Una ricerca partecipata sulle pratiche delle professioni sociali


L’articolo che segue sintetizza alcuni degli esiti principali di due lavori apparsi su riviste pubblicate da case editrici nazionali. Per maggiori dettagli e citazioni: Tarsia, T., Cellini, G. (2023), “Costruire saperi sulle tossicodipendenze attraverso un’esperienza di ricerca partecipata”, Salute e Società, 2, 68-79.; Tarsia, T., Cellini, G. (2022), “Participatory Teaching and Research: A Remote Fieldwork Initiative”, Italian Journal of Sociology of Education.

 

Il progetto “Pratiche sociali professionali nei servizi sul territorio: esplicitare i saperi” è una ricerca, iniziata già nel 2018, che ha interessato il territorio della città di Messina. Il metodo usato è misto: strumenti più tradizionali come l’intervista in profondità, il focus group e il metodo Delphi1 sono stati combinati con altri di tipo partecipativo come il world cafè.2, i foresight tools3, le mappe visuali4

Gli strumenti partecipativi sono stati utilizzati in un setting particolare, cioè quello di gruppi composti da professionisti ed attori sociali che hanno contribuito a costruire conoscenza e che hanno deciso di farsi coinvolgere nel lavoro. Questi gruppi sono chiamati ‘tavoli di didattica e ricerca partecipata e situata’, sviluppati su diverse aree tematiche. Di seguito ci concentreremo su quello sulle tossicodipendenze.

Nella ricerca si sono messi a confronto due diversi tipi di conoscenza, quella dei partecipanti al ‘tavolo’, maggiormente focalizzata su esperienze circostanziate, con quella di un panel di esperti, esterno al tavolo, che è stato composto cercando tra professionisti esperti che collaborano alla formazione universitaria, studiosi, coordinatori di strutture o di ambiti, dirigenti e rappresentanti di enti di Terzo Settore di livello regionale o nazionale.

I temi considerati da entrambi i gruppi sono stati quelli scelti dal ‘tavolo’: la prevenzione primaria, l’inclusione socio-lavorativa e le competenze degli operatori del settore.

Il gruppo del ‘tavolo’, costituito da 6 studenti universitari, 11 professionisti (assistenti sociali, psichiatri, psicologi/ psicoterapeuti, educatori/pedagogisti), 3 studiosi esperti della pratica, si è incontrato per cinque volte a distanza, a causa dell’emergenza sanitaria. L’intento era quello di esplicitare le conoscenze incorporate nelle pratiche dei servizi e nella propria esperienza della relazione di aiuto.

La struttura degli incontri del tavolo era la seguente: in una prima fase ogni componente del gruppo  dava una definizione della questione che sarebbe stata oggetto di discussione, in un secondo momento ogni componente del gruppo veniva invitato a focalizzare l’attenzione sulla propria esperienza personale e, a partire da un aneddoto, si chiedeva di effettuare un’analisi SWOT dell’evento affiorato alla memoria.

Finita questa fase iniziale, i componenti del gruppo venivano divisi in sottogruppi e invitati a condividere con gli altri ciò che avevano scritto nella fase iniziale e a costruire un ‘triangolo del futuro’5, in cui si chiedeva loro di prefigurare il loro scenario di operatori nell’ambito delle tossicodipendenze (indicando ai vertici il futuro preferibile fra 20 anni; le resistenze; ciò che già viene fatto e che può supportare la proiezione futura di lavoro). Infine, veniva chiesto loro di rappresentare il futuro in una metafora e, dopo la presentazione di ogni gruppo, si apriva uno spazio di dibattito. Le definizioni, le conoscenze emerse dai diversi passaggi e le metafore sono state sintetizzate in un’unica mappa visuale, utilizzata per comunicare all’esterno l’esito del processo di costruzione della conoscenza del ‘tavolo’.

Accanto al lavoro del gruppo è stata avviata un’interazione in forma scritta, per e-mail, con il suddetto panel di esperti composto da 10 testimoni privilegiati, individuati su scala nazionale, tra professionisti esperti nell’ambito delle dipendenze, che avrebbero potuto offrire uno spaccato più ampio delle esperienze del ‘tavolo’. Il gruppo di esperti è stato composto da persone che rispecchiavano, le stesse professionalità di quelle inserite nel ‘tavolo’ (sociologi, psicologi, educatori, assistenti sociali, medici) e che operavano nei servizi da un tempo significativo (9 su 10 tra i 17 e i 35 anni). Utilizzando il metodo Delphi, nella prima fase abbiamo chiesto agli esperti di rispondere a delle domande aperte sui tre temi individuati e contemporaneamente discussi nel ‘tavolo’, nella seconda parte abbiamo chiesto loro di convergere su alcune concettualizzazioni per poi provare a polarizzare i loro punti di vista su una scala Likert con 5 opzioni di scelta.

