Verso il disgelo? Continuità e trasformazioni delle politiche familiari in Italia nell’ultimo decennio


I Policy Highlights di Politiche Sociali/Social Policies

L’articolo che segue sintetizza alcuni degli esiti del lavoro pubblicato sul numero 3/2024 di Politiche Sociali/Social Policies, rivista edita dal Mulino e promossa dalla rete ESPAnet-Italia. Per maggiori dettagli e citazioni: I. Madama e E. Pavolini, Verso il disgelo? Continuità e trasformazioni delle politiche familiari in Italia nell’ultimo decennio, in «Politiche Sociali/Social Policies», 3/2024, pp. 461-484.

 

Un nuovo capitolo per le politiche familiari in Italia

Per lungo tempo, le politiche a sostegno delle famiglie con figli in Italia sono state considerate marginali nell’agenda politica, con un sistema di welfare che tradizionalmente si affidava molto alla solidarietà familiare per la cura e il parziale supporto economico dei suoi membri. Questa impostazione, definibile come “familistica”, non ha contribuito a contrastare fenomeni come la bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro, la denatalità, la povertà infantile e marcate disuguaglianze territoriali nell’esercizio dei diritti sociali. Caratterizzata da livelli di spesa sociale significativamente inferiori rispetto ad altri paesi europei e un’offerta di servizi per l’infanzia carente e disomogenea, l’Italia si è così trovata a lungo impreparata ad affrontare le sfide poste dalle trasformazioni economiche e sociali. Solo a partire dalla seconda metà degli anni 2010, si è assistito a una stagione riformista che ha interessato in profondità il settore delle politiche familiari.

A partire da quanto sviluppato più estesamente in un nostro lavoro recentemente pubblicato su Politiche Sociali/Social Policies, esaminiamo in primo luogo i cambiamenti di policy introdotti in questo ambito, così come le continuità e le sfide che caratterizzano il sistema delle politiche familiari in Italia. Identifichiamo quindi un insieme di fattori politici e istituzionali che hanno contribuito a superare una resistenza al cambiamento radicata da tempo, insieme alle dinamiche che ostacolano ulteriori progressi in questo settore.

Le riforme del “disgelo”

Le recenti riforme hanno toccato tre ambiti principali delle politiche familiari: il sostegno economico alle famiglie con figli, i servizi per l’infanzia e il sistema dei congedi parentali.

Il sostegno economico: l’Assegno Unico e Universale per i Figli

L’introduzione dell’Assegno Unico e Universale per i figli (AUUF) rappresenta la riforma più significativa sul fronte dei trasferimenti monetari. Approvato tra il 2021 e il 2022, l’AUUF ha avuto l’obiettivo di semplificare e razionalizzare la molteplicità di misure di sostegno preesistenti, superandone alcuni limiti. Ha sostituito vari benefici (come bonus natalità, assegni familiari, detrazioni fiscali) con un assegno unificato, erogato dal settimo mese di gravidanza fino ai 21 anni (o senza limiti di età per figli con disabilità).

Il punto di svolta dell’AUUF sta nel suo passaggio dall’approccio categoriale della misura principale preesistente (che tutelava i figli in base alla posizione lavorativa dei genitori, escludendo autonomi e non occupati) a un approccio universalistico, basato sulla sola presenza di figli a carico. L’importo mensile, inizialmente variabile e poi rivalutato, è calibrato sull’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), garantendo una progressività del beneficio. La spesa complessiva per l’AUUF è aumentata significativamente, passando da circa 16 miliardi nel primo anno di implementazione (2022) a oltre 18 miliardi nel 2024, con un aumento dei fondi del 38% rispetto ai programmi che ha sostituito.

Gli effetti dell’AUUF sono stati subito visibili: il numero dei beneficiari è aumentato, e circa il 77% dei bambini coperti ha visto un incremento delle risorse economiche, con un impatto particolarmente positivo per le famiglie a reddito basso e medio-basso. Questo ha contribuito a ridurre disuguaglianze e rischio di povertà.

Nonostante questi miglioramenti, permangono tuttavia alcune criticità: la generosità dell’AUUF per le famiglie della classe media rimane inferiore rispetto a molti altri paesi europei, e la calibrazione della prestazione sull’ISEE può disincentivare l’occupazione del secondo adulto, spesso la madre, tra le famiglie più svantaggiate.

I servizi per l’infanzia: il ruolo chiave delle scelte di investimento effettuate con il PNRR

 Parallelamente, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) del 2021 ha destinato inizialmente circa 4,6 miliardi di euro all’ampliamento delle strutture educative per bambini da 0 a 6 anni, con l’obiettivo di aumentare i posti nei nidi di 228.000 unità entro il 2026 e raggiungere una copertura del 33% per i bambini 0-3 anni in ogni comune o area territoriale entro il 2027. Questo investimento ha mirato anche a riequilibrare le disparità territoriali, destinando più risorse al Mezzogiorno.

Tuttavia, l’implementazione di questo piano ambizioso sta incontrato notevoli difficoltà. In primo luogo, sono emerse criticità nelle modalità di allocazione delle risorse, con bandi che hanno portato a una distribuzione non ottimale dei fondi. In secondo luogo, il governo ha rivisto al ribasso gli obiettivi di posti finanziabili (a 150.480) e posticipato le scadenze. Nonostante successivamente sia stato adottato un nuovo approccio, più centralizzato, solo una parte dei comuni con maggiori carenze nell’offerta di nidi ha aderito ai programmi. Le stime più recenti indicano che, anche nello scenario migliore, la piena attuazione del PNRR non riuscirà a colmare i divari strutturali in regioni come Campania e Sicilia, e l’offerta pubblica rimarrà scarsa nei Comuni più piccoli.

