Povertà: stabilità solo apparente, preoccupazione in aumento


Daniela Mesini | 25 Luglio 2017

Gli ultimi dati Istat sembrano evidenziare una sostanziale stabilizzazione dell’incidenza della povertà, sia assoluta che relativa nell’ultimo quadriennio.

 

La povertà relativa, calcolata sulla base di una soglia convenzionale che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita ‘relativamente’ povera, riguarda nel 2016 il 10,6% delle famiglie residenti, pressoché in linea con gli anni precedenti. Si tratta di 2 milioni e 734mila famiglie, pari a 8 milioni e 465mila individui, la cui spesa media mensile non ha superato i 1.061,50 euro, valore soglia per una famiglia composta da due componenti.

 

La povertà assoluta, come noto, non misura la distanza da una soglia standard, ma si occupa di indagare la deprivazione materiale dalle famiglie attraverso l’analisi della spesa sostenuta per l’acquisto di un paniere ‘minimo’ di beni ritenuti essenziali. Tale spesa minima viene dall’Istat opportunamente parametrata, sia sulla base della composizione familiare, che dell’area geografica di riferimento. Le famiglie la cui spesa media mensile non consente l’acquisto di quei beni primari, vengono definite povere in senso assoluto. Questa incidenza, che va quindi ad intercettare un bisogno più estremo e cogente rispetto alla povertà relativa, nel 2016 risulta pari al 6,3%, cioè ad un milione e 619mila famiglie, corrispondenti a 4 milioni e 742 individui. Si tratta della stessa incidenza del 2013, dopo una lieve flessione dell’indicatore nel 2014 e nel 2015.

 

Ma la stabilità del fenomeno sembra più apparente che reale.

 

Innanzitutto, calcolare la povertà relativa a partire da una spesa media mensile che in questi anni è diminuita o certamente non è aumentata in maniera significativa in considerazione di stili di vita progressivamente più parsimoniosi, implica che anche la linea di povertà è rimasta pressoché costante, catturando una percentuale di poveri relativi che nel tempo non viaria di molto. Peraltro, come noto, basarsi su un’unica soglia standard, definita a livello nazionale, e che di fatto non considera i differenziali di costo della vita presenti sul territorio, appiattisce di per sé stessa ulteriormente la ricostruzione del disagio economico.

 

La percentuale di famiglie in povertà assoluta presenta anch’essa una certa stabilizzazione a livello nazionale, ma questo non comporta certo un sollievo, quanto piuttosto la riconferma empirica che ormai da qualche anno ci troviamo di fronte ad un fenomeno di una gravità consistente e che non accenna a migliorare. Peraltro, se l’incidenza della povertà assoluta tra le famiglie si mantiene sostanzialmente stabile sui livelli stimati negli ultimi 3 anni, cresce invece se misurata in termini di individui poveri assoluti, per via dell’aumento della povertà tra le famiglie numerose, registrando il valore più alto dal 2005: 7,9% della popolazione (contro il 7,6% del 2015 e il 6,8% del 2014).

 

Aumenta inoltre l’intensità della povertà: l’indicatore che misura quanto i poveri sono poveri, cioè quanto la spesa media mensile delle famiglie povere assolute si trova in media sotto la soglia di povertà, è aumentato di ben due punti percentuali passando dal 18,7% del 2015 al 20,7% del 2016.

 

Inoltre, continuano a sfuggire alla rilevazione alcuni target che non risultano ricompresi nel sistema di campionamento ma che sappiamo essere drammaticamente in aumento (senza fissa dimora, rom, immigrati senza permesso di soggiorno, ecc …), aggravando significativamente la situazione reale.

 

In questo quadro di stabilità complessiva solo apparente, le statistiche stesse evidenziano delle situazioni sempre più preoccupanti, caratterizzate da un consistente e progressivo aumento dell’incidenza della povertà per certe platee di beneficiari e per certe aree territoriali del Paese. Il disagio è proporzionalmente più consistente per le famiglie numerose, specie con figli minori, per le famiglie con persona di riferimento under 35enne, per i nuclei familiari con persona di riferimento dal basso profilo professionale o in cerca di occupazione.

