Il Decreto Legge 4/2019 prevede che le famiglie che presentano la domanda per accedere al Reddito di cittadinanza (RdC) vengano orientate verso tre diversi percorsi:
- Famiglie escluse da obblighi. Le famiglie formate esclusivamente da componenti già occupati oppure che si trovano in condizioni di non occupabilità (minorenni, studenti o in formazione, anziani, disabili o persone con carichi di cura) sono escluse da qualsiasi obbligo previsto dai percorsi lavorativi e di inclusione e percepiscono il sussidio economico senza ulteriori vincoli;
- Famiglie prontamente attivabili nel mercato del lavoro. I nuclei familiari con almeno un componente non escluso dagli obblighi e con almeno un componente che presenta anche solo una tra le seguenti caratteristiche sono inviate per la presa in carico ai Centri per l’impiego:
-
- essere non occupato da non più di due anni;
- essere maggiorenne e avere un’età inferiore a 26 anni;
- essere beneficiario – attuale o fino a non più di un anno prima – della NASPI o di un altro ammortizzatore sociale per la disoccupazione involontaria;
- avere già sottoscritto un Patto di servizio (in corso di validità) presso i Centri per l’impiego, come previsto dalla normativa del Jobs Act (D.Lgs. 150/2015).
- Famiglie per il percorso di inclusione. Tutte le altre famiglie con almeno un componente non escluso dagli obblighi vengono inviate ai Comuni per la presa in carico dei servizi sociali con condizionalità meno gravose di quelle previste per il percorso lavorativo.
Quante persone verranno avviate ai centri per l’impiego?
Quante sono le famiglie che entro 30 giorni dal riconoscimento del RdC saranno invitate a presentarsi al Centro per l’impiego? La relazione allegata al Decreto legge non lo spiega. Ci sono però due stime autorevoli dell’Ufficio Parlamentare di bilancio (UPB) e dell’Istituto Nazionale per le Politiche Pubbliche (INAPP) che stimano rispettivamente nel 26% e nel 22% le famiglie che verranno avviate prontamente al Centro per l’impiego. C’è pertanto una notevole sintonia fra le due fonti che lasciano intendere che circa un quarto delle famiglie verranno avviate verso il percorso della ricerca del lavoro.
Qualche differenza in più si registra invece nella quantificazione delle famiglie a causa delle diverse banche dati utilizzate dai due soggetti. L’UPB che ha utilizzato la banca dati ISEE 2017 stima in 338.000 le famiglie da avviare ai centri per l’impiego mentre l’INAPP che ha utilizzato la banca dati Dataset It-Silc ha stimato in 372.000 le famiglie immediatamente attivabili per il mercato del lavoro (Cfr. Tab. 1) .
Tab. 1 – RdC. Quantificazione delle famiglie da avviare ai diversi percorsi di integrazione
UPB | INAPP | |||
% famiglie | Numero famiglie | % famiglie | Numero famiglie | |
Famiglie escluse dagli obblighi | 37 | 481.000 | 33,4 | 566.000 |
Famiglie prontamente attivabili nel mercato del lavoro | 26 | 338.000 | 22,0 | 372.000 |
Famiglie per il percorso di inclusione | 37 | 481.000 | 44,6 | 755.000 |
TOTALE | 100 | 1.300.000 | 100,0 | 1.693.000 |
Fonte: UPB (2019); Inapp (2019)
Se invece applicassimo la percentuale media del 24% di UPB e INAPP ai dati dell’utenza attesa dal governo avremmo 300.000 famiglie circa da accogliere nei centri per l’impiego. Pertanto, il parametro quantitativo più probabile, ottenuto dalla media dei dati elaborati sinora, è che circa 337.000 famiglie saranno prontamente attivabili nel mercato del lavoro in base al D. L. 4/2019.
Ma queste valutazioni non sono sufficienti a stimare il flusso di persone che si rivolgeranno ai centri per l’impiego perché anche una quota di persone appartenenti a famiglie per il quale è previsto il percorso di inclusione saranno inviate ai centri per l’impiego. Recita infatti la norma che “Nel caso in cui, in esito alla valutazione preliminare”, dei servizi sociali comunali “i bisogni del nucleo familiare e dei suoi componenti siano prevalentemente connessi alla situazione lavorativa, i servizi competenti sono comunque individuati presso i centri per l’impiego e i beneficiari sottoscrivono il Patto per il lavoro, entro i successivi trenta giorni”. Utilizzando i dati della tabella 1 e lo stesso criterio delle medie utilizzato in precedenza possiamo stimare in circa 582.000 le famiglie che accederanno ai servizi sociali dei comuni per la definizione di un percorso di inclusione e per la stipula del Patto per l’inclusione sociale. Ipotizzando che almeno il 50% di queste famiglie possa avere un problema causato dall’assenza di lavoro possiamo ipotizzare che almeno ulteriori 291.000 persone transitate prima nei comuni possano essere inviate ai Centri per l’impiego.
