Strategie di prevenzione della violenza di genere

“Comprehensive Sexual Education” in Italia e in Europa


A cura di Tortuga | 7 Maggio 2024

La violenza di genere mette a repentaglio vita e benessere delle donne e ha anche un impatto significativo sull’economia. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, le donne che subiscono violenza hanno una minore probabilità di partecipare al mercato del lavoro. Inoltre, l’aumento dei livelli di violenza domestica può portare a una diminuzione dell’istruzione femminile e richiedere un maggiore impegno di risorse pubbliche per i servizi sanitari e giudiziari.

In questo contesto, riconoscendo nell’intervento sulle norme sociali e culturali una delle soluzioni a questo fenomeno, una delle proposte più comuni, di cui si è discusso in particolare dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, è l’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole.

L’Italia si è esplicitamente impegnata a mettere in atto e finanziare l’educazione sessuale e affettiva firmando la Convenzione di Istanbul (articolo 14). Questa prevede anche il monitoraggio della messa in atto degli impegni con un report regolare del Gruppo di esperti sull’azione contro la violenza contro le donne e la violenza domestica (GREVIO).

Il report pubblicato da GREVIO nel 2019 sottolinea che l’inserimento nella programmazione degli istituti scolastici dei “principi di pari opportunità” previsti dalla legge “Buona Scuola” (legge 107/2015, art. 1, par. 16) è stato eterogeneo nel territorio. Modalità e contenuti dei moduli di educazione di genere sono diversi tra territori e istituti e solo in pochi casi ci si è attenuti ai principi dell‘educazione sessuale comprensiva (“Comprehensive Sexual Education”). Quest’ultima è il modello proposto dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità e prevede informazioni accurate e adeguate all’età sulla sessualità e sulla salute sessuale e riproduttiva: non si limita all’anatomia e alle malattie sessualmente trasmissibili, ma include nozioni sul rispetto, il consenso e l’autonomia corporea.

Ma l’educazione sessuale e affettiva è efficace nel ridurre la violenza di genere?

Numerosi studi riportano effetti positivi sulla conoscenza e sull’uso dei contraccettivi nel breve termine. Gli studi che si focalizzano sugli effetti dell’educazione affettiva e sessuale esplicitamente sulla violenza di genere sono più rari, ed è particolarmente interessante confrontarne due: uno nelle aree svantaggiate degli Stati Uniti e l’altro in Olanda. Entrambi i programmi, utilizzando un metodo sperimentale per la valutazione d’impatto, si rivolgono a ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 14 anni, appartenenti a diverse popolazioni: negli Stati Uniti, sono state selezionate scuole medie in aree urbane con tassi di criminalità e povertà superiori alla media, mentre lo studio olandese è più rappresentativo dell’intera popolazione.

Dal punto di vista organizzativo, i due programmi sono molto diversi. Quello statunitense prevede sette sessioni di lezione per tre anni, tenute dagli insegnanti dopo una breve formazione, mentre quello olandese prevede cinque lezioni tenute dagli insegnanti e uno spettacolo teatrale, seguiti da una discussione tra pari. Inoltre, il programma olandese si rivolge esclusivamente agli studenti e alle studentesse, mentre quello statunitense include anche sei lezioni per i genitori.

Entrambi hanno ottenuto risultati positivi. Si stima che il programma statunitense abbia indotto un aumento nella capacità di riconoscere di aver avuto un’esperienza sessuale non consensuale, sia nei ragazzi che nelle ragazze, rispetto a quanto osservato dopo un programma di educazione sessuale alternativo che non si focalizza esplicitamente sulla prevenzione della violenza di genere e che dura un anno anziché tre. Tuttavia, non si riscontra nessun effetto nel riconoscere di aver fatto pressioni in passato.

In Olanda, gli studenti hanno riportato una maggiore accettazione nel ricevere un “no” e nella percezione della loro capacità di dire “no” e di farlo rispettare, effetti che permangono sei mesi dopo l’intervento di educazione sessuale. Tuttavia, non vi è alcun effetto sul riportare di essere state vittime di situazioni non consensuali o di aver fatto pressioni su un’altra persona.

