Introduzione
Il dibattito sulla professione dell’educatore è sempre attuale. Testimone ne è il fatto che, negli ultimi quindici anni, le principali riviste scientifiche di settore hanno affrontato il tema in maniera continuativa, con periodi particolarmente ricchi di contributi in prossimità dei cambiamenti attuati nei percorsi formativi e con interesse crescente, a partire dal 2016, in connessione con l’attenzione anche politica sul tema1.
Le questioni centrali del dibattito riguardano:
- la formazione, che, nel nostro paese in particolare, ha avuto alterne modalità, a partire dai corsi regionali, fino all’istituzione dei percorsi universitari nei primi anni ‘90, per arrivare alla situazione attuale con due canali formativi principali (classe di laurea SNT2 delle professioni sanitarie e classe di laurea L-19 in Scienze dell’educazione e della formazione), passando per i percorsi di riqualifica e, più di recente, distinguendo ulteriormente nella L-19 il curriculum specifico per l’educatore della prima infanzia (fascia d’età 0-3 anni, o, oggetto di ulteriore discussione, 0-6) e prevedendo come evoluzione potenziale di professionalità e di carriera il ruolo di pedagogista, in possesso di laurea magistrale (LM-85, LM-50, LM-57, LM-93);
- gli ambiti comuni o specifici di lavoro connessi ai diversi titoli conseguiti, in parte ora chiariti dalle recenti disposizioni normative (la cosiddetta Legge Iori2 e il decreto su funzione e ruolo dell’educatore professionale socio-pedagogico dello scorso ottobre), che rispondono in parte alle riflessioni sulla possibilità di prevedere un profilo unico di professionista utile a valorizzare la figura dell’educatore e al contempo a garantire opportunità e riconoscimento professionale, anche nei più concreti termini di condizioni occupazionali (su questo tema il discorso è complesso e necessita di spazi adeguati di approfondimento);
- le competenze specifiche del professionista che opera in ambito socio-educativo, oggetto principale di questo contributo.
Si tratta di un quadro complesso, sia pure in via progressiva di definizione, in cui si intrecciano le difficoltà legate alla stratificazione e alla frammentazione dei percorsi formativi con quelle connesse al riconoscimento degli ambiti di pertinenza per l’esercizio dell’attività professionale (socio-educativo, formativo, sanitario) soprattutto all’interno di quei servizi in cui questi si sovrappongono (ad esempio nelle RSA). Tale situazione crea spesso confusione sia nella visione che dell’educatore ha il senso comune, che fatica a riconoscergli un ruolo professionale di valore, sia negli sbocchi occupazionali (enti pubblici e terzo settore sembrano a volte, ad esempio, non riuscire a tenere il passo con il susseguirsi delle disposizioni normative in merito ai requisiti richiesti in fase di assunzione). Tale complessità si evidenzia poi particolarmente nelle scelte formative iniziali di chi desidera svolgere un lavoro in ambito sociale. Si riscontra, infatti, in questo ambito disorientamento rispetto al ventaglio possibile di professioni socio-psico-educative, che si acuisce quando si tratta di individuare il percorso di maggior interesse per diventare educatore3.
Può essere utile provare a sviluppare una breve analisi a partire dalle situazioni concrete in cui tale professionista si trova ad operare, per delineare le competenze effettivamente messe in gioco dall’educatore nell’esercizio della professione, per poi riprendere i contributi teorici sviluppati sul tema.
Educatori e educatrici sul campo
Laura si occupa di minori inseriti in comunità, li segue nelle routine quotidiane, nello studio, nelle attività ricreative. Costruisce, in rete con i servizi sociali e psicologici, percorsi ed esperienze costruttive calibrate in funzione dei bisogni di ciascuno e con ciascuno condivisi. Accoglie e contiene le loro emozioni positive e negative. Li accompagna nel ri-costruire, ove possibile, un legame con la famiglia. Progetta con loro il percorso di avvio alla vita adulta. Al mattino, quando i ragazzi sono a scuola, con i colleghi valuta le situazioni, gli effetti delle azioni proposte e definisce gli interventi successivi.
Giovanni lavora in un centro aggregativo, in un quartiere piuttosto difficile nella periferia di una città metropolitana, frequentato da bambini e bambine e adolescenti di diverse origini geografiche e con storie molto diverse. Affianca i ragazzini nei compiti, e nelle attività sportive, ricreative e culturali, che con il team di lavoro progetta per favorirne l’integrazione e la partecipazione attiva a partire dalle loro risorse. Quando non sono previste attività, si occupa della rendicontazione dei progetti per gli enti finanziatori.