 

Guardando alla sola povertà assoluta, per via dell’’inganno metodologico’ connesso con le stime di povertà relativa di cui si è detto appena sopra e che tende ad attutire alcune evidenze, quello che impressiona è soprattutto il significativo aumento della povertà tra le famiglie con minori, che nel 2016 arriva a coinvolgere 137.771 nuclei e 814.402 individui.  L’incidenza della povertà assoluta delle famiglie con 3 o più figli minori sale al 26,8% (dal 18,3% del 2015); ciò significa che più di una famiglia numerosa con bambini su 4 nel 2016 non risulta in grado di consumare un paniere di beni e servizi ritenuto indispensabile per vivere in modo dignitoso. Sono proprio i minori quelli che patiscono maggiormente l’aggravarsi del disagio economico con un incremento dell’incidenza della povertà assoluta che raggiunge il 12,5% nel 2016 (10,9% nel 2015 e addirittura 3,9% nel 2005), mentre persiste la diminuzione della povertà tra gli anziani, cominciata nel 2012, a riconferma del fatto che la capacità di protezione sociale dei nostri sistemi pensionistici è sicuramente superiore a quella dei sussidi di disoccupazione e degli strumenti assistenziali. La speranza è che a partire dai prossimi anni gli effetti delle nuove misure di contrasto alla povertà implementate (SIA) ed in corso di implementazione (REI) a livello nazionale possano contenere questo progressivo peggioramento della povertà minorile, invertendo la tendenza.

 

In linea con gli anni precedenti, seppur in maniera più significativa nel 2016, la povertà assoluta cresce anche tra le famiglie con a capo una persona con bassi profili professionali e/o in cerca di occupazione: se il capo famiglia è operaio l’incidenza della povertà assoluta è doppia (12,6%) rispetto a quella delle famiglie nel complesso (6,3%) e la situazione è ancora peggiore nel caso di persona di riferimento in cerca di occupazione dove l’incidenza è pari al 23,2% (19,8% nel 2015). In controtendenza invece i dati riferiti al titolo di studio del capofamiglia: titoli più alti (licenza media, diploma e oltre) non risultano più essere un riparo da situazioni di rischio, anzi si caratterizzano nel 2016 per incidenze di povertà assoluta più alte che in passato.

 

Anche l’incidenza della povertà assoluta per la presenza di stranieri in famiglia si conferma in crescita, evidenziando tuttavia dal 2016 una situazione più compromessa per le famiglie miste di italiani e stranieri con un’incidenza del 27,4% (contro il 14,1% del 2015) rispetto al 25,7% delle famiglie di soli stranieri (contro il 28,3% del 2015).

 

A livello territoriale le situazioni sono molto diversificate e i profili di disagio differenti.

 

In generale, le aree metropolitane fine a qualche anno fa particolarmente interessate dal fenomeno, sembrano aver migliorato la loro situazione, mentre sono per lo più i Comuni di periferia o al di sotto dei 50mila abitanti, specie se localizzati nel centro-nord Italia, a risentire maggiormente dell’aumento delle situazioni di povertà.

 

Guardando alla ripartizione territoriale, il Sud Italia si conferma l’area più a rischio, ma in miglioramento rispetto al 2015, con un tasso di povertà relativa che si attesta sul 19,7% nel 2016 (20,4% l’anno precedente). Nel Mezzogiorno la regione con meno poveri è l’Abruzzo, dove l’incidenza è del 9,9% (nel 2015 era 11,2%), drammatica invece la situazione in Calabria (34,9% contro il 28,2% del 2015); a seguire Sicilia (22,8%) e Basilicata (21,2%). La Puglia, con un’incidenza della povertà del 14% è la Regione del Sud dove il tasso è sceso in maniera più repentina, dal 18,7% del 2015, evidentemente anche grazie alle recenti misure regionali a sostegno del reddito delle famiglie più povere.

 

Nel centro Italia la situazione nel 2016 si è invece aggravata rispetto al 2015 con un aumento dell’incidenza della povertà di 1,3 punti percentuali, per attestarsi al 7,8%. Particolarmente compromessa la situazione in Umbria, Lazio e Molise, ragionevolmente anche a causa degli ingenti danni provocati dai recenti terremoti. La Toscana, invece, che per il quarto anno consecutivo vede diminuire l’incidenza della povertà, si attesta come la regione meno povera d’Italia, con un’incidenza della povertà relativa pari al 3,6%, molto al di sotto della media nazionale (10,6%).

 

Situazione infine abbastanza stazionaria al Nord, seppur caratterizzata da alcuni peggioramenti del fenomeno, specie in regione Liguria dove il tasso di povertà relativa è aumentato di ben 2 punti percentuali e mezzo rispetto allo scorso anno, attestandosi sull’11,1%.

 

Scarica il Report annuale dell’Istat sulla povertà in Italia e i relativi prospetti in formato Excel.

Approfondisci il tema leggendo su Percorsi di SecondoWelfare l’articolo di Lorenzo Bandera e il contributo di Linda Laura Sabbadini.