Tavola rotonda dei Promotori, gli interventi

“Osservare per riorientare le politiche sociali” - Roma, 28 novembre 2017


A cura di Eleonora Gnan | 27 Dicembre 2017

Quali sono le priorità nelle politiche sociali per la conclusione dell’attuale e per la prossima legislatura, su cui Welforum deve continuare a puntare l’attenzione con analisi e proposte? Inizia con questo interrogativo la terza parte del Convegno svoltosi a Roma presso la sede del Cnel lo scorso 28 novembre. Dopo un’introduzione a cura del nostro direttore Emanuele Ranci Ortigosa, pubblichiamo qui una sintesi dei principali suggerimenti e punti di attenzioni proposti da alcuni dei Promotori di Welforum partecipanti alla tavola rotonda, in tema di servizi e politiche sociali.

In conclusione, l’intervento finale di Giuliano Poletti, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali.

 

MARCO IMPERIALE (direttore Fondazione Con il Sud)

Tutte le nuove forme di attuazione dei principi di solidarietà non devono mai essere utilizzate come alibi per giustificare l’arretramento dello Stato e della responsabilità collettiva nei confronti dei soggetti deboli.
Ai policy makers propongo di prestare attenzione approfondita ad alcune esperienze attive sul territorio che perseguono il tentativo di utilizzare le risorse pubbliche in modo diverso, con l’obiettivo di generare un investimento sulle persone attraverso processi di capacitazione e mediante attività generative di nuovo valore d’uso, collettivo o per il mercato. Faccio riferimento, ad esempio, ai processi di deistituzionalizzazione dei detenuti psichici e all’inserimento di ragazzi non autosufficienti in attività che integrano meccanismi di reciprocità tra gli attori del contesto in cui vivono, processi di capacitazione in cui il terzo settore gioca un ruolo fondamentale, realizzazione dei budget di salute, ridestinazione dell’utilizzo delle risorse pubbliche e valorizzazione dei beni comuni (beni artistico-culturali o confiscati alla mafia).
Come Fondazione sosteniamo alcune di queste iniziative che, nel corso del tempo, sono diventate pratiche modello e fonti d’ispirazione per le nuove politiche, che non dovrebbero puntare a risparmiare risorse quanto piuttosto a garantire una maggiore inclusione sociale dei soggetti che ne beneficiano.
Un altro punto importante riguarda l’evidente vantaggio che il partenariato pubblico-privato (sociale) può portare sia a livello statale che locale. Un esempio è quello del fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile a cui Fondazione Con il Sud ha partecipato attraverso la promozione di alcuni progetti locali. Questi sono stati individuati attraverso alcuni elementi come il partenariato pubblico (scuole e Comuni) e privato (cooperative sociali e associazionismo), la condivisione dei progetti contro la dispersione scolastica e l’esclusione sociale (attivazione della Comunità educante), l’integrazione di una componente riguardante la valutazione d’impatto e l’integrazione con i più generali strumenti di contrasto alla povertà.

 

 

AUGUSTO FERRARI (assessore Regione Piemonte)

