Disabilità: il pezzo di riforma che resta da scrivere


Maristella Zantedeschi | 18 Settembre 2025

La legge di riforma in materia di disabilità (Legge 227/2021) e i suoi decreti attuativi, in particolare il D.lgs. 62/2024, lanciano delle sfide enormi ai sistemi di welfare regionali e nazionale nell’innovare le modalità con cui si accompagnano le persone in condizione di disabilità nei propri percorsi di vita.

In un momento storico in cui prende avvio la sperimentazione del nuovo sistema delineato nelle norme, con i 20 territori provinciali che per primi sono coinvolti in questa epocale transizione, resta alta l’attenzione ad alcune parti del disegno normativo, con particolare riferimento alle strategie attuative che verranno adottate. La riformulazione della valutazione per il riconoscimento della condizione di disabilità, tanto attesa per cercare di superare i limiti attuali, chiede ad INPS l’assunzione di un ruolo primario; la ridefinizione della valutazione multidimensionale coinvolge gli operatori in un processo di partecipazione allargata che rappresenta un’opportunità di miglioramento nell’efficacia, ma va valutata alla prova dell’efficienza operativa del sistema; il progetto di vita, individuale, personalizzato e partecipato, è certamente la sfida più rilevante, poiché fa balzare tutti, operatori, famigliari e persone in condizione di disabilità, fuori dagli schemi di relazione noti, proiettandoci in uno scenario in cui il protagonismo, i desideri e le aspettative della persona con disabilità si incrociano con tutte le dimensioni di vita formulando un insieme di sostegni tutto da definire.

Ed è proprio su questo punto, ovvero sull’insieme dei sostegni, che resta un pezzo di riforma da scrivere.

A partire dai “sostegni”

Fin dalla sua approvazione la legge delega ha mostrato un vuoto nel definire come si compone l’insieme dei sostegni che possono essere previsti nel progetto di vita; anche il D.lgs. 62/2024 su questo punto resta piuttosto aperto, citando in riferimento al sistema dei sostegni “gli strumenti, le risorse, gli interventi, i benefici, le prestazioni, i servizi e gli accomodamenti ragionevoli” quali opzioni possibili e dichiarando che gli stessi “possono assumere contenuto personalizzato rispetto all’offerta disponibile”. Si affiancano inoltre sostegni formali e informali che concorrono alla costruzione del progetto. La genericità di definizione di questo aspetto della riforma da un lato è stata più volte rimandata al piano delle competenze istituzionali multilivello (Stato – Regioni – ATS/Comuni) in cui spetta alle Regioni e alle Province Autonome il compito di delineare il sistema di offerta territoriale; dall’altro lato il divenire dei LEPS sta rappresentando un percorso definitorio che può orientare lo sviluppo del sistema integrato, almeno per servizi e interventi di natura sociale e in integrazione con le altre politiche del welfare (sanità, scuola, lavoro, abitare, ..). Eppure, entrando appieno nello spirito della norma, riempire questo vuoto normativo sembra essere essenziale per poter dare un’opportunità attuativa reale ai principi ispiratori della stessa.

Parte del progetto di vita è il cosiddetto budget di progetto, lo strumento immaginato per consentire l’integrazione delle risorse che concorrono all’attuazione dei sostegni e al raggiungimento degli obiettivi prefissati1. La formulazione utilizzata nel D.lgs. 62/2024 pone gli stessi interrogativi che riguardano la sfera dei servizi. Cosa compone il progetto – in termini di sostegni attivabili – e come si compone il budget di progetto? Se la prospettiva di tali strumenti si riduce alla mappatura delle risorse disponibili (servizi, interventi e contributi già presenti per le persone con disabilità), allora il solo valore aggiunto sarebbe rappresentato dall’integrazione dei diversi dispositivi in una visione unitaria. Tuttavia, ciò non potrebbe certamente garantire la personalizzazione concepita come perseguimento di un proprio disegno di vita legato ai desideri e alle caratteristiche della persona nel proprio contesto. Va infatti tenuto conto che il sistema di servizi già presente per le persone con disabilità, diverso tra le Regioni e le Province Autonome, è formulato e plasmato secondo le logiche della risposta al “bisogno”, della “protezione” e dell’“assistenza e riabilitazione” alle persone con disabilità, con un insieme di servizi che negli anni si è strutturato, è stato regolato e definito nel dettaglio operativo dei requisiti professionali, strutturali, di accessibilità e di attività: un sistema standardizzato, almeno su base regionale, pensato per erogare, in modo possibilmente equo, prestazioni codificate a “utenti” classificati. Come potranno questi servizi, con il loro apparato regolatore, rispondere alla sfida della massima personalizzazione, in cui l’esito del progetto è la definizione di un insieme di sostegni che possono cambiare da persona a persona nella loro composizione e intensità? Come sarà possibile affiancare a tale apparato interventi informali se sono posti sullo stesso piano in un progetto individuale? Dove trovare lo spazio di autodeterminazione per la persona in condizione di disabilità se le opportunità di intervento sono ridotte ad un numero di servizi codificato dai sistemi di accreditamento dei primi anni di questo millennio? Certamente il ricorso all’accomodamento ragionevole, come possibilità di adattamento di tali servizi alle esigenze particolari, può aprire una strada interessante; tuttavia, se i servizi sono soggetti a continui adattamenti per rispondere alla singola persona ne deriva che l’impianto normativo e organizzativo su cui sono fondati necessita di essere aggiornato.