La cooperativa in cui lavora Ottavia si occupa di giovani adulti con disabilità. Alcuni di essi frequentano il centro diurno, altri vivono in gruppi appartamento. Per ciascuno si costruisce un progetto che spesso prevede l’inserimento in una attività lavorativa e un progressivo passaggio a una vita il più possibile autonoma.
Enzo lavora in una RSA. Si occupa dei laboratori progettati all’interno della struttura dall’équipe interdisciplinare di cui fa parte. Durante la pandemia ha dedicato molto tempo a facilitare la comunicazione degli ospiti della struttura con i familiari a casa, grazie alle sue competenze nell’uso delle tecnologie.
Gabriella lavora nell’educativa territoriale di una Comunità montana. Viaggia in auto tutti i giorni per raggiungere nelle loro case adulti non autosufficienti, famiglie seguite dai servizi sociali, bambini che necessitano di un supporto durante il pomeriggio, ragazze che non riescono ad andare a scuola. Condivide scelte, progetti e valutazioni con i servizi sociali, sanitari, gli insegnanti delle scuole, oltre che con i colleghi dell’équipe educativa.
Anna è una libera professionista. Lavora principalmente con le scuole, dove propone e conduce progetti di peer education in collaborazione con gli insegnanti. Al pomeriggio segue alcuni bambini con disabilità al loro domicilio.
Antonio lavora da molti anni in una cooperativa che si occupa di adulti in grande difficoltà (persone senza fissa dimora, giovani vittime di sfruttamento, comunità madre-bambino…). Ha incontrato molti colleghi e molte colleghe, e altrettanti ne ha visti cambiare ambito di lavoro dopo qualche mese o pochi anni.
Marta lavora in un asilo nido. Tutti i giorni condivide i progressi dei bambini con i loro genitori. Con le colleghe programma le attività da svolgere durante l’anno, pronta a variarle quando un imprevisto non consente di attuarle. Con loro periodicamente valuta se le proposte consentono effettivamente di raggiungere i traguardi previsti, e in caso negativo, cerca di capire cosa non funziona e riprogetta le attività.
L’associazione creata da Federico e Marco per sostenere al pomeriggio le attività di studio si è rinnovata durante il lockdown, proponendo alle famiglie attività a distanza sia individuali che in piccolo gruppo e sfruttando le tecnologie e le risorse presenti in rete per conservare le relazioni sociali dei ragazzi e mantenere la loro motivazione allo studio.
Competenze nel lavoro educativo
Gli esempi riportati nel paragrafo precedente4 mostrano un profilo di professionista articolato rispetto alle fasce di età delle persone di cui si occupa (bambini, adolescenti, adulti, anziani) e che accompagna nel processo di cambiamento; alle loro diverse condizioni di “normalità” e di “disagio” e ai differenti contesti (scuola, famiglia, comunità, strutture residenziali e non residenziali, territorio) in cui opera. Le brevi immagini riportate possono anche aiutare a definire le caratteristiche distintive della professione rispetto, ad esempio, a quella dell’assistente sociale. Si evidenzia infatti un focus maggiormente orientato all’affiancamento, guidato ovviamente da intenzionalità educativa, delle persone in un processo continuo che, a partire dalle loro stesse risorse e in un quadro progettuale spesso definito in maniera condivisa con una rete di professionisti, consenta il raggiungimento dei traguardi trasformativi prefigurati.
Ricerche e studi sul tema, focalizzati sulle competenze effettivamente agite dall’educatore o richieste in uscita dai percorsi formativi5, hanno però consentito di individuarne un insieme comune e caratterizzante, condiviso e spendibile qualunque sia il contesto in cui l’educatore si colloca. Diversi contributi le hanno esaminate e descritte6. Esse sono poi di fatto state riprese nel profilo delineato dalla recente normativa sulla figura7. A tali scritti si rimanda per approfondimenti, onde evitare di fermarsi a riduzioni eccessivamente semplicistiche, limitandoci qui a descrivere i principali ambiti di competenza che caratterizzano il profilo professionale.
Un primo ambito riguarda la progettazione, l’attuazione e la valutazione degli interventi. La competenza nella progettazione costituisce la risposta professionale alla richiesta sociale di interventi adeguati ai bisogni che emergono nei diversi settori in cui l’azione educativa si sviluppa. Tale risposta deve, dunque, strutturarsi su problemi e bisogni reali del contesto, adeguatamente rilevati e tradotti in traguardi verificabili. Deve prevedere approcci, metodi, tecniche e strumenti (compresi quelli tecnologici) efficaci per il raggiungimento dei traguardi individuati. Il processo così avviato deve essere documentato e monitorato, per poterlo flessibilmente rimodulare se necessario. Occorre infine valutare l’entità del cambiamento prodotto e il suo impatto, attraverso una adeguata pianificazione e strumenti validi e affidabili.
