Pandemia e diseguaglianze, (ri)facciamo il punto


Daniela Mesini | 28 Gennaio 2022

La pandemia da Covid-19 non rallenta la sua corsa. Tra varianti più o meno contagiose e previsioni più o meno ottimistiche, sono trascorsi ormai 24 mesi di fatiche e altalenanti restrizioni. L’emergenza sanitaria prosegue e così pure la crisi economica, occupazionale e sociale. Seppure oggi le stime relative alla crescita del PIL sono abbastanza ottimistiche, il commercio con l’estero è in ripresa, così come sono in miglioramento le attività produttive ed i consumi delle famiglie, anche grazie alla fiducia generata dall’innesto di ingenti risorse introdotte sia a livello nazionale che comunitario, il cammino sarà lungo e l’impatto sulle disuguaglianze non sarà certo riassorbibile facilmente1.

Le prospettive restano incerte, anche in considerazione della parzialità di alcune riforme recentemente introdotte2 e delle caratteristiche strutturali del nostro sistema che comportano verosimili rischi di aggravamento di situazioni pre-pandemiche. Si pensi ad esempio alla situazione del nostro mercato del lavoro, già profondamente diseguale prima del covid e caratterizzato da un progressivo ma inesorabile aumento dei working poor3, o da un tessuto produttivo di piccole e medie imprese che hanno risentito in maniera significativa della pandemia e che ora faticano a reperire la manodopera necessaria per sostenere la ripresa delle attività, specie in certi comparti produttivi.

 

L’ultimo recentissimo Rapporto Oxfam “La pandemia della disuguaglianza”, pubblicato in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos, che quest’anno, neanche a dirlo, sarà a distanza, ci tratteggia un quadro di aggravamento delle condizioni economiche delle famiglie e di progressivo ampliamento della forbice tra ricchi e poveri.

Nel primo anno e mezzo di convivenza con il coronavirus anche in Italia è considerevolmente cresciuta la concentrazione della ricchezza. Tra marzo 2020 e novembre 2021 il numero dei miliardari italiani è aumentato di 13 unità ed il valore aggregato dei loro patrimoni è cresciuto del 56%, toccando quota 185 miliardi di euro. Questi signori (40 persone) posseggono oggi l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli italiani più poveri (18 milioni di persone adulte).

D’altro canto le famiglie più povere non sono state capaci di intercettare la pur significativa crescita del risparmio registrata durante la pandemia. Secondo le ultime stime dell’ISTAT4, la povertà assoluta si è impennata in maniera significativa in seguito alla pandemia, raggiungendo i livelli del 2005: sarebbero complessivamente oltre 5,6 milioni i poveri assoluti nel 2020, ben un milione in più rispetto al 2019, passando da un’incidenza sulla popolazione dal 7,7% al 9,4%.

 

Ma la crisi, come sappiamo, non ha colpito come una livella, ed alcuni target di popolazione sono stati più duramente messi alla prova rispetto ad altri. Famiglie con figli minori, donne, lavoratori, specie se precari, con basse qualifiche ed impiegati in mansioni e settori con un più difficile ricorso allo smart working, tra i più provati, in aggiunta alle categorie già fragili e a rischio quali anziani, disabili, stranieri e senza dimora, le cui situazioni si sono definitivamente cronicizzate.

Particolarmente preoccupante l’aumento degli inattivi, specie tra i giovani e giovani adulti tra i 18-34 anni, classe di età già tristemente nota per l’elevata percentuale di NEET. Secondo le recenti stime fornite da Eurostat5 l’Italia detiene un triste primato: un giovane su quattro non studia, non lavora e non segue alcun percorso di formazione. Per la precisione si tratta del 25,1% nel 2020, contro una media europea del 15% ed un’incidenza dei NEET sulla popolazione giovanile rispettivamente del 10% e del 18,8% in Germania e in Spagna. Solo la Grecia si avvicina alla nostra situazione con il 21,3%, ma comunque distanziandoci di quasi quattro punti percentuali. Sarebbero soprattutto i giovani con livello di istruzione inferiore coloro che ricadono tra i NEET e per quanto riguarda l’Italia, ci dice Openpolis, con concentrazioni maggiori nelle regioni del sud, dove si registrano incidenze di quasi il 35% in  Calabria e Campania e addirittura del 37% in Sicilia.

