Tre riforme che non costano nulla


Maurizio Motta | 7 Ottobre 2025

Valutare la condizione economica dei cittadini senza confondere ricchi e poveri

Il problema attuale

La condizione economica delle famiglie che chiedono prestazioni sociali agevolate è valutata tramite l’ISEE per molte prestazioni. Secondo il “Rapporto annuale INPS nel 2024 sono state presentate 10,1 milioni di dichiarazioni per fare un ISEE (le DSU), che valuta sia i redditi sia i patrimoni mobiliari (ossia i risparmi) ed immobiliari (terreni e fabbricati) posseduti. Ma se si richiede un ISEE ad esempio nell’autunno del 2025, i patrimoni mobiliari che vengono valutati sono quelli al 31 dicembre 2023, o la media dei risparmi posseduti in tutto il 2023. Se quei risparmi si sono ridotti dal 2023 al 2025 il cittadino può presentare un “ISEE corrente” se vuol far vedere che i suoi redditi e/o patrimoni di due anni prima (il 2023) sono diminuiti rispetto a quelli del momento nel quale vuole usare l’ISEE (il 2025).

Però se sono i patrimoni (compresi quelli mobiliari, cioè i risparmi) che quando si vuole usare l’ISEE sono diminuiti rispetto a quelli che si erano dichiarati entro un ISEE ordinario in vigore, il cittadino può fare l’ISEE corrente soltanto dal primo di aprile di ciascun anno e non prima, ed il valore dei risparmi che deve dichiarare nell’ISEE corrente (al posto di quelli dell’ISEE ordinario in vigore) deve essere del 31 dicembre dell’anno precedente o la giacenza media nell’intero anno precedente. Due conseguenze:

  • chi vorrebbe poter fare un ISEE corrente, per far valutare risparmi più attuali e vicini al momento di uso dell’ISEE, non può farlo nei primi tre mesi di ogni anno;
  • chi vuol fare un ISEE corrente ad esempio in autunno (per far rilevare che i risparmi disponibili sono diminuiti rispetto a quelli presenti nell’ISEE ordinario vigente) non può dichiarare i risparmi presenti in autunno, ma solo al 31 gennaio dell’anno precedente (o la loro giacenza meda in tutto l’anno precedente). Momenti cioè nei quali la diminuzione dei risparmi poteva non essere ancora intervenuta.

E la diminuzione dei risparmi che il cittadino vuole far rilevare può essere avvenuta anche per gravi motivi, come aver speso per l’assistenza di un disabile o non autosufficiente.

Gli effetti sopra descritti derivano da queste cause:

  • si fa dichiarare una diminuzione di risparmio soltanto dal primo aprile perché l’archivio dei rapporti con operatori finanziari, che presso l’Agenzia delle Entrate registra tutti i risparmi dei cittadini, viene alimentato dagli operatori (banche, Poste, gestori) con gli importi dei risparmi solo entro il 15 di ogni mese di febbraio, per tutti gli importi dell’anno precedente. Nella costruzione dell’ISEE ciò che il cittadino ha dichiarato sui propri patrimoni mobiliari viene controllato automaticamente confrontandolo con questo archivio; e l’attestazione dell’ISEE evidenzia differenze tra quanto dichiarato e quanto contenuto nell’archivio. E questo è al momento l’unico “controllo automatico” eseguito dal sistema ISEE” (molto importante) sulle dichiarazioni dei cittadini (le DSU)
  • Gli importi di redditi e patrimoni nell’ISEE (ordinario o corrente che sia) non sono mai quelli “del momento nel quale si produce l’ISEE”, ma sempre più vecchi. Anche di due anni negli ISEE ordinari.
La proposta di riforma

Il fatto che nell’ISEE i redditi e i patrimoni siano “vecchi” rispetto al momento nel quale si costruisce l’ISEE e lo si deve usare, produce nell’ISEE famiglie che sembrano povere ma non lo sono (falsi positivi) oppure sembrano ricche e non lo sono (falsi negativi). Ecco quindi due proposte:

