Pandemia e politicizzazione delle politiche contro la povertà in Italia


Marcello Natili | 1 Marzo 2022

I Policy Highlights di “Politiche Sociali/Social Policies”: questo articolo è una sintesi del contributo “Di «cittadinanza» o di «emergenza»? Politiche e politica del reddito minimo nella pandemia”, uscito sul numero 3/2021 della rivista.

 

Introduzione

La pandemia di Covid-19 ha rappresentato (e rappresenta) un formidabile stress-test per il welfare state italiano, e specialmente per gli schemi di contrasto alla povertà – per le peculiarità connesse all’inedita (benché parziale) sospensione delle attività economiche – in un paese già profondamente segnato dalle conseguenze sociali della Grande Recessione (2008-14).

 

Considerata la portata delle sfide rispetto a dinamiche occupazionali, redditi e povertà, il presente contributo si pone i seguenti obiettivi. In primo luogo, sul versante di policy, mette a fuoco e analizza la scelta compiuta dal governo – nell’“inedito” contesto rappresentato dal lockdown e delle misure restrittive dell’attività economica – di puntare su una nuova misura denominata “Reddito di Emergenza” per contrastare, e prevenire, il diffondersi della povertà nei primi drammatici mesi della pandemia. Successivamente, l’articolo punta a tratteggiare la costellazione degli attori e ricostruire le dinamiche decisive nel plasmare la “via italiana” al contrasto alla povertà durante la pandemia. Tale ricostruzione consente, da ultimo, di valutare se nel processo decisionale ha prevalso una dinamica di interazione strutturata attorno a interessi strettamente politici – e dunque connessi ai rapporti di pressione e “scambio politico” tra gruppi di interesse e partiti-governo– ovvero vi è stato margine per riflessioni condivise circa le soluzioni potenzialmente più efficaci. Ciò consentirà, in conclusione, di avanzare alcune riflessioni circa le caratteristiche della politics del reddito minimo in Italia, a quasi tre anni dall’introduzione del Reddito di Cittadinanza.

 

Il Reddito di Emergenza in Italia: un caso di espansione di policy emergenziale e residuale

Nell’analizzare le misure italiane di contrasto alla povertà nella pandemia Covid-19, non si può prescindere da una considerazione preliminare. All’emergere della pandemia, a differenza di quanto avvenuto all’indomani dello scoppio dell’ultima grande crisi economica, circa due milioni e mezzo di persone in grave difficoltà economica hanno potuto accedere ad un robusto schema di reddito minimo, il Reddito di Cittadinanza (RdC). Se questa fosse scoppiata solo due anni prima, gli effetti sulla povertà in Italia sarebbero stati disastrosi.

Tuttavia, il RdC presenta tutte le caratteristiche che limitano la capacità degli schemi di reddito minimo in tutta Europa di rispondere a una situazione di crisi straordinaria in maniera rapida ed efficace: requisiti reddituali e patrimoniali stringenti, e una procedura burocratica per accedervi lunga e farraginosa, dovuta anche ad un’imponente richiesta di documenti. Inoltre, a ben guardare, il Reddito di Cittadinanza possiede qualche criticità in più: la formale esclusione di una quota rilevante di potenziali beneficiari – i poveri residenti in Italia che possiedono la residenza italiana da meno di 10 anni – oltre che la scarsa capacità dell’ISEE di intercettare una improvvisa caduta del reddito, come quella avvenuta a marzo/aprile del 2020, come ben sottolineato sulle pagine di questo sito da Motta e Pesaresi.

Vi erano tuttavia una serie di correttivi che avrebbero potuto (e potrebbero ancora) essere introdotti per permettere al RdC di svolgere con più efficacia la funzione di protezione dal rischio povertà in questa fase particolare, sulla scorta di quanto fatto anche in altri paesi europei quali Francia e Germania. Tra questi interventi vi erano: ampliare la copertura alle persone con cittadinanza non italiana; rafforzare la comunicazione di informazioni ai potenziali aventi diritto; semplificare drasticamente la documentazione necessaria per richiedere la misura e velocizzare le procedure di erogazione; allentare – se non eliminare del tutto – i requisiti patrimoniali, per lo meno nella fase emergenziale (si veda anche OECD 2020).

 

Il governo ha tuttavia scelto di percorrere una strada differente, introducendo uno strumento emergenziale, il Reddito di Emergenza (REM). Nelle previsioni del governo il REM era destinato a oltre due milioni di beneficiari, appartenenti ai nuclei familiari che nell’aprile del 2020 – mese in cui l’Italia intera era sottoposta al lockdown – avessero un reddito mensile inferiore all’ammontare stesso del REM, pari a 400 euro per un individuo solo – cifra che aumenta di 160 euro per ogni adulto e di 80 euro per ogni minorenne, fino a un massimo di 800 (840 in presenza di un disabile grave). Il principale aspetto positivo è che per essere beneficiari del REM non si richiede una durata minima di permanenza in Italia, andando così in effetti a coprire uno dei ‘buchi di copertura’ più evidenti del RdC sottolineati in precedenza. Gli aspetti negativi riguardano in primo luogo, la durata molto limitata dello strumento – inizialmente previsto per soli due mesi, esteso di volta in volta dai vari decreti fino a un totale di 8 mesi non continuativi da maggio 2020 a dicembre 2021. In secondo luogo, l’aver mantenuto gli stringenti requisiti d’accesso – ovvero requisiti sia di natura reddituale che patrimoniale, seppure resi meno stringenti e più inclusivi rispetto al RdC – che, oltre a limitare la platea di potenziali beneficiari, costituiscono oneri amministrativi che rendono più lenta e difficile la risposta pubblica e più difficile l’accesso per i richiedenti. Inoltre, aver reso più frammentata la protezione contro la povertà, aumentando la confusione tra i potenziali beneficiari – uno degli elementi che contribuisce al basso take-up delle prestazioni contro la povertà – creando tra l’altro delle disuguaglianze poco giustificabili tra cittadini in condizione di bisogno, poiché le due prestazioni sono di differente generosità. Infine, effetto paradossale per una misura che lo stesso governo ha definito emergenziale, aver reso più complesso e meno rapido l’intervento protettivo dello stato: in effetti, i dati forniti dall’INPS circa gli effettivi beneficiari della misura mostrano come, in particolare nella prima fase della pandemia, l’obiettivo del governo di tutelare in maniera rapida ed efficace le famiglie povere non coperte dalle prestazioni ordinarie è stato raggiunto solo molto parzialmente.