Siamo giunti ad un momento storico in cui si può coniugare virtuosamente l’evoluzione delle riflessioni e delle proposte che una larga letteratura ha già messo in campo con i primi segnali che derivano dalle decisioni politiche. Da un lato, ci si riferisce all’investimento in riflessioni scientifiche e culturali sul nuovo welfare e, dall’altro, si iniziano a intravvedere dei segnali tendenzialmente coerenti con queste riflessioni da parte dei decisori politici. Questo preciso momento richiede dunque lo sforzo per fare in modo che le culture e le forze politiche escano definitivamente dalla concezione meramente distributiva e residuale del welfare, dove ciò che conta è dare qualcosa a qualcuno con una valutazione prettamente quantitativa e con una scarsa attenzione alle ricadute in termini di servizi territoriali.
Tre elementi di attenzione. Il nostro Paese ha bisogno di un patto di sistema: è necessario dar vita a una sorta di costituente del welfare che riesca a mettere in circolo un confronto vero tra gli attori istituzionali e non rispetto a come immaginare e costruire il passaggio da un sistema politico nato in certe condizioni, che oggi non ci sono più, verso un sistema che deve rispondere ai fenomeni presenti qui ed ora. In tal senso, è necessario fare tesoro delle prassi diffuse a livello territoriale e che hanno messo in campo nuovi modelli di interventi. Inoltre, è importante definire i profili e i confini del neo welfare alla luce dei fenomeni di cambiamento sociale, sviluppare una matura riflessione tra l’esigibilità dei diritti e la sostenibilità finanziaria, affrontare la questione dell’allocazione dell’attuale spesa sociale, affrontare in termini realistici la questione dell’equilibrio istituzionale della governance. A questo scopo, la Regione può essere letta come l’istituzione che riesce a coniugare l’unità dell’indirizzo politico con la valorizzazione della pluralità dei sistemi territoriali.
Il secondo elemento di attenzione riguarda la necessità di mantenere dal punto di vista politico un forte approccio pragmatico, capace di governare e accompagnare i processi nella loro evoluzione concreta. In questo approccio diventa indispensabile immaginare e costruire le politiche sociali come strumenti per creare connessioni con i servizi sociali, le politiche attive del lavoro e quelle dell’abitare, con l’obiettivo di far fronte alle vulnerabilità sociali. Si tratta di elementi che oggi camminano in modo ancora troppo parallelo e che invece dovrebbero interagire. In questo senso assume un ruolo rilevante anche il tema del servizio civile universale, inteso come strumento e opportunità per focalizzare l’attenzione sul tema dell’inclusione delle nuove generazioni dentro il circuito della cittadinanza.
Infine, bisogna assumere le sfide connesse alla riforma del terzo settore: non è possibile declinare questa riforma solo dal punto di vista degli adempimenti amministrativi, ma è necessario accogliere la sfida radicale dentro la riforma. Essa rappresenta l’occasione di provare a coniugare l’accompagnamento dei processi di riforma in corso con la capacità di rinforzare i processi di innovazione sui territori che richiedono necessariamente una nuova modalità di relazione tra pubblica amministrazione e gli enti di terzo settore, intesi come partner in una logica di coprogettazione per la realizzazione del bene comune.

 

 

CLAUDIA FIASCHI (portavoce Forum Terzo Settore)

La sfida principale è quella relativa ai diritti e alla riduzione delle disuguaglianze, al cui interno si incardina il tema della sostenibilità del welfare, intesa non solo come sostenibilità finanziaria ma soprattutto come sostenibilità sociale. Da un lato, la questione dei diritti e, dall’altro, la questione di ciò che ci impegniamo a promuovere in termini di sviluppo per il sostegno alla fragilità sociale generata da situazioni di povertà, perdita del lavoro o non autosufficienza. Si tratta di due punti di posizione che ci fanno percepire la quantità di esigenze che devono essere ricomprese nell’alveo dei diritti considerati esigibili per una qualità sufficiente della vita delle persone. Questo mette al centro della riflessione anche il tema della sostenibilità finanziaria e della solidarietà fiscale. È quindi importante approfondite nei tavoli di lavoro e di discussione come le risorse messe in campo possano generare il migliore impatto possibile sui bisogni rispetto a un modello di azione meramente risarcitivo ed economico.
Un secondo elemento riguarda la sussidiarietà orizzontale e tutte quelle risorse che, allocate fuori dalla spesa pubblica, possono concorre a finanziare il sistema. Alcuni esempi riguardano le forme di welfare aziendale e di welfare contrattuale obbligatorio (come quelli di protezione della vecchiaia, della salute, gli ammortizzatori sociali, il TRF e i fondi pensione, utilizzabili ad esempio come strumenti di protezione della non autosufficienza) che al momento non stanno guardando al potenziale di allocazione delle rendite in una logica di finanziamento. In Italia c’è essenzialmente un problema di architettura istituzionale che non consente lo sviluppo di una governance integrata del sistema verso il cittadino, quanto piuttosto una governance che àncora il sistema dell’offerta sui sistemi regionali, mentre la spesa avviene mediante strutture di tipo verticale e su base nazionale.
Un ultimo importante punto riguarda il ruolo del terzo settore. Il terzo settore può essere letto come un grande motore di innovazione sociale in grado di rispondere ai nuovi problemi di emergenza sociale. È quindi importante porre attenzione sulla riforma del terzo settore, che ha in sé tutti i semi per garantire al nuovo terzo settore emergente e al vecchio terzo settore storico di innescare una marcia per lo sviluppo e il progresso sociale ed economico del paese, di alimentare le innovazioni e di dare gambe al cambiamento sociale atteso.