  1. Prevedere che l’archivio dei rapporti con operatori finanziari presso l’Agenzia delle Entrate sia rifornito dei dati sui patrimoni mobiliari non una volta l’anno ma in continuo, o con uno scarico almeno trimestrale. Così sarebbe possibile far dichiarare nell’ISEE una “giacenza media” dei risparmi riferita al trimestre precedente la DSU, nonché lo stock al momento della DSU. Così un “controllo automatico” come quello attuale potrebbe operare anche se il cittadino dichiara i patrimoni mobiliari posseduti al momento della DSU, e non “vecchi”. Certo una soluzione migliore sarebbe immettere nell’ISEE in automatico i dati sui patrimoni mobiliari ricavandoli dall’archivio dei rapporti finanziari.
  2. Muovere verso un ISEE che punti a considerare “se si è poveri o meno” quando si richiedono le prestazioni usando l’ISEE richiede un riordino più articolato1, facendo dichiarare anche i redditi ed i patrimoni immobiliari posseduti al momento della DSU. Il che è semplice per i patrimoni immobiliari (che sono già ora solo dichiarati dai cittadini), mentre sui redditi l’ISEE potrebbe includere sempre i redditi al momento della DSU e della prestazione (meglio se la media degli ultimi 3 mesi). Questo criterio non necessariamente indebolisce i controlli perché diversi redditi potrebbero essere immessi automaticamente nella DSU anche se fossero quelli “del momento della DSU” (o dei 3 mesi precedenti). Ad esempio quando un sistema gestionale (come quello dell’INPS) eroga denaro rilevante ai fini ISEE, con dati aggiornati sempre disponibili che potrebbero essere immessi nelle DSU da questi enti erogatori. I redditi che è più difficile catturare in automatico se riferiti al momento della DSU (o ai 3 mesi precedenti) sono quelli rilevanti ai fini IRPEF (in primis quelli da lavoro). Ma si potrebbe introdurre un correttivo (spesso dimostratosi efficace), prevedendo che il cittadino li autocertifichi entro una modulistica molto blindata che lo vincoli a descrivere “se e perché” sono diversi da quelli riscontrabili nell’ultima dichiarazione IRPEF.

Utile anche una modifica alla normativa sull’autocertificazione, escludendo (o limitando) la possibilità per il cittadino di autocertificare i redditi senza esibire documentazione; peraltro i “redditi” sono sempre stati un oggetto di autocertificazione piuttosto anomalo rispetto agli altri previsti dall’art. 46 del DPR 445/2000.

Il denaro destinato ai poveri va anche a nuclei non poveri

Il problema attuale

Accanto all’Assegno di inclusione (che ha sostituito il Reddito di cittadinanza) opera da molti decenni un altro importantissimo sostegno economico per gli anziani poveri: l’assegno sociale erogato dall’INPS, attivato indipendentemente dai contributi versati (che possono anche non esistere). È quindi un intervento assistenziale a contrasto della povertà, ma per erogarlo si valuta la condizione economica:

  • del solo anziano e del coniuge (se presente) e di nessun altro convivente e/o familiare;
  • composta soltanto dai redditi percepiti, senza considerare per nulla i patrimoni mobiliari (i risparmi) e quelli immobiliari (terreni e fabbricati posseduti).

La conseguenza è che (da molti decenni) se un anziano che ha con il coniuge un basso reddito vive in un nucleo familiare composto anche da altre persone (figli, fratelli, altri) le quali hanno una buona condizione economica, anziano e coniuge vengono valutati come poveri, fruitori possibili dell’assegno sociale. E se l’anziano (e il coniuge) hanno bassi redditi, ma posseggono patrimoni rilevanti (anche come risparmi in banca o Poste), vengono valutati come poveri, e quindi possono ricevere l’assegno sociale.

Mentre l’ISEE (pur con tutte le sue molte criticità) valuta la condizione economica di tutte le persone del nucleo familiare, e composta sia da redditi sia dai patrimoni, per l’assegno sociale opera un bizzarro concetto di povertà degli anziani, che non considera la condizione del nucleo in cui vivono e le risorse possedute oltre ai redditi, come invece fanno (giustamente) tutte le prestazioni nazionali o locali a sostegno del reddito. Il risultato è che una prestazione nazionale per sua natura dedicata ad assistere i poveri, come l’assegno sociale, viene fruita anche da molti nuclei familiari che poveri non sono. La situazione è nota da molto tempo; per citare una fonte istituzionale, la relazione tecnica al disegno di legge delega sul contrasto alla povertà (approvata dal Parlamento il 15/3/2017, n°33, e dalla quale sono derivati i successivi “redditi minimi contro la povertà” nazionali Reddito di Inclusione, Reddito di Cittadinanza, Assegno di Inclusione) segnalava che stime sul 2012 evidenziano come dei 17,4 miliardi di Euro destinati al contrasto alla povertà degli anziani (tramite pensioni/assegni sociali, integrazioni al minimo delle pensioni, quattordicesima mensilità, maggiorazione sociale) circa 6 miliardi erano erogati ad anziani entro famiglie posizionate tra il sesto e il decimo dei gruppi di famiglie ordinate per crescente condizione economica; cioè quasi il 38% di questi interventi per anziani poveri andavano a chi vive nelle famiglie meno povere2. E non si tratta di poche risorse, perché secondo il “Rapporto annuale INPS 2025” nel 2024 la spesa solo per pensioni e assegni sociali è stata di 6.441 milioni di euro, per 844.807 beneficiari. Come termine di paragone è utile segnalare che (dallo stesso rapporto) la spesa totale per l’Assegno di Inclusione, l’altra prestazione nazionale contro la povertà più rilevante, è stata nel 2024 di 4.442 milioni di euro.