Queste persone, sommate alle famiglie che invece sono state indirizzate immediatamente ai centri per l’impiego, ed ipotizzando prudenzialmente che una sola persona per famiglia abbia bisogno dei servizi per il lavoro, determinano il numero di almeno 628.000 persone che si rivolgeranno ai centri per l’impiego. Si tratta di una prima stima molto cauta che ipotizza che solo un persona per famiglia abbia bisogno del Patto per il lavoro. Nella realtà non sarà così. Non a caso l’Istat ha stimato complessivamente in 897.000 le persone che accederanno al Patto per il lavoro ma in questo caso l’Istat non è riuscita ad eliminare dal conto delle persone gli esclusi dagli obblighi a causa del carico di cura nei confronti di componenti il nucleo familiare con disabilità grave o non autosufficienza (Istat, 2019). È quindi molto probabile che le persone che avranno bisogno del Patto per il lavoro saranno fra le 628.000 e le 800.00. Si tratta di circa la metà di tutte le famiglie beneficiarie del Rdc che si presenteranno con almeno un componente presso i centri per l’impiego. Un numero molto elevato che rende poco plausibile la possibilità di poter offrire loro fino a tre offerte di lavoro (stante l’attuale situazione economica del Paese).
Difficoltà interpretative
Il D.L. 4/2019 afferma che una delle caratteristiche per essere inviato immediatamente al centro per l’impiego è quella di “essere non occupato da non più di due anni”. Perché l’invio possa procedere in modo automatico o , per contro, affinché si possa godere della esenzione dalla condizionalità occorre prioritariamente superare un dubbio interpretativo relativo alla generica condizione di “occupazione”. La norma non fa alcun riferimento alla durata del rapporto di lavoro, all’entità della retribuzione o alla tipologia di lavoro. Vi sono, tuttavia, almeno due definizioni di “occupato”:
- Secondo l’indagine statistica sulle forze di lavoro, è “occupato” l’individuo con almeno 15 anni di età che nella settimana che precede l’intervista ha svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario oppure almeno un’ora di lavoro anche non retribuito nella impresa di un familiare nella quale collabora abitualmente;
- Secondo la definizione prevista nel Jobs Act , ripresa anche nelle norme relative al Reddito di inclusione, è “occupato” solo chi percepisce un reddito annuo superiore al reddito minimo escluso da imposizione (circa 8.100 euro per i lavoratori dipendenti e 4.800 euro per i lavoratori autonomi).
E’ necessario, prima che la misura parta, che la definizione di “occupato” venga individuata puntualmente per evitare che le incertezze normative possano favorire disparità di trattamento o favorire ingiustamente l’esenzione dagli obblighi derivanti dal percepimento del Rdc (UPB, 2019).
Dai centri per l’impiego ai servizi sociali comunali
I tre percorsi dei beneficiari del Rdc, come abbiamo visto, non sono mutualmente escludenti. Ci sono persone che in base alla interpretazione del termine “occupato” possono essere inviate ai Centri per l’impiego o ai servizi sociali dei comuni. Anche le famiglie che sono inviate prioritariamente ai servizi sociali comunali possono essere successivamente inviate ai Centri per l’impiego qualora i bisogni del nucleo familiare siano prevalentemente connessi alla situazione lavorativa. Ma anche l’ipotesi opposta è stata prevista. I beneficiari del Rdc che vengono invitati prioritariamente ai Centri per l’impiego non perdono il diritto alle prestazioni sociali dei servizi comunali. Il D. L. 4/2019 stabilisce infatti che gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà sono comunque attivati, ove opportuni e richiesti, anche in favore dei beneficiari che sottoscrivono il Patto per il lavoro. La legge non aggiunge nulla di più per cui rimangono irrisolti alcuni dubbi. Per esempio, chi decide quando sono opportuni gli interventi sociali? Sono gli operatori dei Centri per l’Impiego? Con quale personale specialistico e con quali strumenti? Occorrerà quindi fare anche una valutazione dei bisogni sociali presso i centri per l’impiego? Una soluzione potrebbe essere la messa disposizione dei Centri per l’impiego di uno strumento amministrativo di valutazione di facile uso che non richieda competenze sociali specialistiche che selezioni le persone da inviare anche ai servizi sociali comunali rinviando a quella sede una valutazione approfondita per la definizione dei bisogni assistenziali.
L’altra ipotesi prevista dalla legge è che l’invio dei beneficiari dal Centro per l’impiego ai servizi sociali comunali possa avvenire anche su richiesta. Dalla lettura della norma si presume che la richiesta possa venire dagli stessi beneficiari. Questo presuppone che gli stessi siano informati dagli operatori dei centri per l’impiego di questa possibilità ma questo avverrà dopo la valutazione di “opportunità” che spetta agli operatori dei centri per l’impiego? Sarà possibile garantire a tutti coloro che si trovano nelle stesse condizioni di bisogno, le stesse possibilità di accedere ai servizi sociali con un quadro normativo così incerto?
Il quadro normativo attuale, su questi aspetti, non fornisce ancora le risposte complete ed unitarie per garantire a tutti lo stesso percorso assistenziale. Sarebbe pertanto opportuno che queste carenze normative venissero superate con l’emanazione di specifiche linee guida ministeriali sulle modalità di applicazione delle norme sul Reddito di cittadinanza nei Centri per l’impiego.
Conclusioni
I percorsi dei beneficiari del Rdc spesso si sovrappongono ma l’aspetto più impattante nell’organizzazione della misura è che si sviluppano in modo non coordinato. Quanto al flusso dei beneficiari verso i centri per l’impiego, questo avrà dimensioni così importanti da rendere non praticabile l’ipotesi di fornire ad ognuno di loro fino a tre proposte di lavoro.