Ruoli e formazione nella seconda accoglienza


Irene Cannarella | 27 Ottobre 2022

La percezione che il lavoro con persone immigrate abbia una natura fortemente sfidante è ampiamente condivisa e pertanto è chiaro come ciò richieda lo sviluppo di competenze e saperi specifici da parte delle professionalità coinvolte. I frequenti cambiamenti giuridici, la pluridimensionalità dei bisogni dei cittadini stranieri, l’alta burocratizzazione, il lavoro in rete e l’interazione con i contesti locali sono solo alcuni dei fattori che determinano la complessità di questo lavoro; eppure, la questione su come rafforzare le competenze degli operatori sociali coinvolti nel circuito dell’accoglienza rimane ancora poco esplorata e l’attenzione posta sul tema è scarsa.

 

Nel giugno 2022 su questo tema è stata condotta una ricerca1 che ha visto il coinvolgimento di due organizzazioni calabresi operanti nella seconda accoglienza (Rete SAI). Sono state effettuate 12 interviste semi-strutturate somministrate a responsabili delle risorse umane, coordinatori e operatori. La ricerca, di matrice esplorativa, si è posta l’obiettivo di indagare i ruoli degli operatori e in particolar modo i processi di selezione e formazione con lo scopo di studiare un fenomeno relativamente recente, ancora poco conosciuto, e di comprendere la rilevanza di tali processi nell’erogazione di interventi efficaci in favore dei beneficiari. Sebbene le figure individuate in questa ricerca non costituiscano un campione rappresentativo, il loro coinvolgimento ha evidenziato aspetti significativi e ha fornito diversi spunti di riflessione.

 

Dall’analisi dei processi di selezione è emerso che le organizzazioni studiate reclutano gli operatori attraverso avvisi pubblici, sebbene in taluni casi può effettuarsi la selezione tramite canali informali o attraverso l’uso di strumenti nati con finalità differenti quali ad esempio tirocini formativi o attività di servizio civile. Il momento della selezione è rilevante per l’individuazione di professionisti con una specifica tensione motivazionale, nonché una forte sensibilità verso il lavoro sociale con le persone immigrate. La forte accentuazione su questi ultimi due elementi non toglie che la conoscenza del fenomeno migratorio e la formazione in entrata rimangono comunque requisiti importanti e seriamente considerati. Le interviste somministrate ai responsabili delle risorse umane hanno messo in evidenza come un’adeguata selezione garantisca la continuità nella presa in carico dei beneficiari e l’identificazione di professionalità in grado di comprendere e gestire le difficoltà correlate al lavoro sociale con le persone in accoglienza. Una selezione non accurata determina invece difficoltà nel mantenimento dell’equilibrio raggiunto dall’équipe e l’emersione di costi legati ad una nuova selezione e all’inserimento di nuove unità nel gruppo di lavoro.

 

Un risultato significativo attiene alla rilevazione di un certo grado di variabilità nella gestione dei ruoli e delle mansioni nei progetti SAI seppur collocati nel medesimo contesto territoriale dando vita a specificità nelle modalità esecutive. La riflessione sui ruoli ha evidenziato, infatti, come quest’ultimi possano essere predisposti in maniera differente dalle diverse organizzazioni, in alcuni casi attribuendo mansioni di una specifica posizione lavorativa a più figure professionali; questo può causare sovrapposizioni e talvolta difficoltà gestionali.

È emerso altresì come alcune professionalità in particolare, ad esempio il mediatore interculturale, riflettano l’assenza di un percorso formativo standard riconosciuto a livello nazionale. Nel caso specifico, l’impossibilità di accedere ad un albo professionale determina la difficoltà nell’individuare profili di professionalità e di competenza definiti e conseguenti a percorsi formativi omogenei, lasciando spazio alle frammentarietà regionali.

 

La quasi totalità degli intervistati ha conseguito un titolo di studio universitario, mentre una piccola parte ha frequentato parzialmente un percorso di studi universitari o non ne ha frequentato affatto. In molti casi il percorso formativo accademico si è rilevato propedeutico al ruolo ricoperto al momento dell’intervista. Tuttavia, le competenze specifiche inerenti al proprio ruolo nell’ambito del progetto di accoglienza sono state acquisite o consolidate con attività integrative di formazione, quali ad esempio corsi, esperienze sul campo o ulteriori specializzazioni che hanno evidenziato una forte eterogeneità dei percorsi formativi anche in riferimento alla medesima figura professionale. Sembrerebbe che la frammentazione di tali percorsi sia sintomo di una più ampia frammentazione del sistema istituzionale nazionale rispetto alle politiche di integrazione degli immigrati. Infatti, da una celere ricerca sul web si può constatare come il mercato inerente all’offerta formativa nell’ambito dell’accoglienza sia confuso, con un’ampia presenza di corsi e seminari forniti da enti privati e pubblici caratterizzati da metodologie didattiche plurime e spesso con limitazioni per l’accesso.