Le competenze relazionali sono un altro elemento centrale del lavoro educativo. Perché la relazione educativa si sviluppi in maniera positiva e possa costituirsi come utile strumento pedagogico e di aiuto, occorre che l’educatore abbia la consapevolezza degli elementi che la caratterizzano, della loro complessità e interdipendenza, che non ceda al pregiudizio, a letture semplicistiche dei fenomeni cui assiste, che sia attento ai processi comunicativi attuati, per poter gestire situazioni anche problematiche. La costruzione e lo sviluppo della relazione educativa richiede, inoltre, di saper accogliere la diversità (sia essa fisica, psichica o culturale), di saper gestire le situazioni conflittuali che inevitabilmente si presentano, di saper promuovere e motivare la partecipazione dei soggetti coinvolti negli interventi.
Per condurre le attività proprie del lavoro educativo, l’educatore si confronta quotidianamente con i colleghi e con altri professionisti (assistenti sociali, psicologi, insegnanti, medici…). Perché tale confronto si configuri come costruttivo e produttivo, è importante che l’educatore si capace di lavorare in gruppo, a livello di équipe interprofessionale e abbia contezza delle caratteristiche organizzative e di gestione dei servi in cui opera e con cui si interfaccia.
La varietà dei settori di intervento in cui l’educatore può trovarsi ad operare e l’unicità delle situazioni che tale professionista incontra all’interno di uno stesso settore richiedono inoltre capacità di adattamento a contesti diversi, flessibilità nell’utilizzare i modelli di azione, modificandoli di volta in volta.
È opportuno, infine, che l’educatore si confronti continuamente con le situazioni problematiche che incontra, ritornando sui processi educativi avviati, sulle modalità relazionali e comunicative utilizzate, sui sentimenti emersi, sul quadro valoriale entro cui si muove, realizzando una costante opera di revisione rispetto al proprio operato. Tale pratica riflessiva consente al professionista di imparare dalla propria esperienza e individuare eventuali nuove opportunità di apprendimento.
Le aree di competenza sopra delineate dovrebbero poggiare su solidi saperi teorici di tipo pedagogico, psicologico, sociologico, antropologico, normativo, e su competenze di ricerca empirica. Queste ultime, in particolare, contribuiscono a dare fondamento scientifico alle scelte e alle azioni portate avanti, pur se ricalibrate sulle specificità del contesto (secondo le logiche dell’Evidence Informed Education), conferendo così al lavoro educativo quel valore che non sempre vede riconosciuto.
- Pellegrini M., De Maria F. (2021), “Revisione ragionata di studi e ricerche sul tema delle professioni educative e formative: il contesto pedagogico italiano”, in Federighi P., Del Gobbo G. (a cura di), Professioni dell’educazione e della formazione, Editpress, Firenze, pp. 137-168.
- Legge 205/2017, commi 594-601 e Decreto 27.10/21 su Funzione e ruolo educatore professionale socio-pedagogico.
- Ricchiardi P, Torre E.M., Colombo L., Dellavalle M., Ghislieri C., Torrioni P., “Educatori, assistenti sociali, psicologi e insegnanti: uno strumento per l’autovalutazione delle rappresentazioni professionali degli studenti”, Educational Reflective Practices, 2021, 1.
- Si tratta certamente di un quadro parziale. Gli esempi riportati traggono spunto dal lavoro svolto nell’ambito dei Progetti di orientamento e tutorato (POT) promossi dal Miur e attivati presso l’Università di Torino. Tale lavoro ha previsto la costruzione di un itinerario di orientamento differenziale alle professioni socio-psico-educative, all’interno del quale è raccolto, oltre ad altri materiali, un consistente numero di interviste in cui i diversi professionisti, operanti in ambiti differenti, descrivono il loro ruolo e le caratteristiche del loro lavoro e delineano le competenze necessarie a svolgerlo al meglio.
- AIEJI, “The professional competence of social educators. A conceptual framework”, 2005; Drudy S., Gunnerson L., Gilpin A. (2009). “Reference points for the design and delivery of degree programmes in education”, Universidad de Deusto, Bilbao, 2009; Orefice P., Carullo A., Calaprice S. (a cura di), “Le professioni educative e formative: dalla domanda sociale alla risposta legislativa”, Cedam, Padova, 2011; Federighi P., “I contenuti core dell’offerta formativa dei Corsi di laurea in Scienze dell’educazione e della formazione”, Form@re, 18(3)
- Cfr. tra gli altri, i numeri monografici delle seguenti riviste: Lifelong, Lifewide Learning, 2010; 2019; Annali online della didattica e della formazione docente, 2016; Pedagogia oggi, 2017; Form@re, 2018, 2020.
- L. 205/2017, art. 6, c. 2.