Un’ora alla settimana

L’assistenza domiciliare nella legge di bilancio 2026


Sergio Pasquinelli | 5 Dicembre 2025

La legge di bilancio in via di approvazione stabilisce un importante livello essenziale delle prestazioni sociali, quello che riguarda l’assistenza domiciliare1. In realtà non si tratta di un Leps nuovo, in quanto già delineato negli ultimi tre anni (si veda Pesaresi qui e qui). La novità sta nel passaggio dalla dimensione narrativa a quella deterministica, per usare la terminologia di Michelangelo Caiolfa2. E cioè il fatto di associare a questo livello essenziale dei numeri, un parametro erogativo certo.

Questo parametro viene stabilito in un’ora di assistenza da garantire alla popolazione anziana non autosufficiente. Testualmente “un’ora settimanale di assistenza domiciliare da parte dei servizi socio assistenziali per le persone non autosufficienti, da modulare in funzione della consistenza della platea dei beneficiari, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente nei bilanci degli enti” (art. 126, comma 2, lettera c).

Al netto della vaghezza su cosa si intenda per non autosufficienti (tutti? alcuni? quali?) la fissazione di un tale livello – ancorché “da modulare” – segna un salto rispetto al passato, popolato da Leps più teorici che reali, presentati in termini definitori ma, il più delle volte, senza obiettivi di servizio e soglie da raggiungere. Il passaggio verso una dimensione numerica tangibile, anche dal cittadino-utente, rappresenta certamente un passaggio positivo, importante. E tuttavia i problemi posti da una siffatta determinazione sono gravi. Ecco la mia sintesi.

Problema di rilevanza. Perché garantire così poco (1 ora alla settimana) a una platea così vasta (gli anziani non autosufficienti in Italia sono 3,9 milioni)? Dare poco a tanti, sbriciolare un servizio così prezioso su una platea così vasta pone un interrogativo sulla sua rilevanza, a livello individuale e collettivo. Quanti anziani fragili, che hanno bisogno di assistenza, ne hanno bisogno per una sola ora alla settimana? Quale impatto può avere un intervento simile? Conosciamo da molto tempo i limiti dei servizi domiciliari sociali agli anziani, i SAD dei Comuni. Tra cui il fatto di essere un sistema chiuso, distante dal lavoro privato di cura (badanti) e poco o per nulla connesso all’assistenza domiciliare delle Asl (ADI). Qui si tira diritto, ripetendo lo stesso errore fatto proprio con l’ADI, cioè quello di ampliare l’esistente, senza modificarlo: more of the same. Sappiamo oggi cosa ha portato lo sforzo di coprire il 10% della popolazione anziana: la riduzione da 18 ore all’anno in media per utente, in epoca pre-Covid, alle attuali 13. Less of the same.

Problema di equità. Perché fissare la stessa intensità di prestazione (un’ora) per una popolazione che presenta forme e gradi di bisogno del tutto diversi? È la stessa critica mossa all’indennità di accompagnamento: parti uguali fra diseguali. Un approccio profondamente iniquo. Con “un’ora alla settimana a tutti i non autosufficienti” siamo all’apogeo della semplificazione, un po’ come dire “diamo 100 euro a tutti i poveri”. Salvo poi “modulare” questo parametro, cioè aumentarlo (difficile diminuirlo). A un pubblico così vasto? L’assistenza domiciliare sociale agli anziani non è un servizio nuovo, esiste dagli anni Settanta del secolo scorso, lo conosciamo bene nelle sue diverse caratteristiche, lo abbiamo analizzato, lo abbiamo seguito nel tempo, sappiamo che ha un tasso di copertura limitato: l’1,4% della popolazione ultra 65enne. Perché non si parte da qui, ponendo degli obiettivi graduali di crescita al 2, poi al 3, al 4 per cento e così via? Sarebbe una via più realistica. Un’estensione cui si dovrebbe accompagnare una profonda rimodulazione dei contenuti di questo servizio, della sua durata e intensità, delle sue possibilità di integrarsi con l’ADI delle Asl.

Problema di fattibilità. La legge di bilancio non prevede stanziamenti: fissa un parametro da rispettare a risorse invariate. Per poi aggiungere che entro il 30 giugno dell’anno prossimo verranno individuati i livelli di spesa di riferimento. Forse non c’è bisogno di sei mesi per capirne la portata. Gli anziani non autosufficienti sono quasi quattro milioni, ma gli anziani con “gravi” limitazioni funzionali sono 1,8 milioni. Limitiamoci a loro. Se tutti questi richiedessero 1 ora alla settimana di assistenza domiciliare la spesa si aggirerebbe intorno a 2,1 miliardi di euro all’anno. Al netto di quanto già si spende per i SAD (350 milioni) l’applicazione di questo Leps richiederebbe 1,75 miliardi di euro in più3. E poi ci sono i costi tecnici e amministrativi collegati: valutazione dei casi, definizione delle prestazioni, coordinamento, monitoraggio. Non meno di ulteriori 100-120 milioni.

Da dove arriveranno questi fondi? Perché dichiarare un livello essenziale così e dire che va applicato nell’invarianza delle risorse risulta, a dir poco, velleitario.

Per concludere. Il Leps domiciliarità in legge di bilancio contiene una notizia buona e alcune cattive. Per giugno è previsto un Dpcm che potrebbe precisarne i contenuti. Il tempo ci dirà se rimarremo a una dichiarazione di intenti; se verrà reso esigibile e con quali fondi; oppure se diventerà il primo passo verso un nuovo sistema di garanzie per la popolazione anziana fragile, da costruire nei suoi elementi fondativi (come prefigura la legge 33/2023), non con la riproposizione di qualcosa di noto, e superato, su scala più ampia. L’auspicio è che si crei ora il tempo e lo spazio per allestire servizi domiciliari per il long term care, ad oggi assenti. I criteri da seguire sono conosciuti, largamente condivisi, elaborati più di recente dal “Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza” qui e da un rapporto Ocse qui.

  1. Sui Leps nella nuova legge di bilancio si veda Laura Pelliccia qui.
  2. M. Caiolfa, Il futuro dei LEPS, in “Prospettive Sociali e Sanitarie”, n. 1-2, 2025.
  3. Stime analoghe si possono fare su scala territoriale. Per esempio a Milano gli anziani “gravi” sono stimabili in 40.000, in una città che spende per l’assistenza domiciliare circa 18 milioni di euro. Il fabbisogno aggiuntivo sarebbe di 50 milioni di euro all’anno.