Specificità del servizio sociale e interventi di outreach


Elisa Fornero | 19 Ottobre 2022

Se si pensa al servizio sociale e al processo di aiuto che mette in atto, l’immagine rimanda all’assistente sociale, in un ufficio pubblico o del privato sociale, intento a fare colloqui, produrre documentazione, progettare, ecc. A chi mai verrebbe in mente che il servizio sociale possa essere svolto in un rave party1? A chi verrebbe in mente che la professione di assistente sociale possa essere esercitata in un’attività di outreach2, magari anche in un contesto del divertimento?

Se non indossiamo gli occhiali del pregiudizio e guardiamo bene, non solo si può svolgere la professione di assistente sociale in un contesto atipico come un rave party o un grande evento di musica elettronica, ma nell’esercizio della stessa la trifocalità che caratterizza il servizio sociale è materia quotidiana, così come il lavoro in equipe sociosanitarie assieme a educatori, infermieri, medici, psicologi e anche chimici. Ed è forse in questo contesto che le relazioni di potere tra professioni vengono un po’ meno: tutte sono chiamate ad affrontare gli stessi nodi critici sul campo e a integrare (“meticciare”) le proprie conoscenze e competenze. È forse anche nell’outreach che, a ben vedere, si realizza integrazione tra sociale e sanitario, in ogni singola azione e/o intervento.

 

Considerazioni sul processo di aiuto (Processo di aiuto… in pillole)

Nell’esercizio della professione nell’outreach, potrebbe sembrare che la relazione d’aiuto sia destrutturata, così come inizialmente vi può essere una certa difficoltà a individuare gli elementi del processo di aiuto del servizio sociale. Ad uno sguardo più attento si scopre invece che le fasi di quest’ultimo vengono rispettate per intero, anche se il tutto avviene nel giro di pochi minuti: il tempo in cui si giocano gli strumenti e la metodologia del servizio sociale è estremamente ridotto e non vi è continuità nella relazione. Si parla a proposito di legame debole3 in quanto le relazioni con le persone si attivano quasi in maniera casuale, in setting informali e spesso senza una precisa richiesta di aiuto, non vi è la stipula (neanche verbale) di un contratto e/o non si definisce un percorso o progetto volto al cambiamento della persona. Nonostante ciò, “si sviluppano scambi comunicativi significativi e fortemente coinvolgenti, sia per le persone che per gli operatori4.

È all’interno di questo scambio che possiamo identificare le fasi del processo di aiuto: anche se la modalità di accesso è informale e spesso casuale (la persona in un evento musicale non pianifica un’interazione con un professionista come l’assistente sociale, che la porta a riflettere sulle proprie modalità di uso delle sostanze) fin dalle prime battute il professionista compie una rapida valutazione sia sulla condizione della persona che ha di fronte, sia delle necessità che la stessa presenta.

Avviene quindi in questo caso una decodifica della domanda: per esempio, dietro una richiesta di informazione sugli effetti collaterali di una sostanza, si cela la necessità di confronto o consulenza rispetto ad una situazione vissuta. Il solo fatto di richiedere un’informazione e/o prendere del materiale sterile per l’uso di sostanze, produce di per sé un piccolo cambiamento nella persona e contribuisce a fornire al professionista, non solo assistente sociale ma anche di altre professioni sociosanitarie come l’educatore, l’infermiere, lo psicologo, ecc., elementi per la valutazione della situazione e i potenziali servizi da offrire/interventi da attivare5.

La risposta che segue ad una domanda, così come la consulenza che può scaturire da uno scambio sulla musica suonata nell’evento, deve necessariamente tenere in considerazione le caratteristiche, il contesto e i desiderata/bisogni dell’interlocutore, pena il fallimento del passaggio di informazioni o la “caduta istantanea” del contatto6. Nella maggior parte delle volte, una volta soddisfatta la richiesta, la relazione termina e probabilmente non si incontrerà mai più quella persona.