 

Come mai si è deciso di procedere per questa strada, piuttosto che rendere più protettivo lo strumento ordinario, il RdC? L’articolo sottolinea come, anche in una fase drammatica come quella dei primi mesi della pandemia, gli scambi tra attori sociali e politici e le logiche esclusivamente orientate a dinamiche di competizione politica hanno avuto un ruolo decisivo nel plasmare le scelte effettuate dal governo nel settore delle politiche di contrasto alla povertà.

A fronte della necessità di intervenire rapidamente per rispondere alla situazione straordinaria generata dalla pandemia, si sono rapidamente costituite specifiche coalizioni sociali in grado di dotare di voce e peso politico un gruppo sociale eterogeneo e dotato di scarse risorse politiche, come i poveri, facendo sì che in questa fase – a differenza che in passato – non venisse trascurata la necessità di rendere più protettivo il sistema italiano di contrasto alla povertà. Tra le proposte maggiormente strutturate vi era, da un lato, la proposta di ForumDD e ASVIS di espandere – temporaneamente, ma significativamente – la capacità d’intervento del RdC, puntando a far arrivare in maniera molto rapida un sostegno alle persone in difficoltà anche a costo di raggiungere qualche ‘falso positivo’; dall’altra una proposta sostenuta dall’Alleanza contro la Povertà che, pur prevedendo anch’essa di rendere più inclusivo il RdC, poggiando sull’ISEE anche in una fase emergenziale consentiva di ‘contenere’ l’espansione dello strumento ordinario.

Tuttavia, accanto – o meglio, di fronte – a tali coalizioni a sostegno di una modifica dello schema ordinario, si sono attivati attori in aperta opposizione a tali interventi. Nella pandemia è infatti divenuta vieppiù evidente l’opposizione di Confindustria rispetto al ricorso agli strumenti socio-assistenziali per far fronte alla crisi sociale innescata dalla pandemia.

Importante, tali caratteristiche della domanda hanno inciso in profondità sulle fratture della disomogenea maggioranza a sostegno del governo Conte II, fratture che con riferimento al reddito minimo si eran già delineate al tempo dell’introduzione del RdC, quando lo scontro tra il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico era stato particolarmente acceso. L’emergere della pandemia non ha modificato la posizione degli attori in gioco: il conflitto è ri-emerso e si sono definite alcune chiare posizioni di veto all’interno della maggioranza – in particolare, quella di Italia Viva – che hanno reso di fatto impraticabile l’opzione di rendere più inclusivo il RdC.

Allo stesso tempo, la pressione da parte di coalizioni sociali attente allo sviluppo delle politiche contro la povertà, e di alcune forze politiche sensibili alle richieste di queste, ha consentito l’introduzione di un nuovo strumento, il Reddito di Emergenza – temporaneo e decisamente residuale – per tamponare alcune lacune nella copertura del RdC.

 

Conclusioni

La decisione di adottare un nuovo strumento per rispondere al drammatico aumento delle povertà portato dall’emergere della pandemia, il Reddito di Emergenza, oltre ad aver limitato la capacità di rispondere tempestivamente ai bisogni di “chi ha di meno”, ha fatto sì che rimanga oggi aperta la questione della protezione degli ‘ex’ beneficiari REM che non hanno diritto oggi diritto al RdC pur rimanendo la situazione economica e sociale difficile. In questa prospettiva, particolare attenzione dovrebbe essere dedicata ai cittadini extracomunitari, poiché la scelta di proteggere la maggior parte delle famiglie straniere soltanto attraverso uno schema temporaneo appare iniqua, inefficiente considerando l’evoluzione della povertà in Italia (si veda Mesini e Gnan 2021), e poco giustificabile rispetto ai principi sanciti nel Pilastro Europeo dei Diritti Sociali.

 

Tali considerazioni consentono un’ultima osservazione. Ancora oggi, a quasi tre anni dall’introduzione, è difficile promuovere in Italia un dibattito, volendo anche acceso ma empiricamente ben fondato sul RdC, una misura fortemente connotata normativamente e considerata il cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle. E così, le proposte del ‘Comitato Scientifico per la Valutazione del Reddito di Cittadinanza’ volte a correggere le distorsioni della misura vengono sostanzialmente accantonate, mentre governo e parlamento introducono in Legge di Bilancio misure di dubbia efficacia che mirano a inasprire l’apparato sanzionatorio della misura. In altri termini, le politiche di reddito minimo in Italia continuano ad essere eccessivamente influenzate da dinamiche di ’iperpoliticizzazione’– ossia di puro scontro tra interessi e relativi rapporti di potere – che hanno caratterizzato questo settore di policy persino durante la pandemia, e che rendono ancor più arduo adottare soluzioni utili a rispondere al dilagare della povertà in Italia.