L’alta presenza di NEET è tra l’altro, uno dei principali fattori esplicativi dell’uscita più tardiva dei giovani italiani dalla famiglia di origine, che avverrebbe a poco più di 30 anni, contro una media europea di 26,4.

Aumento della platea dei poveri dunque, ma anche acuirsi dei divari territoriali e delle differenti opportunità di accesso ai servizi.

 

Abbiamo già affrontato più volte su Welforum il tema della didattica a distanza, che ha acuito le diseguaglianze nell’accesso all’istruzione, per eterogenea disponibilità di device, connessioni e spazi adeguati e che ha aumentato a dismisura i casi di dispersione scolastica tra i ragazzi. Ma si pensi anche alle difficoltà di accesso alla sanità, rispetto alle visite specialistiche extra-covid, agli interventi e screening sospesi o di molto posticipati, con impatti significativi sulla prevenzione e la cura delle persone. L’ultimo recente Rapporto del Banco Farmaceutico sulla povertà sanitaria in Italia evidenzia in proposito come nel 2020 il 15,7% delle famiglie italiane (4 milioni 83 mila famiglie, pari a 9 milioni 358 mila persone) ha risparmiato sulle cure, limitando il numero delle visite e degli accertamenti o facendo ricorso a centri diagnostici e terapeutici più economici. Nel 2021 poi, quasi 600.000 persone non hanno potuto acquistare i medicinali di cui avevano bisogno. Si tratterebbe di 163.387 persone in più rispetto alle 434.173 del 2020, registrando, quindi, un incremento stimato del 37,6% di persone in povertà sanitaria6. Diminuita drasticamente nel 2021 anche la spesa per servizi dentistici e odontoiatrici, specie per le famiglie più povere, che vi hanno destinato solo il 7% della spesa sanitaria mensile, contro il 21% del totale delle famiglie.

A questo si aggiunga infine l’impatto della pandemia anche sulla salute psichica e la stabilità emotiva, specie di minori ed adolescenti, con un aumento esponenziale delle situazioni di ansia, stress, fenomeni di autolesionismo e di generale incertezza nei confronti del futuro. Significativo a questo proposito il Rapporto Covid 19 e Adolescenza a cura dell’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, che evidenzia in modo articolato gli effetti degenerativi della pandemia sui ragazzi, per i quali le regole imposte per il contenimento del contagio hanno rappresentato un indubbio ostacolo alla loro ricerca di autonomia e di nuove esperienze, alla costruzione di opportunità e relazioni significative al di fuori della propria famiglia di origine.

 

Di fronte a questo quadro emergono almeno tre evidenze, vere oggi più che mai.

Innanzitutto la centralità/fragilità dell’istituzione famiglia: ammortizzatore sociale per eccellenza in Italia e soluzione a tanti problemi economici, educativi, di conciliazione e di cura è stata messa a dura prova dalla pandemia e ci si è resi conto che non è più in grado di reggere da sola, ma ha essa stessa bisogno di supporti e protezione da parte delle istituzioni7.

Secondo: con la pandemia i bisogni si sono decisamente ampliati, ma soprattutto complessificati. In questi pochi mesi l’evidenza empirica ci ha sbattuto in faccia ciò che la letteratura scientifica sostiene da anni e cioè che la maggior parte delle persone in povertà presenta una situazione multiproblematica. Caritas nel suo ultimo Rapporto ci dice che il 51,6% dei beneficiari che si rivolgono ai loro sportelli, anche percettori di Reddito di Cittadinanza, assommano più vulnerabilità8. Sempre più spesso, infatti, fragilità e disagio economico sono correlati a distanza dal mercato del lavoro, precarie condizioni abitative, quadri sanitari compromessi e titoli di studio medio-bassi.

