Quale garanzia per i giovani?


Carlotta Mozzana | 29 Marzo 2018

Come è noto, il sostanziale aumento della disoccupazione nell’ultimo decennio ha visto in particolare un forte incremento di quella giovanile, registrata in forme drammatiche soprattutto in alcune aree dell’Unione Europea. A questo fenomeno si è affiancata la nascita di una nuova categoria di persone, i cosiddetti NEET (Not in Education, Employment and Training), ovvero i giovani non inseriti in percorsi di istruzione o formazione e neanche in una qualche forma di lavoro. Si tratta di un fenomeno che nel 2016 nei paesi dell’Unione Europea si attesta al 15.6% nei giovani tra i 15 e i 34 anni, ma con significative variazioni, per cui si va dal 7.2 e al 7.9% rispettivamente di Svezia e Olanda al 25.6 della Grecia e al 26% dell’Italia (dati Eurostat 2017). Restringendo lo sguardo ai giovani italiani tra i 15 e i 29 anni, i numeri cambiano molto: nel 2016 ben il 24.3% della popolazione giovanile si trovava in questa condizione, ovvero circa 2 milioni e 200mila persone, con un’incidenza maggiore tra le donne (26,3%) rispetto agli uomini (22,4%) (dati Istat 2016).

Garanzia Giovani: premesse europee e Piano italiano

L’Unione Europea ha visto con preoccupazione l’affacciarsi di questo nuovo fenomeno e, attraverso una raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 22 aprile 2013, ha sancito la necessità di fornire una Garanzia per i Giovani, mettendo a disposizione fondi specifici con l’obiettivo di sostenere questa fascia della popolazione nell’approcciarsi al mondo del lavoro. Poiché si tratta di un’iniziativa che ricade nelle materie di competenza del Metodo aperto di coordinamento, ogni Stato membro, successivamente alla pubblicazione della raccomandazione, ha dovuto elaborare un proprio Piano di Attuazione Nazionale.

Nonostante le critiche al Piano di Attuazione italiano, che hanno messo in luce il rischio di essere “l’ennesimo calderone di iniziative, realizzate (quando va bene) al di fuori di qualsiasi seria logica di processo o di costruzione di un sistema nazionale”, ma anche la frammentazione territoriale che caratterizza il Piano sin dalla sua nascita (Vesan 2014: 496), la mancanza di Centri per l’impiego adatti a sostenere politiche attive del lavoro di questo tipo e, da ultima, la bocciatura da parte della Corte dei Conti UE rispetto ai risultati italiani, Garanzia Giovani in questi anni è stata sperimentata e messa a regime su tutto il territorio italiano con un primo finanziamento pari a 1.5 miliardi di euro e un rifinanziamento, per il triennio 2017-2020, di 1.3 miliardi di euro.

 

GG in Italia ha quindi preso avvio il 1 Maggio 2014. I servizi di cui si è dotata sono riassunti nella Figura 1:

Figura 1. I servizi del Piano italiano di Garanzia Giovani (dal Piano di attuazione italiano, p. 9).

 

I giovani interessati ad aderire al programma possono accedere ai servizi registrandosi online alla piattaforma o tramite i punti di contatto sul territorio, indicando la regione in cui intendono lavorare (che non deve necessariamente essere quella di residenza). Questa è tenuta a prendere in carico la persona entro due mesi dalla registrazione attraverso le agenzie preposte, occupandosi sia della profilazione che dell’orientamento, durante il quale viene definito un contratto denominato “Patto di servizio” tra il giovane e le agenzie regionali, che sono tenute a presentare in breve tempo una proposta che si collochi tra i servizi previsti (inserimento al lavoro, apprendistato, tirocinio, proseguimento di istruzione o formazione, sostegno all’autoimprenditorialità e servizio civile). In particolare le offerte di inserimento lavorativo vengono accompagnate da un bonus occupazionale per l’impresa, definito in base alla classe di svantaggio in cui è stato inserito il giovane in questione (basata sulla profilazione del giovane).

In questo quadro, ogni Regione ha a sua volta definito un proprio Piano Attuativo Regionale e dunque le modalità con cui Garanzia Giovani è stata implementata variano quindi sul territorio nazionale. In particolare Lombardia e Campania sono due casi interessanti, su cui vale la pena soffermarsi.