Di seguito presenteremo alcune delle concettualizzazioni su cui i due gruppi hanno trovato una convergenza di massima e a partire dai quali è stato prodotto sapere sui tre temi scelti.

Il contributo degli esperti attraverso il metodo Delphi

Per quanto riguarda il lavoro con il Delphi, viene sottolineato come la produzione di conoscenza avviene “nelle” pratiche e “dalle pratiche”, soprattutto nella relazione professionale con le persone utenti e con altri soggetti che sono coinvolti nei percorsi di reinserimento individuali; avviene inoltre attraverso la formazione dei professionisti che lavorano sul campo. Nel materiale raccolto l’attenzione all’apprendimento dall’esperienza è evidente e condivisa, ma vi è anche la consapevolezza che esso non può essere disgiunto dalle cornici teoriche che orientano gli interventi nell’ambito delle tossicodipendenze. In proposito si registrano però punti di vista diversificati. Alcuni dei partecipanti alla ricerca enfatizzano maggiormente le pratiche, altri la necessità di rinforzare le basi teoriche dell’agire professionale, che in alcuni casi vengono esplicitamente riconosciute come carenti.

Per le professioni che operano nell’ambito delle tossicodipendenze, la produzione di conoscenza appare spesso come una ri-scoperta di quanto imparato nella formazione universitaria di base o, anche, come un colmare lacune che emergono nel corso dell’esperienza sul campo. Un’area su cui abbiamo rilevato notevoli convergenze è quella degli strumenti della relazione professionale. In riferimento allo strumento del colloquio, ad esempio, vengono rilevati rischi di pratiche improvvisate, e da qui l’esigenza di una maggiore riflessione e riscoperta.

Venendo nello specifico ai temi presi in considerazione nella ricerca, su quello della prevenzione primaria i partecipanti hanno rappresentato un ampio panorama di iniziative da loro stessi sperimentate, come quelle informative e educative, rivolte non tanto ai singoli ma alla comunità nel suo complesso. In una visione che possiamo definire ecologico-sistemica, la prevenzione primaria dovrebbe agire non solo sugli individui, ma anche sull’ambiente, inteso sia in termini micro (relazionali, familiari, gruppali), sia in termini macro (sociali, economici, politici).

Dunque, promozione della salute e promozione sociale, culturale, economica si coniugano in una visione ideale, secondo cui più una popolazione vive meglio, più ha opportunità di accesso a servizi, istruzione, scambio, meno la dipendenza patologica avrà possibilità di insorgere. Su tale visione abbiamo riscontrato ampio consenso; più in generale, sono emersi diffusamente saperi che afferiscono ad una dimensione etico-valoriale del concetto di prevenzione primaria; meno visibili, invece, quelli che derivano dalle evidenze empiriche, ad esempio, dell’efficacia di progetti di prevenzione primaria a cui si è partecipato.

Questo risultato della ricerca può essere letto, a nostro parere, non tanto come una insufficienza di saperi, ma piuttosto come un’assonanza con le analisi sociologiche che mettono in evidenza, nell’ambito delle dipendenze, i limiti nella praticabilità degli studi basati sull’evidenza nel campo preventivo6. In generale, viene evidenziata la relazione molto stretta tra la prevenzione e le politiche sociali e della salute. Emergono tuttavia visioni diverse ed anche opposte sugli investimenti delle politiche: alcune enfatizzano il disinvestimento sulla prevenzione, altre sottolineano invece che rispetto al passato oggi esiste maggiore attenzione e maggiori risorse dedicate alla prevenzione stessa.