 

In merito alla formazione in servizio e ai bisogni formativi rilevati, si sono verificate alcune difficoltà nello sviluppare con gli intervistati una riflessione sulla propria pratica professionale tenendo presente il rischio di incorrere nell’autoreferenzialità organizzativa; questo potrebbe avere precluso la possibilità di individuare bisogni formativi ancora inesplorati e da far emergere. In generale, le esigenze formative espresse dal personale sono correlate in primo luogo al possesso di conoscenze giuridiche e procedurali in materia di immigrazione, ma anche in relazione alle procedure di carattere amministrativo. Quanto detto sarebbe riconducibile ai cambiamenti repentini a cui la legislazione nazionale in materia di immigrazione è frequentemente soggetta e ai flussi migratori a livello planetario che possono comportare l’utilizzo di nuovi strumenti giuridici nonché un approccio differente nel lavoro sociale con nuove tipologie di beneficiari.

Altri bisogni formativi emersi riguardano la gestione del carico emotivo, la gestione del conflitto e della giusta distanza nella relazione d’aiuto. Si tratta di esigenze che trovano origine nella natura stessa del lavoro sociale in tale settore, il quale comporta un confronto immediato con situazioni di forte sofferenza e complessità risultando di difficile gestione persino per operatori e operatrici esperti. La formazione continua, dunque, risulta essenziale per diversi fattori che spaziano dalla necessità di rispondere prontamente ai cambiamenti legislativi, normativi e procedurali, alla capacità di cogliere le specificità delle persone in accoglienza, di rimodulare gli approcci e di trasmettere gli strumenti per favorire l’autodeterminazione dei beneficiari.

 

Rispondere a queste esigenze di formazione non è semplice, soprattutto in riferimento ad una criticità rilevata dal lato del personale che ritiene l’offerta formativa attualmente presente spesso inadeguata. La quasi totalità delle attività formative svolte da operatori e operatrici è di tipo teorico mentre gli aspetti concreti sono affrontati solo in momenti residuali. I percorsi di integrazione tra i due aspetti, teorico e pratico, sembrano essere limitati se non addirittura assenti, anche se la capacità di definire questo collegamento potrebbe essere decisivo per sviluppare la capacità di applicare concetti e nozioni alle attività lavorative. Inoltre, la possibilità di predisporre momenti formativi che comportino il confronto con altre realtà organizzative potrebbe essere una buona soluzione per apprendere dalle buone prassi e poterle eventualmente implementare riadattandole al proprio contesto organizzativo.

Tuttavia, sostenere e garantire attività formative simili agli operatori comporterebbe la momentanea assenza di alcune risorse impiegate nelle attività quotidiane di progetto determinando fatiche organizzative talvolta difficili da affrontare. Carichi di lavoro eccessivi ed esigenze organizzative e gestionali spesso rendono particolarmente impegnativi i processi di formazione. Ciò conduce ad una più ampia riflessione sulla divergenza dei mandati che spesso connota il mondo del lavoro sociale con le persone immigrate: da un lato la richiesta dell’efficienza e la realizzazione di determinati obiettivi; dall’altro le effettive risorse a disposizione.

 

Infine, uno degli aspetti più interessanti emerso nel corso della ricerca attiene al concetto di “responsabilità formativa”. Con questo termine si intende la disponibilità ad essere prontamente formati al fine di garantire la qualità degli interventi e la realizzazione degli obiettivi SAI, ma anche la responsabilità relativa all’assunzione, da parte degli operatori, del ruolo di formatori in ambienti esterni arginando eventuali resistenze e svolgendo attività di advocacy. Gli operatori e le operatrici, fruendo delle conoscenze e delle competenze acquisite tramite i processi formativi, mettono quindi in atto azioni orientate al contrasto di situazioni di discriminazione e svantaggio garantendo il rispetto dei diritti civili e formando alla presenza interculturale.

 

In virtù delle criticità sinora delineate, delle complessità correlate alla tipologia di lavoro, della mancanza di standard definitori univoci, dell’assenza talvolta di un’offerta formativa adeguata e della scarsa letteratura prodotta sul tema, bisognerebbe prendere seriamente in considerazione le professioni dell’accoglienza e allargarne in maniera più strutturata l’analisi in un’ottica di riflessione professionale. D’altronde, operatori e operatrici rappresentano un punto di riferimento per le persone in accoglienza e sono le loro competenze, le loro conoscenze e le scelte operative a determinare in larga parte la qualità e l’efficacia dei percorsi di integrazione.

  1. Tale indagine è stata condotta durante un lavoro di ricerca di tesi magistrale in Metodologia, Organizzazione e Valutazione dei Servizi Sociali presso l’Università degli studi di Trento.