Vaccini: beni pubblici mondiali garantiti a tutti


Patrizia Toia | 24 Maggio 2021

“Da un grande potere derivano grandi responsabilità”, oggi questa frase di Voltaire, resa famosa dal fumetto dell’Uomo Ragno, dovrebbe diventare il motto dell’industria farmaceutica europea ed occidentale, con la postilla che la frase vale anche all’inverso: non c’è potere senza responsabilità, e senza la legittimità che ne deriva. Per questo credo che, in questo momento di crisi, il grande potere ottenuto dalla cause farmaceutiche con i vaccini di cui detengono i brevetti vada esercitato con grande responsabilità.

In gioco non ci sono solo milioni di vite di cittadini dei Paesi in via di sviluppo, ma anche la legittimità di un settore chiave per l’Ue come quello farmaceutico e delle regole sulla proprietà intellettuale che sono fondamentali alla sua esistenza. Per questo motivo nella sessione plenaria di aprile del Parlamento europeo ho votato a favore di quegli emendamenti che definivano i vaccini “beni pubblici mondiali garantiti a tutti” e quelli che invitavano l’Unione europea a “sostenere l’iniziativa promossa da India e Sudafrica presso l’Omc, finalizzata a una sospensione temporanea dei diritti di proprietà intellettuale” e per questo ritornerò sul tema anche nella prossima seduta plenaria.

Per mesi chi ha appoggiato la sospensione dei brevetti è stato considerato velleitario ed estremista, ma oggi il cambio di posizione dell’amministrazione americana ci dà ragione e anche l’Unione europea deve riconsiderare le sue posizioni in uno spirito di concretezza e di cooperazione con tutti gli stakeholder.

 

Va detto che la questione è complessa e su un tema simile le battaglie ideologiche tra liberisti e anticapitalisti non aiutano. Conviene quindi subito uscire dal vicolo cieco degli opposti argomenti di chi considera, giustamente, il diritto alla cura e alla vita superiore ai diritti di proprietà intellettuale, e al diritto al profitto che ne deriva secondo le regole attuali, e i contro argomenti di chi sostiene che senza diritti di proprietà intellettuale non ci sono incentivi per la ricerca e per la costruzione di quell’apparato di capacità produttiva e know how che oggi sta salvando il pianeta dalla minaccia del coronavirus.

Sono veri entrambi ma non è vero che si escludono a vicenda. Sospendere temporaneamente i diritti di proprietà intellettuale, imporre licenze obbligatorie, indennizzando i detentori di brevetti, o incentivare accordi volontari tra aziende per la produzione dei vaccini e il trasferimento tecnologico verso aziende nei Paesi in via di sviluppo non significa abolire tout court le regole del libero mercato nè significa abolire i brevetti in generale. Questa è solo una misura temporanea e circostanziata alla gravità della pandemia.

 

Dall’altra parte i sedicenti “liberisti” dovrebbero ricordare che il libero mercato non vive nei principi astratti delle teorie economiche, ma nella vita concreta di miliardi di individui che partecipano ad un’economia globalizzata che non può funzionare senza governance politica e senza consenso sociale. Come ha ricordato più volte l’economista indiano premio Nobel Amartya Sen, lo stesso Adam Smith, che troppo spesso viene letto e citato in modo parziale, basava le sue teorie sul libero mercato sul presupposto di “norme di moralità civile ed economica”.

 

La pandemia è una buona occasione per ripensare alle norme di proprietà intellettuale che possono diventare un ostacolo all’innovazione e al libero mercato. Queste regole sono diventate obsolete nel momento in cui all’inizio della pandemia sono stati messi online e a disposizione di tutti i dati genetici del nuovo coronavirus aprendo a una collaborazione mondiale senza precedenti degli scienziati di tutto il pianeta. Il mondo post-pandemia funzionerà con regole diverse e tocca all’Unione europea proporne di nuove prima che l’apocalisse a cui stiamo assistendo in India finisca per delegittimare definitivamente i valori, il sistema di governance e l’intera industria farmaceutica europea sui cui si basa tanta parte del nostro benessere di economia aperta.

Quello che è certo è che oggi abbiamo bisogno della collaborazione di tutti, pubblico e provato: aziende, centri di ricerca, università e istituzioni. Dobbiamo assolutamente aumentare la capacità produttiva dell’intera filiera per accrescere le dosi disponibili, per noi europei e per il resto del mondo, a partire dai paesi meno sviluppati. Solo in un’ottica di grande cooperazione e responsabilità potremmo vincere questa grande sfida e capire che la salvezza di tutti noi europei va di pari passo con la salvezza degli altri paesi. Sfida globale e salvezza globale!