Il reinserimento delle persone tossicodipendenti (il secondo tema su cui sono stati prodotti saperi), visto da coloro che sono stati interessati dalla ricerca come parte fondamentale del percorso terapeutico, si affianca alle cure mediche, al supporto psicologico, divenendo “accompagnamento psicosociale”. Esso si basa su un approccio progettuale, che punta sulle risorse della persona e sulla creazione delle opportunità territoriali. Opportunità di occupazione soprattutto, risorse come le borse-lavoro “terapeutiche”, finalizzate ad individuare capacità personali di carattere pre-lavorativo e ritenute indispensabili soprattutto per quelle situazioni (la maggioranza, secondo i partecipanti alla ricerca) in cui non ci sono precedenti impieghi e dunque non sono possibili rientri nella routine lavorativa. La necessità è quella di acquisire una formazione professionalizzante che miri a colmare la distanza, in termini di competenze e di cultura del lavoro, tra le persone tossicodipendenti e altri lavoratori. A questa preoccupazione si affianca però la constatazione che gli strumenti e i finanziamenti specifici per l’accompagnamento ai percorsi di inserimento socio-lavorativo spesso sono insufficienti; in proposito si intravvedono rischi di un “vuoto” nelle politiche sulle dipendenze, oppure di un investimento eccessivo ed inefficace su politiche di controllo repressivo7, o ancora di interventi di mero assistenzialismo. I saperi emersi, comunque, non riducono le difficoltà di promuovere il reinserimento lavorativo alla sola carenza di risorse economiche; vi sono, infatti, problemi che riguardano l’impiego delle risorse esistenti, l’integrazione dei diversi soggetti istituzionali e del territorio coinvolti. In proposito, si riportano diverse esperienze in cui vi è la difficoltà degli enti locali a ritenere centrale il proprio ruolo nella fase di reinserimento sociale delle persone tossicodipendenti (ancor di più se hanno problemi di giustizia penale) che ritengono di competenza principalmente sanitaria questa tipologia di problematiche.

“Le conoscenze e i saperi taciti ed espliciti e le competenze necessarie agli operatori sociosanitari non sono tanto legati alla conoscenza in materia di sostanza e quindi alla chimica. Secondo me, gli operatori dei Ser.D. o delle Comunità terapeutiche devono essere innanzitutto dei facilitatori di processi di rivisitazione critica dei comportamenti e delle scelte”. Questa affermazione di uno degli esperti del panel, sul tema delle competenze (l’ultimo da noi considerato), appare particolarmente efficace per rappresentare la centralità della relazione professionale di chi opera nell’ambito delle tossicodipendenze. Possiamo affermare che le competenze relazionali degli operatori sono quelle che hanno maggiore rilievo nei saperi dei partecipanti alla ricerca. È necessaria una produzione di conoscenza per rinforzare le competenze relazionali nella dimensione individuale professionista-paziente.

Il tavolo di didattica e ricerca partecipata e situata sulle tossicodipendenze

Durante l’ultimo incontro del tavolo il gruppo di partecipanti è stato invitato a confrontare le proprie conoscenze teorico-operative con quelle espresse dal panel di esperti in merito ai temi discussi. I componenti del tavolo hanno reagito, in forma scritta ed anonima, alle definizioni emerse dai contributi degli esperti.

Sulla prevenzione i componenti del ‘tavolo’ hanno sottolineato come la prevenzione primaria sia da intendersi “come prendersi cura delle persone, pensare al benessere individuale e sociale” e quindi “promozione di una qualità della vita sostenibile”. Una raccomandazione condivisa è quella che la prevenzione non sia riconducibile alla sola informazione.

Sul secondo tema oggetto di indagine tutto il gruppo condivide una rappresentazione del reinserimento sociale come esito di un lavoro sinergico, non solo ad un livello interistituzionale ma anche coinvolgendo imprese e cooperative. Con il panel di esperti si condivide la considerazione che il reinserimento della persona tossicodipendente sia un passaggio complicato e rischioso su due fronti: a) quello della ricerca del lavoro; b) e una di tipo soggettivo che riguarda direttamente le capacità e possibilità di “farcela” della persona.

In relazione all’ultimo tema, cioè quello delle competenze, si sottolinea che in un campo come quello delle tossicodipendenze sia necessaria una formazione continua che si potrebbe concentrare sull’implementazione dei processi di circolazione delle conoscenze tra i servizi e i territori ma anche sull’approfondimento di temi specifici come quelli proposti dalle neuroscienze.

  1. Niero M., Metodi e tecniche di ricerca per il servizio sociale. Roma, NIS, 1995.
  2. Schieffer, A., Isaacs, D., Gyllenpalm, B., The world café: part one. Transformation, 18(8), 2004, p.1-9.
  3. Inayatullah S., Causal Layered Analysis A Four-Level Approach to Alternative Futures Relevance and use in foresight, Futuribles, 2017, p.3-21.
  4. Emmel, N., Participatory Mapping: An innovative sociological method. Real Life Methods. July 2008, p. 1-8.
  5. Inayatullah S., Questioning the Future: Methods and Tools for Organizational and Societal Transformation. Tamsui: Tamkang University, 2007.
  6. Allamani, A., & Beccaria, F., Celata, C., Cipriani, F., Einstein, S. S., Pepe, P., Prina, F., Rolando, S., Voller, F., Una riflessione sull’efficacia delle politiche preventive per il controllo dei consumi di bevande1 alcoliche. Mission-Open Access. 49, 2018, p. 34-43.
  7. Prina F., Devianza e politiche di controllo: scenari e tendenze nelle società contemporanee. Roma: Carocci, 2013.