Addentrandosi nello spirito della norma ci si chiede se questo vuoto normativo non rappresenti oggi un’opportunità e non richieda l’avvio di un cantiere, o di più cantieri, orientati a ridefinire l’idea stessa di “servizio” che possa essere attivato per e con la persona in condizione di disabilità. Il salto di paradigma nella valutazione multidimensionale e nella definizione della progettazione è esplicito; il salto di paradigma che deve affrontare il sistema dei servizi per garantire i sostegni immaginati è invece ancora troppo poco esplorato.

Da un lato va affrontato il percorso di innovazione che deve essere compiuto da chi eroga sostegni professionali. Secondariamente vanno definite le modalità con cui la partecipazione al progetto da parte di soggetti informali si inserisce in un processo organizzato, che ha esigenza di continuità e prospettiva. In terzo luogo vanno definite le modalità attraverso le quali la Pubblica Amministrazione può operare nell’alveo normativo, non solo riconoscendo forme di servizio che devono poter essere maggiormente flessibili, ma anche attribuendo le risorse pubbliche ai progetti attraverso il budget di progetto.

Con l’intento di stimolare questa riflessione, essenziale per l’attuazione concreta della riforma e di rilevante interesse per gli Enti del Terzo Settore, la Pubblica Amministrazione e le persone in condizione di disabilità, appare essenziale iniziare ad aprire un dibattito sul salto di paradigma del sistema dei servizi. Innanzitutto dichiarando apertamente che a regole date non si potrà rispondere alle sfide richieste. La parola “sostegno” pone l’enfasi non più sul servizio inteso come insieme organizzato di prestazioni, spesso afferente ad una struttura fisica identificata, quanto piuttosto all’identificazione di ciò che è funzionale ad accompagnare il progetto della persona in condizione di disabilità dentro i contesti reali di vita. In tal senso, esso può essere un supporto dedicato alle persone con disabilità, ma anche un intervento rivolto all’intera cittadinanza che necessita di essere adattato. Serve sostenere la persona nella sua capacità di autorappresentazione, nella sperimentazione di opportunità che le consentono di identificare ed esprimere desideri e preferenze; servono profili competenti nell’adattamento dei contesti per realizzare ciò che chiamiamo “accomodamento ragionevole”, declinando operativamente le possibilità di intervento; abbiamo necessità di operatori capaci di attivare risorse e sviluppare opportunità nei contesti di vita; dobbiamo costruire un nuovo linguaggio che renda possibile il dialogo tra il professionista e l’agente informale che co-affiancano la persona in condizione di disabilità nei propri percorsi di socialità, di lavoro, di istruzione e formazione, di esperienza abitativa.

Il servizio, o la rete dei servizi, è utile nella misura in cui si configura come un contesto organizzato dove si possono ritrovare l’insieme di queste competenze e, forse, di molte altre ancora da individuare. In questo senso il progetto non è più quindi una somma di prestazioni codificate che si integrano attorno alla persona, e che si portano dietro le risorse che le regolano (ad esempio in termini di retta per la frequenza al centro diurno o di contributo economico per l’assistente personale), bensì diviene lo strumento attraverso il quale le competenze di supporto alla persona con disabilità trovano una declinazione puntuale, e potenzialmente unica, in un mix composto di profili professionali, luoghi attivabili, adattamenti da realizzare, ausili e strumenti abilitativi, percorsi riabilitativi, prestazioni sociali e molto altro. Riconfigurare il nomenclatore dei sostegni diventa d’obbligo se vogliamo realizzare questa riforma. Ciò pone una sfida importante, sia per gli Enti del Terzo Settore che hanno trovato una loro configurazione, di organizzazione interna e di sostenibilità, basata sulla struttura dei servizi oggi presente; sia per gli operatori, che hanno sviluppato competenze e condizioni contrattuali collegate alla natura dei servizi oggi presenti; sia per la pubblica amministrazione, che nella definizione del budget di progetto deve allocare la risorsa pubblica sganciandola dalle caratteristiche del “sistema di offerta” (retta per posto) per renderla più flessibile attorno alle esigenze della “domanda” (budget per quella persona che si trova in quella condizione di disabilità).