La proposta di riforma

Le distorsioni prima citate nel valutare la condizione economica riguardano anche le integrazioni al minimo e le maggiorazioni delle pensioni. Ma si potrebbero iniziare ad introdurre nuovi criteri almeno per gli assegni sociali INPS, valutando una condizione economica dei richiedenti che oltre ai redditi includa il patrimonio (mobiliare e immobiliare), e di tutti i componenti del nucleo familiare. Allo scopo sarebbe bene non valutare usando l’ISEE, sia perché misura sempre male la povertà, sia per non penalizzare in modo eccessivo chi ha in proprietà la casa di abitazione ed ha bassi redditi. Un simile riordino, del quale purtroppo non si vedono promotori nell’arena politica:

  • non tocca per nulla i diritti acquisiti, perché può essere previsto che chi già fruisce delle attuali prestazioni possa continuare a fruirne, e solo chi le richiede per la prima volta debba avere una condizione economica che meglio identifica la povertà del nucleo.
  • Non significa “mettere le mani sulle pensioni” perché oggetto di questa riforma non sono pensioni retributive, contributive, o di invalidità, ma solo prestazioni del tutto indipendenti dai contributi versati, la cui natura è esclusivamente assistenziale.
  • Non implica nessun costo pubblico, nemmeno organizzativo; e genera un risparmio cumulativo nel tempo solo evitando di assegnare nuovi assegni sociali a chi povero non è. Peraltro con l’effetto di ottenere risorse per il welfare dall’interno del welfare stesso, soltanto introducendovi un riordino interno a costo zero. Non è una efficace spending review? Certo ci sarebbe un mutamento nelle aspettative per i cittadini, perché chi richiede assegni sociali per la prima volta, da quando questa riforma si avvia potrà riceverli solo se la povertà del nucleo è meglio valutata rispetto ad oggi. Ma uno scopo delle riforme non è proprio quello di fare scelte per aumentare l’equità?

Evitare che i non autosufficienti debbano navigare tra troppe domande da presentare

Il problema attuale

Un disabile grave o un anziano non autosufficiente che allo scopo di evitare il ricovero in RSA e restare nella sua abitazione cerca sostegni per gli atti della vita quotidiana (usare i servizi igienici, alzarsi ed andare a letto, vestirsi, alimentarsi), deve (lui e/o i familiari) saper muoversi tra molte richieste di aiuto al welfare pubblico; ad esempio, e l’elenco non è completo, deve saper chiedere:

  • all’INPS l’indennità di accompagnamento, eventualmente potenziata con “l’assegno di assistenza” che la trasforma in “prestazione universale”3, previa una valutazione della non autosufficienza eseguita nelle commissioni medico legali per l’accertamento degli stati di invalidità e disabilità delle Aziende Sanitarie;
  • all’INPS, di partecipare al bando Home Care Premium, che può far ricevere contributi per pagare assistenza domiciliare;
  • ai gestori dei servizi sociali i contributi per il care giver (la persona che assiste) in base a come le Regioni organizzano l’uso del relativo fondo nazionale;
  • nei modi previsti dalle singole Regioni, i vari bonus regionali dedicati all’assistenza domiciliare, e/o per specifiche cause di non autosufficienza, come in alcune Regioni per i malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA)
  • ai gestori dei servizi sociali gli assegni di cura previsti dalla normativa nazionale, in base alle scelte delle singole Regioni. E allo stesso modo gli interventi connessi alla legge sul “Dopo di noi” (la 112/2016) e alla “Vita indipendente”.