Entrambi i risultati vanno valutati con occhio critico, dato che gli effetti sono misurati con questionari somministrati agli studenti poco dopo la fine dei programmi di educazione sessuale.

Infine, uno studio sulla Svezia trova effetti positivi su gravidanze indesiderate e partecipazione al mercato del lavoro delle donne nel lungo periodo (a oltre 50 anni di distanza). Questo risultato, unito agli effetti positivi nel breve periodo, porta a considerare l’educazione sessuale e affettiva come un valido strumento per la lotta alla violenza di genere.

Il quadro europeo

Il contesto europeo appare su questo tema frammentato, in quanto rimangono di competenza dei singoli stati le decisioni sull’introduzione e l’implementazione dei programmi di educazione sessuale e relazionale nelle scuole. La più recente risoluzione del parlamento in materia, del 24 giugno 2021, ribadisce la necessità che tutti gli Stati Membri aderiscano agli standard indicati dalla World Health Organization, garantendo l’accesso a una formazione appropriata a ragazzi e ragazze, partendo dall’infanzia.

Figura 1

La Figura 1, costruita da Tortuga a partire da fonti legislative relative a policy nazionali e progetti locali attivi nei singoli stati, sintetizza lo stato dell’arte per quello che riguarda l’obbligatorietà e l’età di inizio dei differenti programmi di educazione sessuale, affettiva e relazionale nelle scuole. Malgrado l’obbligatorietà nella maggior parte dei paesi membri (59%), questa rimane tutt’ora un insegnamento opzionale in Italia, Bulgaria, Lituania, Polonia, Romania, Croazia, Slovacchia, Ungheria e Grecia. Negli altri paesi, l’età di accesso varia tra i 5 e i 14 anni, mentre l’anno di prima implementazione delle misure va dal 1955 per la Svezia al 2021 per la Grecia.

In più, il livello di dettaglio contenuto nella normativa di riferimento non sempre rappresenta un vero e proprio piano di azione. Un caso virtuoso in questo senso è rappresentato dal Lussemburgo, dove il programma è partito come piano nazionale 2013-2016, offrendo percorsi di educazione sessuale e affettiva obbligatori sin dalla scuola primaria. Il Piano è stato esteso fino al 2019, quando è entrato strutturalmente in vigore come strategia nazionale, rifinanziata annualmente. Un altro esempio di buona pratica è il caso della Finlandia, dove gli insegnanti ricevono una formazione specifica per erogare le ore di educazione sessuale e affettiva prevista dal curriculum. Questa formazione è compresa nel percorso universitario.

Pur considerando solo i paesi nei quali è previsto l’obbligo, l’implementazione rimane tuttavia estremamente diversificata, anche con variazioni significative nel contenuto dei programmi stessi. Essi spaziano dall’approccio medico-sanitario, con l’obiettivo principale di limitare le gravidanze indesiderate e di offrire strumenti di prevenzione per le malattie sessualmente trasmissibili, all’inclusione nei curricula di sezioni specifiche sull’aspetto affettivo-relazionale. In un’ottica di prevenzione della violenza di genere in tutte le sue forme, quest’ultimo elemento è cruciale affinché il sistema dell’istruzione si faccia carico della formazione di cittadini consapevoli. In Belgio, ad esempio, il programma EVRAS (Education à la Vie Relationnelle, Affective et Sexuelle) fa parte dal 2012 dell’offerta formativa obbligatoria delle scuole, con un approccio al tema che copre non soltanto l’aspetto sanitario ma anche, e soprattutto, quello relazionale.

Le barriere all’implementazione di programmi di educazione sessuale e affettiva rientrano principalmente in due tipologie: da una parte l’opposizione dell’opinione pubblica – spesso da parte di gruppi religiosi, come in Belgio e in Scozia – a un tema percepito come tabù e precoce se affrontato durante l’infanzia e l’adolescenza; dall’altra, ostacoli di natura logistica e operativa. Tra questi ultimi rientrano le problematiche legate alla formazione degli insegnanti, al reclutamento di esperti già formati, e in generale alla mancanza di fondi per assicurare un adeguato sviluppo dei curricula.