 

Vi sono tuttavia dei casi in cui quel contatto è il primo passo verso una continuità nella relazione, che può rimanere a bassa soglia, cioè continuare nei contesti del divertimento e/o sui social network del Progetto, oppure diventare strutturata e essere portata avanti in un servizio pubblico e/o privato. Sono questi i casi in cui i primi contatti e scambi vengono definiti “aggancio”: per la prima volta la persona incontra dei professionisti sociosanitari che valutano la situazione/richiesta, che può essere in seguito accompagnata al servizio pubblico o privato più opportuno e con più strumenti per intervenire in maniera strutturata

Va sottolineato che l’aggancio non sempre è opportuno (molte situazioni non richiedono un invio a un servizio pubblico o privato, la maggior parte delle persone è in grado di autoregolamentare il proprio uso di sostanze7) e anche quando lo è possono sorgere criticità. La prima è relativa ai requisiti che è necessario avere per accedere a un servizio pubblico o privato: i primi si occupano di accogliere situazioni ben definite (dipendenza – Ser.D. e/o significative psicopatologie – CSM), mentre per accedere ai secondi spesso è necessario avere risorse a sufficienza per sostenerne i costi. Dall’altro lato va sottolineato che le persone sono restie a rivolgersi a servizi pubblici e privati ed esplicitare il loro uso di sostanze, per il timore di subire delle conseguenze o di essere giudicate (uso sostanze per cui “tutti i mali” sono colpa di questo mio comportamento), perché questi servizi non sono percepiti come idonei alla soddisfazione dei loro bisogni o perché non ritenuti sufficientemente “credibili” o “esperti”8.

Sicuramente il fatto che in questi contesti vi sia un ampio uso di empatogeni9 aiuta l’assistente sociale e i professionisti sociosanitari in generale nel velocizzare l’entrata in relazione con chi si approccia al servizio; li facilita anche nell’aiutare gli individui a esprimere i propri bisogni, raccogliendo così gli elementi per una risposta e/o un servizio utile al soggetto.

Non va dimenticata inoltre la funzione di ascolto attivo, anche in un setting de-strutturato e caotico come quello di un contesto di divertimento: è la chiave di volta per erogare prestazioni e servizi che incontrino i reali bisogni del target. Per esempio, il modello VISIS di Mucchielli10 può essere di aiuto nella facilitazione dell’espressione dei propri bisogni e della narrazione, anche se deve “essere dosato attentamente”, pena la conduzione di un colloquio che può durare anche 2 o 3 ore!

 

È nell’outreach che il procedimento metodologico del servizio sociale può essere ben compreso: l’azione viene rivolta al singolo, alla comunità, agli attori che entrano in gioco su un determinato territorio e questo perché viene considerata in primis la globalità della persona e la sua salute che, secondo la definizione dell’OMS, è da considerarsi nella dimensione biologica, psicologica e sociale. Interventi o progetti che non prendono in considerazione questo stretto legame tra diverse dimensioni e “sistemi” non otterranno i risultati sperati ed inoltre non incontreranno i bisogni del target. Quest’ultimo in particolare assume importanza cardine e deve essere sempre coinvolto nella costruzione ed erogazione degli interventi, così come nella progettazione. Dall’inserimento nel team di operatori pari11 al coinvolgimento dei c.d. opinion leader o figure riconosciute come importanti e credibili nella comunità (soprattutto nei primi interventi è difficile che l’assistente sociale e/o il professionista sociosanitario godano di autorevolezza e riconoscimento da parte del target, quantomeno al pari di un opinion leader).

Ogni intervento richiede una progettazione a sé, così come la continua necessità di risorse economiche richiede di avere competenze in tema di progettazione ad ampio spettro, da quella europea alla richiesta di contributi alle fondazioni private, spesso bancarie, del proprio territorio. È nella progettazione che viene infatti creato il quadro per l’implementazione degli interventi, in primis attraverso un lavoro di rete con diversi attori. Nel caso in un intervento di outreach, infatti, giocano a favore della riuscita dello stesso una buona relazione con gli organizzatori degli eventi (nel caso di eventi legali), una chiarificazione del ruolo e delle competenze con la security, le forze dell’ordine, i servizi sanitari presenti. Avere la possibilità di incontri e scambi regolari con tali attori assicura che gli impedimenti sul campo siano ridotti al minimo.

 

Relazione, comunicazione e “vision” per stimolare cambiamento

Gli interventi di outreach non sono limitati al target di popolazione che usa sostanze: in Italia molte sono le esperienze di “educativa di strada”, oppure interventi a favore dei senza fissa dimora, che vedono l’impiego di professionisti sociosanitari per supportare con beni di ristoro e/o accompagnare in dormitorio chi è costretto a passare la notte in strada. L’outreach può essere considerata come la “modalità principe” di azione e contatto con il target negli interventi di riduzione del danno/limitazione dei rischi, che tuttavia non hanno avuto un percorso semplice in Italia e tutt’ora non sempre vengono riconosciuti.