I congedi parentali: verso una maggiore condivisione

Anche il sistema dei congedi ha visto importanti innovazioni. La più simbolica è l’introduzione e la successiva estensione del congedo di paternità obbligatorio, passato da un solo giorno sperimentale nel 2012 a 10 giorni strutturali a partire dal 2022, con l’estensione del diritto anche ai dipendenti pubblici.

Sul fronte del congedo parentale, nel 2022 il limite massimo dei periodi indennizzabili indipendentemente dal reddito è stato elevato da sei a nove mesi (su un massimo di undici), con la clausola di non trasferibilità di tre mesi per ciascun genitore. Inoltre, l’indennità per alcune mensilità è stata aumentata dal 30% all’80% della retribuzione (tre mensilità nel 2025, da fruire entro i primi sei anni).

Un bilancio: progressi ma anche divari persistenti

Complessivamente, le riforme hanno privilegiato un approccio più universalistico, ampliando la copertura e migliorando l’equità delle politiche familiari. Tuttavia, la spesa complessiva per il supporto delle famiglie con figli, sebbene in aumento negli ultimi anni, rimane significativamente inferiore (circa un terzo) rispetto alla media europea, sia in rapporto al PIL che pro capite. Le grandi sfide come le disparità di genere nel mercato del lavoro, l’alta incidenza della povertà minorile, la denatalità e le disuguaglianze territoriali, sebbene mitigate, rimangono in larga misura irrisolte.

I fattori che hanno guidato il cambiamento

Il “disgelo” appare associato a una combinazione di fattori sia contestuali che specifici. Tra i fattori contestuali, due appaiono preminenti. In primo luogo, l’emergere del tema del supporto alle famiglie con figli come “questione sociale”. Il peggioramento dei tassi di natalità, la persistenza della bassa occupazione femminile e le difficoltà legate alla genitorialità hanno infatti acquisito maggiore rilevanza pubblica e politica. Tale condizione è divenuta ancora più evidente durante la pandemia di COVID-19, quando i lockdown hanno messo in luce la fragilità del sistema di conciliazione lavoro-famiglia in assenza di servizi per l’infanzia.

In secondo luogo, l’allentamento dei vincoli di bilancio europei, grazie alla sospensione del Patto di Stabilità, e l’introduzione del programma NextGenerationEU (incluso il PNRR) hanno permesso all’Italia di adottare politiche espansive, superando i limiti finanziari che avevano caratterizzato i decenni precedenti.

In tale nuova cornice, che ha generato una “finestra di opportunità” per le riforme, vanno tuttavia richiamati anche alcuni fattori specifici, che le hanno orientate. Tra questi si identificano:

  • l’affermarsi del paradigma dell’‘investimento sociale’, che ha consolidato l’idea fra molti decisori politici e attori socio-economici che le politiche di conciliazione e i servizi educativi per l’infanzia non siano solo interventi di welfare, ma una leva fondamentale per la crescita economica e la parità di genere, come sostenuto da istituzioni europee (Commissione Europea, OCSE) e nazionali (MEF, Banca d’Italia);
  • il cosiddetto ‘credit claiming finanziariamente sostenibile’, reso possibile dal fatto che le riforme in questo campo hanno costi relativamente contenuti per i bilanci pubblici rispetto ad altri settori (come pensioni o sanità), il che le rende attraenti per i partiti che possono rivendicarne il merito e ottenere consenso elettorale a costi limitati;
  • il riposizionamento dei partiti, a fronte dell’indebolirsi delle contrapposizioni ideologiche tra centro-destra e centro-sinistra su destinatari, strumenti e fini delle politiche familiari. L’aumento della presenza femminile nel mercato del lavoro e la crisi demografica hanno spinto i partiti a convergere verso un modello ‘misto’ (che contempla un rafforzamento sia dei trasferimenti che dei servizi) di politiche di sostegno alle famiglie con figli, con il tema della denatalità come punto di accordo trasversale. Questa convergenza ha permesso di dare continuità nel tempo in direzione espansiva, anche tra governi con orientamenti politico-ideologici differenti.

Conclusioni: un “disgelo” da consolidare

In sintesi, l’Italia ha sperimentato nell’ultimo decennio un significativo “disgelo” e innovazione nel campo delle politiche familiari, superando un lungo periodo di inerzia. L’Assegno Unico Universale per i Figli ha semplificato e potenziato il sostegno economico, gli investimenti del PNRR mirano a rafforzare i servizi per l’infanzia, e i congedi per i genitori, inclusi quelli per i padri, sono stati migliorati. Queste riforme hanno spostato il sistema verso un approccio più universalistico ed equo, riducendo alcune lacune storiche.

Tuttavia, il percorso è ancora lungo. La generosità delle misure italiane rimane inferiore rispetto a quella osservabile in molti paesi europei, e persistono significative difficoltà di implementazione, soprattutto per l’espansione dei servizi educativi, in primis nelle regioni più svantaggiate. Come abbiamo già evidenziato, denatalità, bassa occupazione femminile, povertà minorile e disuguaglianze territoriali rimangono sfide strutturali da affrontare.

Inoltre, il mutato contesto macroeconomico, con il potenziale ritorno di vincoli di bilancio più stringenti, potrebbe mettere a rischio la sostenibilità e l’ulteriore sviluppo delle innovazioni delineatesi. Appare dunque cruciale che i decisori politici mantengano alta l’attenzione su questo settore, consolidando i progressi fatti e affrontando le criticità ancora aperte per garantire un futuro migliore per genitori e figli, evitando che “l’inverno torni”.