Dunque il non autosufficiente e/o i suoi familiari devono chiedere sapendo navigare in più luoghi e in diverse amministrazioni, ed anche eseguendo valutazioni della ridotta autonomia che possono essere diverse e ripetute per diverse prestazioni. E con queste ulteriori difficoltà:

  • vi sono incompatibilità tra diverse prestazioni, il che implica per i cittadini poterle valutare nel dettaglio prima di chiederle per scegliere le opportunità più favorevoli;
  • diversi interventi (come i contributi per i caregiver, l’Home Care Premium dell’INPS, molti dei bonus attivati da singole Regioni) sono accessibili tramite appositi bandi. Quindi il cittadino deve sapere quali bandi sono attivi e quando, e poter presentare domanda entro le loro scadenze;
  • i tempi di attivazione dei diversi interventi dipendono dai loro specifici meccanismi, col rischio di non poterli coordinare entro un progetto organico.

È quindi di fatto la famiglia che deve saper ricostruire il puzzle delle diverse opportunità, nonché dei loro luoghi e tempi, con evidenti rischi di perdere diritti ed opportunità, oltre alla fatica ed al tempo da impegnare. Rischi tanto più grandi quanto più il disabile o anziano non autosufficiente è solo o senza familiari validi.

La proposta di riforma

Nel più totale silenzio (purtroppo) sia “della politica” sia dei media, è in atto la lenta messa in opera delle riforme per la disabilità e per gli anziani, inclusi i non autosufficienti4. Ma queste riforme non prevedono dispositivi che puntino a riordini, e vincolanti ovunque, per superare le criticità prima descritte, ossia per:

  •  costruire i PUA con la funzione di informare le famiglie non solo sugli interventi socioassistenziali e sociosanitari locali, ma anche su tutti gli interventi pubblici che potrebbero interessare il non autosufficiente, Anche se sono interventi attivati da amministrazioni nazionali o regionali5 come ad esempio le varie agevolazioni fiscali, l’eliminazione delle barriere architettoniche in casa, Home Care Premium dell’INPS;
  • offrire a disabili, anziani non autosufficienti e loro famiglie un unico luogo che riunifichi tutte le funzioni per far accedere a tutte le prestazioni sociosanitarie mirate a fornire i diversi sostegni per gli atti della vita quotidiana per evitare inappropriati ricoveri in RSA. Un unico luogo dunque nel quale la famiglia possa attivare tutte le richieste in modo assistito, evitandogli di dover peregrinare in più sedi per fare diverse richieste;
  • ricomporre tutte le possibili opportunità e risorse (come quelle sopra citate) entro un unico budget per un piano di assistenza, da concordare con il beneficiario ed i suoi familiari. Sul tema le leggi di riforma anziani e disabili si limitano ad introdurre il concetto di budget di cura o progetto, ma in modo troppo generico, descritto solo come “l’insieme delle risorse attivabili”. Il che produce rischi di enormi casualità nella natura e uso del budget, il contrario di un dispositivo certo che garantisca come livelli essenziali la ricomposizione dei percorsi per i cittadini6.

Ciò che qui si propone è un più incisivo riordino verso questi obiettivi nel dar corpo alle riforme in atto, senza che dipenda solo da iniziative locali. Sono certo riordini che richiedono impegnative azioni organizzative, ma non necessariamente nuove risorse finanziarie.

In autunno inizia il dibattito politico sulla legge di bilancio per l’anno prossimo, e le relative scelte di uso delle risorse. Per introdurre riordini che implicano una spesa minima non sarebbe utile mettere in agenda i tre temi proposti?

  1. Una approfondita analisi di queste e di molte altre criticità dell’ISEE, con relative proposte di miglioramento, è stata messa a punto, in un paper non pubblicato, da parte di un gruppo di Enti gestori dei servizi sociali dei Comuni piemontesi nel 2024/5.
  2. Per una discussione più articolata, e con anche altre fonti, si veda M. Motta “I soldi per la povertà si possono trovare… nei soldi per la povertà”, in www.welforum.it , 24 ottobre 2017
  3. Descritta nel dettaglio dal decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali 16 ottobre 2024, n. 155
  4. I decreti legislativi sinora approvati per attuare le leggi delega sono: per gli anziani il D.Lgs. n. 29/2024 (poi integrato dal D.Lgs n. 93/2025), e per i disabili soprattutto il D.Lgs. n. 62/2024
  5. Questa funzione non è ad esempio esposta nella normativa che definisce i PUA come LEPS. Si veda qui.
  6. Una discussione più approfondita sul tema, anche con molti esempi di casi concreti, è nell’articolo di M. Motta “ Come costruire i budget di cura/progetto e per quali interventi “ in Prospettive Sociali e Sanitarie, Milano, n° 3-4 del 2024.