E in Italia?

In assenza di una legge che preveda l’educazione sessuale e affettiva nel curriculum scolastico, la presenza di questo tipo di formazione a scuola dipende interamente dalla programmazione delle regioni o dalla volontà e dai mezzi delle singole scuole. Inoltre, la mancanza di un curriculum scolastico unico o di linee guida emanate a livello centrale lascia molta discrezionalità agli organizzatori rispetto ai contenuti insegnati.

Un recente studio svolto da un gruppo di ricercatori italiani ha mostrato che la presenza di educazione sessuale e affettiva nelle scuole e la qualità e natura dei vari programmi è molto eterogenea. Lo studio ha rilevato solo (nella forma di risoluzioni e piani di prevenzione) in Italia attivati da varie Regioni dal 2016 al 2020, con una maggiore concentrazione nelle regioni del Nord. Le regioni Sicilia e Marche non hanno rilasciato alcun documento su progetti di educazione sessuale e affettiva attivi nelle scuole. Lo studio analizza inoltre 232 iniziative scolastiche di educazione alla sessualità: 13 rivolte alla scuola primaria, e le restanti alla scuola secondaria di primo e secondo grado. Tra queste ultime, solo il 29% è stato classificato come “Comprehensive Sexual Education” e meno della metà sono organizzate dalle aziende sanitarie locali. Il restante 71% delle attività riguarda principalmente la prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili, la promozione di uno stile di vita sano e l’educazione alle diversità. Gli attori che si occupano della formazione sono di due tipi: le aziende sanitarie locali e le ONG.

Sebbene sia difficile produrre ricerche che studino chiaramente gli effetti della mancanza di educazione sessuale e affettiva nelle scuole, qualche dato ci aiuta a comprendere come la strada per la formazione di individui consapevoli in materia di sessualità e relazioni sia ancora molto lunga in Italia. Nell’Atlas europeo 2023, che misura l’accesso alla contraccezione in 45 Stati dell’Europa geografica, l’Italia occupa la 22esima posizione con un tasso del 53%, dietro a paesi come la Serbia e l’Albania. Inoltre, recenti dati Istat dimostrano che in Italia il coito interrotto è il metodo contraccettivo usato da una persona su quattro.

Nel 2019, il governo ha avviato e finanziato EduforIST, un progetto coordinato dall’Università di Pisa con lo scopo di sviluppare un documento di riferimento che definisca linee di indirizzo e strumenti didattici sui temi dell’educazione all’affettività, alla sessualità e alla prevenzione delle infezioni sessualmente trasmesse (IST) nelle scuole. Il progetto si trova attualmente in una fase di sperimentazione pilota in alcune scuole di Lombardia, Toscana, Lazio e Puglia. L’obiettivo principale di questa iniziativa rappresenta il primo passo verso una strategia nazionale omogenea, che tenga conto delle linee guida dell’OMS e della Convenzione di Istanbul. Sebbene gli obiettivi del progetto seguano le attuali linee guida sui contenuti per i corsi di educazione sessuale e affettiva, è importante notare l’assenza di realtà come Centri Antiviolenza e associazioni femministe tra i partner coinvolti con cui costruire i moduli previsti dal progetto pilota sulla lotta contro la discriminazione e la violenza.

Riassumendo quanto emerge dalle evidenze della letteratura e dagli attuali programmi implementati negli altri paesi europei, i tre elementi principali attorno ai quali una proposta andrebbe articolata sono la costruzione di linee guida nazionali, allineate con quelle dell’OMS e di Convenzione/GREVIO, che prevedano un elenco di enti accreditati a offrire percorsi di educazione sessuale e affettiva, un’offerta adeguata di formazione per insegnanti e altri professionisti, e l’obbligatorietà dei programmi in orario scolastico, almeno a partire dalle scuole medie.