistema delle fast track (percorsi rapidi) quale strategia per accelerare l’integrazione nel mercato del lavoro dei rifugiati con competenze professionali che rientrano nelle occupazioni che hanno necessità di manodopera. In Austria e in Germania, dove lavori di media specializzazione richiedono comunque qualifiche professionali formali, l’attenzione è stata rivolta allo sviluppo di percorsi di integrazione “qualificata” del mercato del lavoro. Nel complesso, la Germania si distingue per alcuni aspetti: i richiedenti asilo con buone prospettive di ottenere il riconoscimento e dunque il permesso di soggiornare nel paese hanno accesso ai corsi di integrazione già prima di ottenere lo status di protezione internazionale (intervento precoce). Inoltre, le persone definite “tollerate” (ovvero persone che non hanno avuto il riconoscimento ma a cui viene permesso di rimanere nel paese con un livello di protezione più basso e minor accesso al sistema dei diritti) possono comunque accedere alle misure di integrazione. L’Austria, che presenta un clima politico senz’altro meno favorevole, limita la possibilità di accedere all’occupazione da parte dei richiedenti asilo al lavoro stagionale mentre Germania e Svezia ne hanno liberalizzato l’accesso.

 

Due sono i principali canali di cofinanziamento europeo per le misure di accoglienza e reinserimento. Per quanto riguarda Italia e Grecia (seppure quest’ultima in grave ritardo nell’accesso ai fondi) il FAMI (Fondo Asilo, Integrazione e migrazione) garantisce il supporto allo sviluppo del sistema di prima accoglienza, mentre l’Ungheria utilizza tali risorse per promuovere corsi di formazione, lingua e accesso all’istruzione, insieme a misure di attivazione ed inclusione sociale. Il Fondo Sociale Europeo svolge un ruolo importante in particolare in Italia e Grecia in particolare nel promuovere misure e politiche a più lungo termine in tema di accesso all’educazione, all’occupazione e alla lotta alle discriminazioni, sebbene non sia specificamente indirizzato ai richiedenti asilo e ai rifugiati, bensì più genericamente ai migranti e ai gruppi svantaggiati.

I tre paesi di destinazione fanno molto meno uso dei fondi FAMI e del FSE, quest’ultimo in particolare per la burocraticità del processo che rende l’accesso ai fondi molto complesso. Laddove ciò è avvenuto le risorse sono state utilizzate per le misure di integrazione nel mercato del lavoro.

 

L’evoluzione del clima politico

In tutti e sei i paesi la crisi dei migranti ha avuto un peso molto rilevante sul clima politico. L’arrivo massiccio di popolazioni alla ricerca di un rifugio in Europa in particolare nelle aree di confine ha agito da innesco nel promuovere rivolte anti-immigrati, fomentate dai movimenti politici antieuropei e xenofobi/razzisti. In tutti i paesi il tema dei rifugiati è diventato centrale nell’agenda dei governi, alimentato da vaste campagne anti-immigrazione sui mass media che hanno portato ad una forte crescita negli atteggiamenti di rifiuto nell’opinione pubblica. Certo le differenze nella percezione nei confronti dell’immigrazione rimane molto diversa nei sei paesi. Il sondaggio Eurobarometro del 2016 ha chiesto ad un campione di cittadini se il loro paese dovesse o meno aiutare i rifugiati: mentre il 67% degli ungheresi e il 49% degli italiani ha detto di no, questo è avvenuto in ‘appena’ il 28% degli austriaci e il 25% dei greci. Germania e Svezia si trovano in una situazione diametralmente opposta con l’87/90% del paese favorevole ad offrire aiuto.

 

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Fonte: Standard Eurobarometer 86, Novembre 2016

 

In un prossimo articolo su welforum.it esamineremo in maggiore dettaglio le diverse politiche di accesso al lavoro, alle prestazioni sociali e sanitarie in questi tre paesi di destinazione, insieme ai cambiamenti intervenuti nell’azione politica a seguito dell’impatto della crisi dei migranti sull’opinione pubblica e le nuove sfide che i tre paesi si stanno preparando ad affrontare nel prossimo futuro.

  1. Fonte Eurostat, First instance decisions on applications by citizenship, age and sex Annual aggregated data (rounded) [migr_asydcfsta]