 

 

GIANMARIO GAZZI (presidente Cnoas)

In tutte le proposte relative alle politiche sociali è necessario avere un giusto pragmatismo ma anche un punto di osservazione su qual è la giusta dignità che diamo alle persone, se no il sistema non riesce a restare insieme. È necessario, quindi, passare da un welfare distributivo a un welfare in grado di generare effettive opportunità, anche attraverso la creazione di percorsi di accompagnamento. Nel corso della legislazione sono state fatte moltissime riforme: oggi e per il futuro bisogna presidiare l’inversione di tendenza ed evitare di ritornare su logiche elettoralistiche e populistiche.
Oltre a presidiare tutte queste riforme, la priorità è l’infrastrutturazione dei servizi in termini di qualità e quantità. In Italia vi sono 21 sistemi di welfare con modalità di presa in carico diverse e con professionalità svariate. Da questo punto di vista è necessario normare le professioni per fare chiarezza, soprattutto per i cittadini: significa quindi fare un ragionamento sulla formazione di base delle professioni sociali.
Un altro tema è quello dell’integrazione delle politiche e dei servizi, in particolare socio-sanitari. Ancora oggi in molte parti del Paese i luoghi dell’integrazione sono in divenire o addirittura assenti. Tutto questo dovrà essere presidiato nel corso della prossima legislatura, insieme all’integrazione socio-lavorativa e a quella socio-abitativa.

 

 

FRANCESCO MARSICO (vicedirettore Caritas Italiana)

È innanzitutto necessario dotarsi in tutto il Paese di una solida infrastruttura dei servizi. Bisogna essere attenti a non cadere nelle difficoltà del passato, che dovrebbero invece ricordarci quali errori non devono essere fatti. È bene quindi ricordare anche alcuni punti critici e problematici di questa legislatura, come l’impossibilità dell’approvazione dello jus soli e l’inversione pesante sul tema delle politiche migratorie e dell’accoglienza dei rifugiati. Il conflitto sociale e la competizione sui diritti generano spesso situazioni di intolleranza: questa è una questione che non si può omettere.
È importante consolidare la riforma del REI sui territori, anche mediante la risoluzione delle questioni pendenti. È inoltre necessario essere chiari in tema di informazione relativamente all’attuazione della riforma stessa. Non bisogna quindi ignorare le difficoltà, ma si deve acquisire la capacità di comunicarle. Il REI è una misura che deve essere legittimata anche attraverso la comunicazione. In tal senso non può essere dimenticato l’isolamento di alcuni contesti territoriali, cosa che invece a livello di dibattito molto spesso è ignorata. Nel corso della legislatura e con l’inizio della prossima è assolutamente necessario avere l’avvertenza di mandare i segnali giusti, e in questo obiettivo può collocarsi il lavoro svolto da Welforum.
Infine, è bene sottolineare la necessità di costruire sistemi territoriali coesi, la capacità di utilizzare ed integrare tutte le policy possibili, essendo realistici e guardando ai processi di innovazione in termini complessivi. Questo si può fare solo a livello locale, di Comune o di Ambito, in modo da costruire una pedagogia concreta dei processi di inclusione.

 

 

GIOVANNA VENTURA (segretaria confederale Cisl)

