Riforma del Terzo settore: come favorire l’occupazione di lavoratori svantaggiati


Gianfranco Marocchi | 21 Novembre 2017

Grazie ad Emilio Emmolo1 per il prezioso confronto

 

Tra i vari aspetti sui quali è intervenuta la Riforma del Terzo settore vi è una diversa configurazione delle azioni tese a favorire l’occupazione di lavoratori svantaggiati. L’analisi è affrontata a partire dal tipo di intervento, verificando per ciascuno in cosa eventualmente la riforma introduca delle novità. In primo luogo suddividiamo quindi il possibile campo di azione in due ambiti:

  1. I casi in cui l’occupazione dei lavoratori svantaggiati è favorita tramite servizi (es. sostenere la persona nella ricerca di lavoro, insegnargli a fare un curriculum, redigere il bilancio di competenze, ecc.);
  2. I casi in cui l’occupazione dei lavoratori svantaggiati è attuata grazie al fatto che un soggetto, in coerenza con la propria specifica mission, assume nel proprio organico tali lavoratori in una quota minima definita dalla legge.

 

  1. Favorire l’occupazione tramite servizi

Prima della Riforma del terzo settore questo tipo di azione non era contemplata tra quelle tipiche dell’impresa sociale (D.Lgs 155/2006) né della cooperazione sociale (l. 381/1991). Il che non significa che, soprattutto con riferimento alle cooperative sociali e ai loro consorzi, tale attività non venisse di fatto svolta, in taluni casi aggiungendo alle attività di base prima richiamate anche attività di incontro tra domanda e offerta di lavoro soggette a specifiche autorizzazioni.

Con la Riforma sia le cooperative sociali di tipo A che le imprese sociali diverse dalle cooperative sociali possono svolgere in modo “ufficiale” questo tipo di attività; ovviamente laddove esse comprendessero anche azioni soggette ad autorizzazione come i servizi di collocamento o la somministrazione, continuano ad essere necessarie le autorizzazioni previste come per ogni altra impresa. I servizi volti a favorire l’occupazione possono essere svolti anche da Enti di Terzo settore non imprenditoriali, ad esempio un’organizzazione di volontariato, essendo riconosciute come “di interesse generale” e quindi compatibili con l’iscrizione al Registro del Terzo settore.

Sia le cooperative sociali di tipo A che le altre imprese sociali realizzano un’attività di interesse generale offrendo servizi per l’occupazione a qualsiasi categoria di lavoratori svantaggiati elencata nella successiva tabella.

 

  1. Inserire al lavoro persone svantaggiate

Questa azione consiste nel realizzare una qualsiasi attività di impresa assumendo almeno il 30% di persone svantaggiate; ciò corrisponde a quanto previsto già prima della Riforma sia per le cooperative sociali di inserimento lavorativo che per le imprese sociali. Cosa cambia dunque ora?

Per le cooperative sociali di inserimento lavorativo, nulla: il loro organico è formato per almeno il 30% da lavoratori svantaggiati che continuano ad essere quelli dell’art. 4 della legge 381/1991 (vedi tabella sotto, al punto 5) e per essi vale la fiscalizzazione totale degli oneri sociali: in sostanza l’impresa non versa i contributi ma i lavoratori maturano la pensione perché lo Stato li versa al posto suo; o, in altre parole, la cooperativa sociale beneficia per questi lavoratori di una significativa riduzione del costo del lavoro, stimabile nella maggior parte dei settori produttivi tra il 35% e il 40%.

 

E per le imprese sociali diverse dalle cooperative sociali di inserimento lavorativo?

Già nel 2006 tra le attività delle imprese sociali vi poteva essere l’inserimento lavorativo; rispetto alle persone svantaggiate i cambiamenti sono abbastanza limitati; la loro definizione è aggiornata (e ampliata) rispetto a quanto previsto nella precedente normativa e oggi un’impresa sociale di inserimento lavorativo per essere tale deve avere:

  • in totale, il 30% dei lavoratori nelle condizioni elencate nella tabella (punti da 1 a 5);
  • tra questi, i lavoratori indicati al punto 1 non possono essere più di un terzo del totale degli svantaggiati; gli altri due terzi (quindi almeno il 20% del totale dei lavoratori) dovranno avere le caratteristiche dei punti 2, 3, 4, 5.