 

 

Peculiarità regionali: alcune osservazioni su Lombardia e Campania

La comparazione dei due Piani regionali deve fare i conti con una questione messa ben in chiaro da Vesan e Lizzi (2016): data l’impostazione vincolante e standardizzata di Garanzia Giovani, i margini di libertà delle Regioni sono stati decisamente limitati e le scelte regionali si sono concentrate quasi solo su come allocare le risorse rispetto alle misure disponibili e sull’enfasi con cui alcuni obiettivi sono stati presentati.

Dato che GG ha seguito i principi e gli strumenti del sistema dotale lombardo (e in particolare si è poggiata su Dote Unica Lavoro), nel momento in cui è entrata in vigore in Lombardia non è stato necessario modificare prassi e misure ma semplicemente riorientare su Garanzia Giovani quelle rivolte ai giovani tra i 15 e i 29 anni. Anche dal punto di vista della governance della misura, in Lombardia molto poco è cambiato: il suo avvio ha incrementato le risorse disponibili per i giovani, liberando quanto precedentemente previsto verso gli altri target ma non è stato necessario creare un’unità ad hoc che si occupasse di come organizzare la sua implementazione, e la misura è stata presa in carico da quanti in precedenza si occupavano di Dote Unica Lavoro. Diversa la situazione in Campania: qui c’è stato un avvio lento e complesso, come nota anche Lizzi (2017), dato sia dalla situazione regionale rispetto ai NEET (tanti e in condizioni di disagio importante), che dalla struttura della rete dei servizi regionali rispetto alla misura1. Declinare il Piano nazionale ha comportato infatti una riorganizzazione complessiva attraverso il potenziamento della rete pubblica e il tentativo di costruire un’integrazione tra servizi pubblici e privati.

Anche dal punto di vista dei principi che hanno dato forma a Garanzia Giovani, il contesto lombardo e quello campano differiscono: da un lato libera scelta della persona, occupabilità, efficienza ed efficacia degli interventi con una tensione al risultato e all’importanza di uniformare gli interventi sul territorio (con uso di costi standard e profilazione); dall’altro anche qui una grossa enfasi sull’occupabilità, l’attivazione dei giovani e la loro responsabilizzazione ma anche, da un punto di vista istituzionale, il potenziamento del ruolo degli operatori privati attraverso la creazione di procedure di accreditamento.

Guardando poi alla programmazione economica, i finanziamenti sono stati di simile entità (178 milioni di euro in Lombardia, 191 in Campania), ma la suddivisione tra i servizio proposti ha seguito logiche diverse: se in Lombardia si è puntato sul bonus occupazionale2 e sull’accompagnamento al lavoro (rispettivamente 52 e 40 milioni di euro), mentre l’accoglienza non è stata finanziata e l’orientamento ha avuto uno stanziamento di poco meno di 8 milioni, in Campania più di 45 milioni di euro sono stati destinati ad accoglienza, presa in carico e orientamento, la formazione ha avuto un sostegno maggiore e sono stati previsti 30 milioni di euro per il servizio civile regionale (7.5 in Lombardia), mentre il bonus occupazionale non è stato inizialmente previsto. La programmazione economica campana, a differenza di quella lombarda, ha poi subito quattro aggiustamenti nel corso degli anni3, che hanno sostanzialmente ridotto il finanziamento su accoglienza, orientamento e accompagnamento al lavoro, inserito bonus e super bonus occupazionale4 e aumentato costantemente il finanziamento ai tirocini. Queste differenze poggiano su logiche regionali differenti: il principio di equiparazione tra agenzie pubbliche e private in Lombardia ha fatto sì che non si sia pensato di far convogliare i giovani per un primo colloquio verso i Centri per l’Impiego, pratica che invece ha caratterizzato la maggior parte delle altre regioni italiane, tra cui la Campania. Infatti in Lombardia accoglienza e primo orientamento non sono nemmeno rimborsati: si tratta di una fase su cui si punta poco e che viene considerata responsabilità individuale del giovane e una compartecipazione al servizio da parte dell’agenzia locale che lo eroga. L’accoglienza presso i Centri per l’Impiego, e il rimborso di questo lavoro, consente invece in Campania un accompagnamento iniziale più intenso anche se non presuppone un’effettiva presa in carico perché anche qui, dopo un orientamento iniziale, viene enfatizzata la responsabilità del ragazzo di “attivarsi” da solo autocandidandosi per una delle offerte di lavoro presenti sul sito regionale.