In questo percorso sono state di fondamentale importanza le relazioni che i singoli professionisti, tra cui gli assistenti sociali, hanno mantenuto con istituzioni locali e nazionali. Ricordiamo infatti che il servizio sociale da sempre in Italia ha avuto una visione e un’ottica “tridimensionale”, in quanto si pone come punto di intersezione fra la persona utente, la struttura assistenziale e la comunità allo scopo di promuovere e sostenere legami tra loro esistenti perché siano funzionali a una azione di promozione personale e sociale delle persone, dei gruppi, delle comunità, delle stesse istituzioni assistenziali, pubbliche e private”12. Essere inseriti in tavoli di lavoro a livello locale, come il tavolo regionale (Piemonte) sulla riduzione del danno, o in tavoli di stesura di documenti programmatici, come il Piano di Azione Nazionale sulle Dipendenze, ha permesso un dialogo efficace con le istituzioni e ha facilitato inoltre la creazione e attuazione di politiche e programmi che rispondano a quanto viene rilevato nel lavoro di campo e sul territorio dai professionisti che quotidianamente vi operano.

 

Al fine di creare servizi che siano realmente di aiuto ai bisogni delle persone, va mantenuto saldo il lavoro di comunicazione, informazione e aggiornamento all’interno della propria organizzazione. I fondi dedicati alla riduzione del danno non sono infatti cospicui (per non dire pressoché nulli) e per un’organizzazione, sia pubblica che di privato sociale che opera in questo settore, non sempre è facile sostenere interventi e progetti. È qui che il professionista deve essere in grado di motivare la richiesta di investimento su progetti innovativi, che spesso nel privato sociale parte con contributi propri interni dell’organizzazione, e deve poi sapere adeguatamente rendicontare e sottolineare i risultati che vengono ottenuti dall’azione, all’Ente finanziatore.

Nel campo della riduzione del danno/limitazione dei rischi è inoltre necessario avere solide capacità di analisi, anche al fine di sviluppare la c.d. “vision” sui problemi e bisogni emergenti, al fine di anticiparli. Tale capacità non deve essere una mera intuizione, ma deve essere supportata da un quadro teorico e dal continuo raccogliere ed elaborare i dati che provengono dagli interventi e dalle comunità/subculture. In questo senso è costante la somministrazione di questionari e interviste al target, sia durante gli interventi che attraverso l’uso di piattaforme online e social network, non solo ai fini di monitoraggio e valutazione, ma anche utilizzando competenze sociologiche di lettura dei dati e delle situazioni. Indubbiamente la documentazione professionale e di servizio (per esempio: i report di intervento o le rendicontazioni periodiche) è una fonte conoscitiva, oggetto di analisi in diversi step della vita di un progetto e/o servizio: è in questa sede che vengono riportati punti di forza e criticità delle azioni compiute, annotati eventuali bisogni emergenti così le come criticità incontrate.

 

La rete come supporto e servizio

Il lavoro in rete13 assume una posizione particolarmente significativa nell’esercizio della professione in questo specifico campo. Diventa infatti fondamentale non agire in maniera isolata, reticolando sia con reti formali, per dare importanza e valore all’azione, che con reti secondarie informali, le quali assumono particolare rilevanza sia nel merito dell’implementazione di interventi efficaci che nel continuo aggiornamento sulla mutevolezza dei fenomeni. Operando in ambito di Terzo settore, la maggior parte delle reti in cui si è inseriti raggruppa organizzazioni di privato sociale, sia a livello italiano (nel caso di Progetto Neutravel si fa riferimento a ITARDD e CNCA) che a livello europeo (NEWNet, TEDI, YODA). Agire in un’ottica di rete permette di essere aggiornati sulle politiche in materia, che possono variare di molto da territorio a territorio e apprendere da “best practices” di altri. I professionisti che operano nella riduzione del danno affrontano situazioni simili, barriere ed ostacoli sono pressoché gli stessi nel panorama italiano ed europeo e altri prima di noi italiani le hanno affrontate.