 

Tavola 1 – Chi sono i lavoratori svantaggiati  


1.Lavoratori molto svantaggiati: disoccupati da almeno 24 mesi; disoccupati da 12 mesi se:

  • con un’età compresa tra i 15 e i 24 anni;
  • non sono diplomati o hanno completato la formazione da due anni senza avere trovato lavoro;
  • con età superiore ai 50 anni;
  • soli con figlio a carico;
  • lavora in contesti ove il suo genere (uomo o donna) è fortemente sotto rappresentato;
  • appartiene ad una minoranza etnica e necessità di rafforzare la formazione linguistica e professionale;

2.Rifugiati o richiedenti protezione internazionale;

3.Persone senza fissa dimora;

4.Persone inserite nel collocamento mirato della legge 68/1999

5.Svantaggiati ex art. 4 381/1991:

  • disabili fisici, psichici e sensoriali
  • tossicodipendenti e alcolisti
  • persone in trattamento psichiatrico
  • minori a rischio in età lavorativa
  • detenuti

 

Rispetto alle misure incentivanti, l’impresa sociale non dispone di incentivi specifici per ridurre il costo del lavoro degli occupati svantaggiati ma, a differenza della normativa del 2006, gode comunque, indipendentemente dall’attività sociale svolta, di alcuni rilevanti facilitazioni fiscali: le è riconosciuta infatti la non imponibilità dell’utile con un meccanismo analogo a quello delle cooperative sociali, è fortemente incentivata la sottoscrizione di capitale e può avvalersi di specifici strumenti che facilitano l’accesso al credito e al capitale.

 

L’insieme di queste disposizioni va in sostanza a creare una situazione in cui:

  • la cooperativa sociale si dedica alle forme di svantaggio più gravi, in cui la limitazione delle capacità lavorative è presumibilmente maggiore, potendo per questo godere di una riduzione del costo del lavoro per gli occupati svantaggiati;
  • l’impresa sociale si dedica, almeno in parte, a forme di svantaggio più lievi e più comuni senza godere di alcuna riduzione del costo del lavoro specifica, ma beneficiando in quanto impresa di inserimento lavorativo dei benefici fiscali riservati alle imprese sociali. Rispetto al costo del lavoro va comunque considerato che sono in vigore una pluralità di provvedimenti che incentivano le nuove assunzioni per tutte le forme di impresa e che ragionevolmente risultano applicabili nella maggior parte delle assunzioni di persone svantaggiate anche da soggetti diversi dalle cooperative sociali.

 

Affidamenti per l’inserimento lavorativo

Infine è utile spendere qualche parola per un provvedimento approvato negli stessi mesi della Riforma del Terzo settore e cioè il Nuovo Codice degli appalti (D.Lgs 50/2016); all’art. 112 esso aggiorna e migliora le procedure per l’affidamento di appalti e concessioni riservate a imprese che impieghino – a seconda della scelta dell’ente appaltante, o nella commessa specifica o nel complesso del proprio organico – almeno il 30% di “lavoratori svantaggiati”, definizione che in questo caso comprende solo le ultime due categorie della tabella, cioè gli svantaggiati ai sensi della legge 381/1991 e le persone con disabilità al collocamento obbligatorio.

Rimangono possibili in ogni caso gli affidamenti basati sull’art. 5 della legge 381/1991 che sotto la soglia comunitaria (comma 1) possono essere affidati, in deroga ad altre normative in materia di contratti della pubblica amministrazione, a cooperative sociali, mentre sopra soglia (comma 4) possono essere affidati a qualsiasi impresa attraverso tali commesse realizzi l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate (in entrambi i casi intendendo solo quelle previste dalla legge 381/1991).

Resta fermo quanto detto prima rispetto al favor: le cooperative sociali di inserimento lavorativo dispongono sia della fiscalizzazione degli oneri sociali, sia delle misure premiali connesse all’essere impresa sociale; le imprese sociali potranno godere solo delle seconde; un’impresa non sociale che partecipasse ad una procedura di appalto riservato ed D.Lgs 50/2016 o ad una convenzione ex legge 381/1991, comma 4, non godrebbe di alcun beneficio diverso da quelli eventualmente previsti per le assunzioni per qualsiasi impresa.

Questa graduazione è coerente con l’assetto che esce dalla norma:

  • la cooperativa sociale si sottopone a un regime vincolistico tipico dell’ente di terzo settore e inserisce le categorie più “difficili” e ha pertanto una premialità maggiore;
  • l’impresa sociale non cooperativa di inserimento lavorativo sociale si sottopone a un regime vincolistico tipico dell’ente di terzo settore ma inserisce una pluralità di categorie svantaggiate, comprese quelle in cui la diminuzione della capacità lavorativa è più limitata e gode di una premialità intermedia;
  • l’impresa non sociale che voglia cimentarsi con l’inserimento lavorativo può competere entro le procedure che la pubblica amministrazione indice a tal fine – e questo costituisce comunque un riconoscimento della sua sensibilità sociale – ma senza specifiche altre premialità.
  1. Emilio Emmolo segue gli aspetti legislativi relativi alla cooperazione sociale presso Federsolidarietà Confcooperative