L’altra grossa differenza sulle misure riguarda l’uso congiunto di bonus (e superbonus) occupazionale e tirocini: se in Lombardia c’è stato un grosso orientamento all’inserimento lavorativo, in Campania si è puntato molto di più su situazioni temporanee, come il servizio civile e i tirocini. Quello che entrambe le situazioni però mostrano, è un forte orientamento al risultato: il bisogno di “fare numeri”, di mostrare che il programma funziona, ha fatto sì che si orientassero i finanziamenti non tanto sulle misure più necessarie (per esempio il bonus occupazionale in Campania, quando avviato, è stato considerato dagli addetti ai lavori la misura più rilevante del Piano, e ha esaurito in pochi mesi il budget previsto) ma su quelle che, data la situazione del mercato del lavoro locale e della rete dei servizi regionali, avrebbero potuto essere maggiormente utilizzate.

 

 

Occupazione o occupabilità?

Le differenze evidenziate tra i due piani regionali, che comportano una differenza anche in termini di implementazione e di come vengono declinati i servizi, mettono in luce il fatto che l’avvicinamento al lavoro di cui si fa promotrice Garanzia Giovani si traduce nella maggior parte dei casi nella proposta di un’“esperienza” lavorativa immediatamente spendibile e registrabile che avvicini velocemente il giovane al mondo del lavoro. L’obiettivo rimane sempre quello dell’occupabilità, in una versione che richiede ai giovani la disponibilità a fare un lavoro qualsiasi e in qualunque condizione e che scarica il peso di trasformazioni e processi strutturali quasi unicamente sulle loro spalle (Bifulco e Mozzana 2016). Le politiche possono, al massimo, prevedere la garanzia di un’opportunità, non di un outcome (OECD 2014) che rimane, appunto, responsabilità dell’individuo e della sua capacità di attivarsi. Con buona pace del recupero della “generazione perduta”, e lasciando in questo modo indietro proprio i più deboli tra di essa.

  1. Per un approfondimento in merito si veda a questo link.
  2. Il bonus occupazionale è una misura per le aziende che prevede l’erogazione di un incentivo (di importo variabile in base al contratto attivato e alla classe di svantaggio del giovane) a quelle imprese che, nell’ambito di Garanzia Giovani, attivano un contratto di lavoro a tempo determinato (ma superiore a 6 mesi), a tempo indeterminato o di apprendistato professionalizzante.
  3. Le quattro riprogrammazioni di GG sono state definite dalle Delibere della giunta regionale 514/2015, 89/2016, 315/2016 e 91/2017).
  4. Il super bonus è una misura istituita nel 2016 che prevede degli incentivi (di diverso importo in basa alla profilazione del giovane) per quelle imprese che assumono un lavoratore che abbia svolto o stia svolgendo un tirocinio extracurriculare nell’ambito di Garanzia Giovani.

Commenti

condivido appieno l’articolo’ Garanzia Giovani lascia iltempo che trova e piu’ che servire ai giovani serve ai politici come vetrina, il solito baraccone poveri giovani anzi Need.

Vivo in Veneto, in questa regione vedo progetti di politiche attive formulati sulla base dell’assunto che la disoccupazione è una vicenda individuale, ascrivibile ai deficit del lavoratore. Da qui ne derivano l’enfasi sulla profilazione, i corsi, gli inserimenti temporanei in azienda con la speranza che la persona sappia giocarsi bene l’opportunità e che l’imprenditore abbia bisogno di un nuovo addetto da confermare, almeno per quella stagione. Garanzia Giovani può sostenere l’occupazione se diventa servizio per il sistema azienda-territorio-persone, perché la disoccupazione è un fenomeno collettivo che deriva dalle trasformazioni del modello di sviluppo. Vanno in questa direzione gli enti gestori che propongono progetti di GG frutto di consulenze organizzative alle piccole imprese, con promozione di relazioni tra soggetti diversi. In aggiunta, nell’attuale mercato, è indispensabile che il lavoratore trovi continuità nelle consulenze individuali, possa cioè avere sempre un servizio di base al quale rivolgersi quando ne ha bisogno, un servizio di orientamento e consulenza con il quale valutare e aderire ai diversi progetti di politiche attive. Senza questo aiuto (che ricorda il modello della medicina di base, o del segretariato sociale), le persone decidono da sole a quali percorsi aderire, basandosi su informazioni complesse e frammentate, e solo dopo l’adesione hanno, forse, un consulente con il quale riflettere ed organizzare la propria attivazione nel mercato. Ma il consulente sarà impegnato nella realizzazione di quello specifico percorso, preoccupato più dei ritiri (penalizzati in fase di rendicontazione) che della attivazione del lavoratore.