Agire su più fronti

Le regole esistenti garantiscono i sistemi di intervento per gli Enti Accreditati che gestiscono i servizi e rassicurano la Pubblica Amministrazione che si muove in un perimetro normativo noto. Entrambe le esigenze restano legittime e vanno cercate quindi le strade operative per raggiungere da un lato la sostenibilità operativa e dall’altro la tranquillità amministrativa. Ignorare questi aspetti significa produrre resistenze operative, creando squilibri nella gestione e timori nell’assunzione di responsabilità personali nei procedimenti amministrativi.

Appare quindi necessario agire su più fronti: l’aggiornamento del sistema di regolazione dei servizi che ancori le risorse pubbliche allocate alla persona e al suo progetto, piuttosto che al singolo intervento/servizio previsto; l’utilizzo più esteso delle procedure collaborative previste nel Codice del Terzo Settore per co-costruire nuovi modelli di intervento e adottare un nuovo nomenclatore più coerente al tipo di sostegni che vengono oggi richiesti; lo sviluppo di reti di servizi che sappiano aggregare, su base territoriale, competenze differenziate e sviluppare collaborazioni ampie con la comunità locale, in grado di offrire opportunità aderenti alle diverse esigenze di ciascuna persona.

Alcune sperimentazioni territoriali, in contesti settoriali e territoriali specifici, stanno elaborando proposte e soluzioni possibili: l’uso del budget di salute nell’ambito della salute mentale già declinato in Linee Guida nazionali e in diverse delibere regionali può fornire un’indicazione su come modificare il percorso di allocazione delle risorse e sviluppare i processi di co-costruzione delle proposte nei progetti; molte azioni innovative e sperimentali che nelle Regioni italiane si sono affiancate ai servizi accreditati hanno già aperto strade per favorire gli accompagnamenti all’inclusione sociale e all’occupabilità che, con varie formule, nelle Regioni e Province Autonome prevedono percorsi differenziati nei contesti di vita, anche ad esempio per l’abitare autonomo. In alcuni casi tali sperimentazioni hanno richiesto lo sviluppo di una rete territoriale di servizi chiamando gli enti accreditati a riconoscersi e aggregarsi, si pensi ad esempio alle modalità attuative introdotte in alcune Regioni italiane per i progetti relativi alla Legge 112/2016, conosciuta come “legge Dopo di Noi”. Queste esperienze tuttavia sono spesso legate a singole linee di finanziamento o ad azioni che affiancano un servizio principale (domiciliare, diurno o residenziale) cui la persona con disabilità afferisce rivolgendosi tipicamente ad una specifica sfera di vita (lavorativa, sociale, riabilitativa,) piuttosto che avere una visione integrata del progetto personale.

Ora che il processo normativo si traduce in cambiamento nei processi, e nei diritti delle persone, resta quindi da scrivere l’ultima parte della norma: dare forma al concetto di sostegno, rendere esplicito che essere al servizio delle persone con disabilità non vuol più dire erogare ore a domicilio, fare trasporti, laboratori e costruire comunità come parti preordinate sui cui comporre i progetti; vuol dire sviluppare competenze capaci di riconoscere e far emergere le specificità della persona che si affianca, mediare con i contesti di riferimento, adattarli laddove ragionevole, inventare e allestire strumenti e supporti – formali e informali – che accompagnino la persona con disabilità nel suo percorso di vita. I processi di accompagnamento e le competenze che li caratterizzano diventano il nuovo servizio da sviluppare. Nei servizi esistenti possiamo quindi riconoscere la presenza di competenze spendibili, possiamo ritrovare strumenti per allenare e far sperimentare opportunità, possiamo, anche, ritrovare opportunità capaci di affrontare specifiche esigenze e necessità di abilitazione, assistenza e accudimento. Ma abbiamo bisogno di andare oltre l’esistente, di trasformarlo nella sua finalità più profonda, ricostruendo una nuova idea di “sistema di offerta” maggiormente orientato ai fini che persegue per le persone con disabilità, e di ripensare alle modalità di riconoscimento economico dei servizi.

Le tante e diverse iniziative che si sono sviluppate nelle Regioni e nelle Province Autonome stanno rappresentando delle occasioni fondamentali per uscire dagli schemi di servizio tradizionali e sperimentare nuovi ruoli, sia per le persone con disabilità e i loro famigliari, sia per gli operatori. E’ tempo di iniziare a rappresentare queste esperienze, apprendere le innovazioni che stanno introducendo, analizzarne le caratteristiche ed i costi, per dare corpo e forma a questo pezzo importante del nuovo disegno e formare il sistema di competenze e le capacità necessarie ad accompagnare i processi trasformativi attesi.

È tempo di avviare i cantieri che delineino il pezzo di riforma che resta da scrivere.

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