Da questa giornata è emerso un forte bisogno di situazioni di confronto tra i vari soggetti coinvolti sui temi delle politiche sociali, con il fine di generare proposte concrete di intervento. Nel nostro Paese non esiste un sistema organizzato di welfare e molto spesso si fatica anche a creare rapporti di rete. Vi è quindi la necessità di creare un sistema di welfare complessivo.
La speranza per il futuro è che ciò che si è realizzato in questa legislatura abbia una vera continuità. Finalmente si sono approntati degli interventi che, anche se non ancora esaustivi, vanno nella giusta direzione. Non parlo solo dei REI, ma anche della contrattazione del welfare integrativo, che ha un peso molto importante all’interno del sistema inesistente di welfare e a cui bisogna dedicare una maggiore attenzione. Tutto ciò che si sta realizzando attraverso il welfare integrativo aziendale si inserisce in un contesto disomogeneo, che può generare nuove diseguaglianze.
La prossima legislatura si dovrà quindi concentrare sull’infrastruttura dei servizi, ancor prima che sulle misure. Questo perché si rischia di avere misure importanti con risorse economiche dedicate, ma di non avere la possibilità di arrivare veramente alle persone attraverso i servizi sul territorio e le professionalità dedicate. Per quanto riguarda la rete dei servizi, la legge sul REI (art. 21) offre un’importante opportunità. Se si riuscisse a lavorare intorno al sistema di rete dei servizi, questo costituirebbe un grande passo verso un sistema ricostituente di welfare.
Bisogna anche ragionare sui molteplici finanziamenti che ancora oggi non consentono di avere chiaro il totale delle risorse a disposizione: fondo per la lotta alla povertà, fondo per la non autosufficienza, fondo per infanzia e adolescenza sono solo alcuni di questi. Dov’è la cabina di regia? Dov’è la valutazione dell’impatto? Dov’è la partecipazione e il coinvolgimento degli attori nella progettazione degli interventi previsti da questi fondi? È su questo che dobbiamo concentrare la nostra attenzione.
Infine, la questione dei LEA che non può più essere rinviata: devono essere definiti i diritti. I LEA sono indispensabili anche per via del gap territoriale del nostro paese (la spesa sociale della Calabria corrisponde a meno di 1/10 di quella del Trentino). A tal proposito, anche le professionalità sono importanti: non è una moda dire che ci vuole integrazione tra sociale e sanitario, è un’esigenza. Ci sono costi nella sanità che possono coprire anche i costi assistenziali, non è uno scaldalo. È necessario dare vita a un incontro tra i due Ministeri e le organizzazioni sindacali in modo gettare le basi per lo sviluppo di interventi e professionalità. Altrettanto importante è il tema della trasparenza dei dati, che spesso non sono accessibili. Bisogna partire da questo.

 

 

STEFANO SACCHI (presidente Inapp)

Iniziamo da cosa è stato fatto in questi anni. Innanzitutto, nel 2012 l’importante riforma delle pensioni sulla quale non occorre tornare indietro, la riforma degli ammortizzatori sociali del governo Monti e poi del governo Renzi, la riforma del mercato del lavoro, e quella per il contrasto alla povertà. È evidente che il welfare italiano esce da questo periodo profondamente cambiato ed evidentemente modernizzato.
Tuttavia, sono mancati alcuni aspetti di merito, che andranno ripresi nella prossima legislatura, ma anche alcuni aspetti di metodo. Per quanto riguarda i primi, bisognerà sicuramente potenziare il REI per far sì che arrivi a coprire l’intera platea, ci si dovrà occupare del tema della non autosufficienza per il quale occorre sfruttare il cambiamento tecnologico (in materia di domotica, assistenza domiciliare condivisa, forme di residenzialità avanzata leggera), bisognerà rimettere al centro del dibattito il tema degli asili nido, rivedere i trasferimenti alla famiglia, e iniziare a parlare di work benefits, di reddito di base e di universal credit.
Per quanto riguarda il metodo, tutti questi aspetti coinvolgono difficoltà enormi oltre che coraggio politico. L’idea è che ci debbano sempre essere delle aggiunte e mai delle ricalibrature. Sicuramente sono stati fatti degli errori: non si è stati capaci di fornire il quadro di riferimento dell’investimento sociale e di incasellare in questo quadro tutte le riforme, e di dare l’idea che quello che si è fatto è stato fatto non solo per sanare dei vizi storici del welfare italiano, ma anche per parlare alle nuove generazioni al fine di costruire qualcosa di decisamente orientato al futuro. Sono stati fatti per la prima volta interventi strutturali, ma non coordinati tra di loro e non comunicati nel loro posto complessivo. Vi deve essere, da un lato, un discorso coordinativo in grado di tenere assieme i vari pezzi per chi progetta le politiche e dare una cornice di riferimento e, dall’altro, un discorso informativo in grado di spiegare all’opinione pubblica perché si sta facendo una determinata cosa e perché questa cosa impatta su vincitori e perdenti. Non siamo stati in grado di affrontare questo secondo aspetto. Ma è giusto parlare di perdenti? Il welfare italiano fa parti diseguali tra individui uguali e parti uguali tra individui diseguali. Questo non è equo, e quindi bisogna ripartire da qui.