Terzo: in questa situazione di emergenza continua e faticosa ripartenza, il rischio di rimanere intrappolati nel cosiddetto “circolo dello svantaggio sociale”9 aumenta e si cronicizza. La dispersione scolastica genera bassa istruzione che a sua volta porta a bassa occupazione, la bassa occupazione genera basso reddito e quindi perdurante condizione di povertà economica, che a sua volta crea povertà educativa e sociale, ed il passaggio intergenerazionale della povertà si perpetua.

 

Ma come fare a rispondere a bisogni complessi e favorire la fuoriuscita da situazioni di vulnerabilità croniche?

Non bastano più risposte solo riparative o riforme parziali, servono politiche di sistema ed interventi generativi, inclusivi e capacitanti, per passare dalla protezione alla promozione delle persone e delle famiglie, con particolare attenzione ai minori, nel rispetto dei differenti bisogni e dei diversi profili di attivabilità.

Serve fare integrazione. A più livelli.

Attraverso il rafforzamento della collaborazione, sia istituzionale che operativa tra servizi differenti (sociale, sanitario, politiche educative, del lavoro, abitative), attraverso la promozione di nuove e durature alleanze tra servizi e terzo settore, che vadano oltre il singolo intervento o la singola iniziativa. Occorre investire sulla ricomposizione e messa a sistema delle ingenti risorse, nazionali e comunitarie (PNRR, PON, Fondo Povertà, Child Guarantee, ecc.), a sostegno delle vecchie e nuove povertà, e lavorare sull’integrazione ed il rafforzamento delle competenze e delle professioni coinvolte nell’accompagnamento delle fragilità.

La sfida è senz’altro impegnativa, ma la risposta alla complessità non può essere semplice10.

  1. Mesini D., L’impatto della pandemia sulle disuguaglianze, in Rivista delle Fondazioni di origine bancaria, ACRI, sett.-ott. 2021, pagg. 38-39; Mesini D., Gnan E, Marocchi G., L’impatto della pandemia sulle disuguaglianze, in XXVI Rapporto sulle Fondazioni di origine bancaria – anno 2020, ACRI, Roma, 2021; Mesini D. (a cura di), L’aumento delle diseguaglianze in tempo di pandemia (9.2.2021) – Il Punto di Welforum.
  2. Si pensi ad esempio all’ancora incompleta riforma dell’Assegno Unico Universale per i Figli (AUUF) o alla parziale e poco convincente revisione del Reddito di Cittadinanza in Legge di Bilancio, essenzialmente caratterizzata da una stretta sui controlli, piuttosto che da un ridisegno della misura, nella direzione di un ampliamento della platea degli aventi diritto e di una maggiore equità distributiva. Si veda in proposito la recente Relazione del Comitato Scientifico per la valutazione del Reddito di Cittadinanza, ottobre 2021.
  3. Per un approfondimento si veda l’articolo di Michele Bavaro su eticaeconomia.it
  4. Istat, Le statistiche sulla povertà, 16 giugno 2021.
  5. Eurostat, NEET rates, 3 giugno 2021.
  6. Si tratta dei dati rilevati attraverso la rete dei 1.790 enti assistenziali convenzionati con il Banco ed elaborati da OPSan.
  7. Mesini D., Gnan E., Impennata della povertà assoluta, Welforum.it, 7.3.2021
  8. Caritas Italiana, Lotta alla povertà. Imparare dall’esperienza, migliorare le risposte, 2021
  9. Raccomandazione della Commissione, 2013/112/UE
  10. Il presente articolo trae liberamente spunto da una relazione, qui aggiornata ed integrata, della stessa autrice al kick off meeting del progetto europeo RETICULATE, tenutosi a Firenze lo scorso 16 dicembre 2021, e di cui Irs è partner scientifico. Il progetto, coordinato da ANCI-Federsanità Toscana, è finanziato dalla Commissione Europea (DG Employment, Social Affairs and Inclusion), nell’ambito della call EaSI – Occupazione e Innovazione Sociale – Asse Progress (VP/2020/003), finalizzata a predisporre e valutare interventi integrati per il supporto delle persone particolarmente vulnerabili nei paesi membri.