Lavorare in ottica di rete significa anche dare alle persone, i giovani nello specifico, la possibilità di essere informati sulle offerte a livello locale di servizi dei territori in cui si recano per ragioni di divertimento o permettere un aggancio mediato con il sistema dei servizi specialistici: è qui dunque che si inserisce la funzione di segretariato sociale, che in tempi di digitale si dota di propri strumenti (app o specifici siti web, come TripApp frutto di una progettazione europea).

 

Riprendendo la domanda iniziale, i contenuti che sono stati proposti ci portano ad affermare che, anche in un contesto atipico come un intervento di outreach in un contesto del divertimento, è possibile esercitare la professione di assistente sociale, seguendone i principi e la metodologia, che peraltro spesso coincidono con quelli della riduzione del danno. Così come, nei servizi sanitari e sociosanitari, sono il lavoro di equipe e la strategia ideata in sede di progettazione, che vede l’integrazione tra sociale e sanitario come uno dei maggiori punti di forza, a produrre un impatto e un cambiamento sul target. L’assistente sociale è parte di questa equipe ed in essa si integra, con le proprie specifiche conoscenze e competenze, rivelandosi un valore aggiunto proprio grazie all’ottica trifocale e alla visione globale e non specialistica sull’individuo, che chi esercita questa professione quotidianamente adotta.

  1. Si fa riferimento qui all’accezione inglese del termine: ciò che si intende qui non sono solo gli eventi illegali (c.d. free party), ma anche quelli legali, caratterizzati da una durata superiore a una serata in un club, dalla numerosa affluenza di persone, in cui viene generalmente suonata musica elettronica (techno, tekno, house, psy trance, ecc) e in cui l’uso di alcol e sostanze è pressochè normalizzato.
  2. Per “outreach” si intendono tutti quegli interventi ed azioni operati all’esterno del servizio. Gli operatori, come gli assistenti sociali, “escono dalle mura dei propri uffici” per portare i servizi direttamente nei luoghi in cui il bisogno può sorgere. Non di rado interventi di outreach si configurano come strumenti di connessione tra le persone e il sistema dei servizi. Quando questo avviene, si parla di “aggancio”.
  3. Ranci D., “Legami Deboli. Una risorsa per utenti e operatori”, in Sostegno tra pari e servizi a bassa soglia, EGA 2003, Torino, pag 109 ss.
  4. Ranci D., “Legami Deboli. Una risorsa per utenti e operatori”, in Sostegno tra pari e servizi a bassa soglia, EGA 2003, Torino, pag 112.
  5. Cellini, G., Dellavalle M., Il processo di aiuto nel servizio sociale. Prospettive metodologiche, Giappichelli editore, 2015, Torino, pag 28.
  6. Fornero E., “Il crocevia della relazione interpersonale”, in L. Grosso, L. Camoletto, Oltre i confini dei raves – Le spirali del divertimento tra rischio e pregiudizio, EGA, 2011, pag 99-124.
  7. Zuffa G.,Ronconi, S., Droghe e autoregolamentazione. Note per consumatori e operatori, Futura, Roma, 2017.
  8. Nei servizi, pubblici e privati, si conosce per esempio molto poco sulle nuove molecole in circolazione (Nuove Sostanze Psicoattive – NSP), che tuttavia vengono sempre più utilizzate dai giovani e giovani adulti.
  9. Vengono definite empatogeni tutte quelle sostanze quali MDMA e alcune fenetilamine o farmaci che, agendo sulla produzione o ricaptazione di alcuni neurotrasmettitori come serotonina, dopamina e noradrenalina, incrementano la percettività emotiva del soggetto (per questo empatogeni: incrementano le c.d. capacità empatiche).
  10. Folgheraiter et al, Apprendere il counselling nel metodo di Mucchielli (cd-rom), Erikson, 2006, Trento, cit, in Raineri M.L., Assistente sociale domani, Vol 1, Erickson, 2007, Lavis (TN), pag 183.
  11. Persone che presentano caratteristiche comuni in termini di età, situazione sociale e/o culturale, preferenze e prospettive.
  12. Sicora A., “Multidimensionalità” in Campanini A., Nuovo Dizionario di Servizio Sociale, Carocci Faber 2013, Roma, pag 398.
  13. Cellini, G., Dellavalle M., Il processo di aiuto nel servizio sociale. Prospettive metodologiche, Giappichelli editore, 2015, Torino, pag 23.