L’Italia entra in Europa


Daniela Mesini | 23 Marzo 2017

Come noto l’Italia si è sempre distinta per l’assenza di una misura universalistica di contrasto alla povertà e per la presenza di una serie di interventi frammentati, caratterizzati da uno sbilanciamento dei trasferimenti monetari sui servizi.

I tradizionali dispositivi nazionali hanno sempre privilegiato un approccio assistenzialistico e categoriale rivolto soprattutto ad anziani, meglio se con una storia contributiva alle spalle. Si pensi ai grandi schemi, tuttora esistenti, quali l’assegno sociale o l’integrazione al minimo che da soli concentrano oltre il 90% delle risorse nazionali destinate ai soggetti più poveri (E. Ranci Ortigosa, D. Mesini, 2016).

Il sostegno monetario alle famiglie è realizzato da pochi istituti: gli assegni al nucleo familiare e gli assegni di maternità, destinati alle sole famiglie di lavoratori dipendenti, e le detrazioni fiscali per carichi di famiglia, che escludono i cosiddetti ‘incapienti’. Pressoché scoperte alcune fasce della popolazione quali i giovani e gli stranieri in condizione di deprivazione economica.

Assente qualsiasi collegamento con le politiche di attivazione.

A questi si sono aggiunti via via interventi sempre di stampo assistenzialistico, una tantum e di scarsa entità quali ad esempio il bonus bebè, il bonus gas ed energia e la tremontiana carta acquisti (o Social Card) 1, misura questa più finalizzata a contenere l’aumento dei prezzi di alcuni beni essenziali su specifici target di utenza piuttosto che per contrastare la povertà (una sorta di food stamps all’italiana).

 

In assenza di una cornice nazionale unitaria per il contrasto alla povertà nel corso degli anni le Regioni e i Comuni si sono mossi in autonomia, variamente disciplinando la materia, e finanziando specifici progetti ed interventi sul territorio. Le Regioni ‘storiche’ dal punto di vista dell’introduzione di schemi di reddito minimo sono la Valle d’Aosta e le Province Autonome di Trento e Bolzano, seguite poi dalla Campania, dalla Basilicata, dal Lazio.

Alcuni di questi interventi sono tuttora attivi, altri si sono esauriti.

 

A livello nazionale intanto, la grave crisi finanziaria impone un cambio di rotta. Con il Governo Monti diventa urgente modificare l’approccio nei confronti delle politiche sociali, seppur in un contesto di forte emergenza e di tagli alla spesa pubblica. Viene quindi introdotta la sperimentazione di una nuova misura di contrasto al disagio economico grave, la cosiddetta Social Card sperimentale 2. La Social Card sperimentale prende in prestito il nome della precedente carta di pagamento elettronico ma ne modifica le caratteristiche. Si rivolge alle famiglie di disoccupati o precari con figli minori e ISEE inferiore ai 3.000 euro, non più prevalentemente ad anziani; si amplia l’erogazione mensile passando dai 40 euro della carta acquisti tradizionale agli oltre 230 che raggiungono i 404 euro a seconda del numero dei componenti il nucleo; soprattutto prevede l’abbinamento con progetti di reinserimento sociale e lavorativo.

La sperimentazione della misura, della durata di 1 anno, coinvolge 12 Comuni italiani con oltre 250.000 abitanti (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia e Verona) per uno stanziamento complessivo di 50 milioni di euro.

La nuova politica introdotta in via sperimentale in Italia, seppur non scevra di criticità attuative, ottiene l’assenso anche dell’Europa, che con la Strategia EU 2020 ha rafforzato la dimensione sociale delle politiche economiche e per l’occupazione, e con un’apposita Raccomandazione del Consiglio del luglio del 2014 invita il paese ad estendere la sperimentazione a tutto il territorio nazionale.

 

Intanto la povertà assoluta cresce esponenzialmente raggiungendo e superando i 4 milioni di persone ed il tema del contrasto all’esclusione sociale diventa sempre più presente nell’agenda politica, anche grazie al costituirsi dell’Alleanza contro la povertà, di cui fanno parte oltre trenta soggetti del sociale (associazioni, rappresentanze di Regioni, Comuni e Sindacati) e all’intensificarsi degli schemi di reddito minimo a livello regionale. Tra i più significativi oltre al revisionato Reddito di Garanzia della Provincia di Trento, anche il MIA (Misura Attiva di Sostegno al Reddito) del Friuli Venezia Giulia ed il Reddito di Dignità della Regione Puglia.

 

Gli ultimi 3 Governi (Letta, Renzi, Gentiloni) prevedono innanzitutto un’evoluzione della Social Card Sperimentale nell’attuale SIA (Sostegno all’Inclusione Attiva) ed istituiscono per la prima volta in Italia un apposito Fondo per la Lotta alla Povertà ed all’Esclusione Sociale nell’ambito di un Piano Nazionale di contrasto alla povertà che ha come obiettivo l’introduzione di uno schema di Reddito Minimo quale nuovo livello essenziale delle prestazioni da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale.

 

Dal 9 marzo 2017, il REI è stato definitivamente approvato anche in Senato. Si  prevede a questo punto che il Governo emani, entro i prossimi mesi, uno o più decreti con i quali dare concreta attuazione ai principi contenuti nella delega.

La cosa certa fin d’ora è che da schema transitorio di lotta alla povertà qual è il SIA, si passerà ad una misura strutturale caratterizzata da un graduale incremento del beneficio e da una graduale estensione dei beneficiari, da individuare prioritariamente tra i nuclei familiari con figli minori o con disabilità grave o con donne in stato di gravidanza accertata o con persone di età superiore a 55 anni in stato di disoccupazione.

Approccio progressivo ed incrementale dunque, a partire da un iniziale stanziamento di 1 miliardo e 600 milioni, lontano dal fabbisogno di circa 7 miliardi necessario per la generalizzazione di una misura davvero universalistica di contrasto alla povertà assoluta in Italia, ma con previsioni di progressivo incremento. Un milione e 800 mila le persone povere che si stima di raggiungere.

Presupposto della nuova misura, in linea con i più moderni schemi di reddito minimo europeo, sarà l’abbinamento con programmi di attivazione sociale e/o lavorativa dei beneficiari predisposti dal livello locale, in particolare dai servizi sociali dei Comuni in forma associata, in rete con i servizi per l’impiego, i servizi sanitari, le scuole ed i soggetti privati non profit. Proprio al fine del potenziamento e della qualificazione delle prese in carico e più in generale per rafforzare i servizi territoriali per la gestione della misura la delega prevede, così come sta avvenendo per il SIA, l’utilizzo dei fondi strutturali europei, garantiti senz’altro per il settennio 2014/2020, ma incerti per il futuro.

 

Dobbiamo ancora pazientare per aver chiara la configurazione della nuova misura e per fare delle valutazioni precise nel merito, ma ormai la strada è tracciata ed il processo appare irreversibile. Per quanto perfettibile ed ampliabile, siamo senz’altro di fronte a quanto di più vicino ad uno schema generale di reddito minimo tra i vari istituti introdotti in Italia negli ultimi anni.

 

 

  1. Decreto legge n. 112 del 2008
  2. Prevista dall’art. 60 del Decreto Legge n. 5/2012 convertito in L.35/2012