 

 

GIULIANO POLETTI (ministro del Lavoro e delle Politiche sociali)

È sempre un’ottima cosa impegnarsi in una riflessione che cerca di analizzare ed effettuare delle proposte, è l’approccio giusto perché consente a chi deve valutare e immaginare le prospettive di farlo a partire dal dato della consapevolezza. La cosa principale è quindi assumere la realtà nelle sue diverse configurazioni, darle una valutazione e stabilire che su quella base è necessario agire. Ad esempio, sul tema del contrasto alla povertà bisogna chiedersi: perché siamo arrivati al 2017 e non prima? Il primo grande ostacolo è sicuramente stato il rifiuto dell’assunzione del tema della povertà come una componente della condizione sociale del nostro Paese, perché accettarlo avrebbe significato mettere in discussione temi di equità, giustizia e potere. Il più grande passo compiuto è stato quello di dire che in Italia la povertà esiste ed è necessario farci i conti, così come per tutte le altre problematiche. Bisogna partire dal dato di realtà e iniziare a riflettere.
Per molto tempo si è pensato all’Europa come all’Europa della concorrenza e dei mercati. Tuttavia, tenere separate le politiche economiche da quelle sociali è una terrificante mistificazione. L’Europa non sarà mai Europa sociale se non avrà il coraggio di mettere in discussione le sue politiche economiche e metterle in relazione alla sua dimensione sociale. Lo stesso ragionamento vale per l’Italia. Quindi il primo tema importante da affrontare è l’assunzione della dimensione sociale come una qualificatissima componente della riflessione economica del Paese: le politiche sociali sono politiche economiche.
Vale poi la pena riflettere su un altro elemento. Un tempo il settore pubblico era considerato come una garanzia per l’equità dei cittadini, poi è divenuto sinonimo di inefficienza e di tutto quanto di male si possa dire. Come è accaduto? Forse bisogna stabilire che c’è un ruolo essenziale delle istituzioni e della cosa pubblica, ma che c’è anche un grande bisogno di coagire, coprogettare e cogestire nel grande rispetto della funzione di ognuno. Ognuno partecipa e rispetta le logiche di ogni soggetto in campo. Bisogna ricostruire questa capacità. I servizi rientrano dentro questo discorso: le politiche possono esistere solo se ci sono i servizi che sono quelle infrastrutture (pubbliche, private, associative) che permettono di agire. Se non ci sono i servizi non si va da nessuna parte. Invece spesso si è immaginato che attraverso l’erogazione monetaria dal pubblico al cittadino i problemi fossero risolvibili. Non è vero, i servizi sono necessari.
Insieme a questo c’è un problema di competenze e saperi: è necessario attrezzare le infrastrutture per far sì che agiscano in modo coerente. Rispetto al REI ad esempio si è discusso circa la destinazione di una quota dei finanziamenti per il potenziamento dei servizi e delle reti: nel 2018 gli enti e i Comuni italiani avranno 500 milioni di euro per il potenziamento dei servizi. Questa cosa non è mai accaduta prima di allora. Bisogna comprendere che si vuole realizzare una strumentazione efficiente è necessario assumere personale, investire in formazione, costruzione delle reti e governance che permetta a tutti i soggetti di lavorare assieme.
Il nostro Paese ha attitudine a decretare il fallimento di una cosa ancora prima che la cosa abbia inizio. Per fare le cose serve del tempo, soprattutto se bisogna costruire un’infrastruttura, una cultura, un’attitudine, attivare una rete larga. Se si accede all’idea che la povertà è una condizione complessa della vita delle persone, allora deve essere trattata con la sensibilità e le attenzioni necessarie. A tal proposito, ci vuole il tempo che ci vuole. Bisogna aiutare la comunità a comprendere che si è messo in moto un meccanismo importante che segnerà in futuro del nostro Paese se saremo in grado di comunicarlo e monitorarlo nei tempi giusti. Questo è quello che si dovrà fare nella prossima legislatura.
Come è già stato detto, in Italia c’è anche l’attitudine ad aggiungere dei pezzi ma non ha ridiscutere quanto fatto per renderlo più coerente. La discussione deve essere fatta attraverso questo metodo: bisogna avere compattezza e condivisione, ed effettuare un grande lavoro di costruzione per far sì che nessuno possa impugnare l’idea che c’è qualcuno che vuole assalire le misure sociali. Qui si cerca di riflettere sul futuro del nostro Paese.
Infine, è importante ricordare che nella legge di contrasto alla povertà si costituisce la “Rete nazionale per la protezione e l’integrazione sociale”. È indispensabile avere una rete che tutti i giorni interviene su tutti i piccoli terremoti che accadono nella vita delle persone. È una cosa sacrosanta: ci vorrà del tempo e ci si riuscirà solo mettendo insieme tutti i pezzi disponibili con l’obiettivo di cercare di risolvere i problemi. Si tratta di un’infrastruttura indispensabile.