Ai caregiver meno mance e più servizi


Questo articolo è stato pubblicato anche su Lombardiasociale.it

 

Il travagliato iter del Fondo Nazionale per i caregiver

Tira brutti scherzi il cosiddetto “universalismo selettivo” se diventa molto selettivo, al punto da toccare una discutibile arbitrarietà. È il caso del Fondo nazionale per i caregiver.

Chi sono i caregiver familiari? Sono coloro che si prendono cura, aiutano, assistono un parente fragile: un anziano non autosufficiente, una persona con disabilità, un malato cronico, un soggetto con problemi di dipendenza. Secondo Istat in Italia i caregiver familiari sono oltre sette milioni, in maggioranza donne comprese tra i 45 e i 64 anni d’età, con un livello di impegno evidentemente molto diverso: per questo si parla della figura di “caregiver primario”, ossia di chi si occupa quasi quotidianamente del familiare. In questo caso il numero di persone interessate si dimezza.

Ebbene, la legge di bilancio del 2018 ha istituito un Fondo a favore di questa figura con 20 milioni annui per quello e i successivi due anni. Questi fondi, in mancanza di una norma che ne regolasse l’uso, sono rimasti in questi anni in un cassetto.

 

Intanto alcune Regioni si sono dotate di una legge sui caregiver che ne riconosce presenza e funzioni: Emilia-Romagna, che ha fatto da apripista, Campania e Abruzzo, mentre, come di seguito descritto, in Lombardia è stata promossa, con successo, una campagna di raccolta firme volta alla presentazione di una Legge di iniziativa popolare.

Gli interventi concreti generati da questi atti sono ancora tutti da valutare, stante anche la generale assenza di stanziamenti dedicati. Nel frattempo (agosto 2019) è stato presentato un disegno di legge nazionale a firma di diversi gruppi parlamentari (d.d.l. Nocerino), proposta che costituisce un progresso significativo sul riconoscimento di questa figura, ma che attualmente langue in una Commissione del Senato.

La legge di  bilancio per il 2021 ritorna sul Fondo nazionale, riconoscendo “un contributo economico mensile di massimo 500 euro, per gli anni 2021, 2022 e 2023, alle madri disoccupate o monoreddito che fanno parte di nuclei familiari monoparentali con figli a carico aventi una disabilità superiore al 60%”.

Ora, il legislatore nazionale aveva due possibilità: ripartire i fondi tra le Regioni, che avrebbero potuto scegliere tra sostenere dei servizi, avviarne di nuovi o erogare somme di denaro; oppure decidere centralmente un criterio arbitrario di riparto per tutto il Paese. Questa seconda strada, la pioggia di soldi senza nessuna tracciabilità, è stata quella intrapresa, vincolandola a una serie di criteri del tutto arbitrari e di dubbia costituzionalità: perché le madri e non anche i padri? Perché una disabilità superiore al 60%? Perché solo nuclei monoparentali? E perché (solo) un massimo di 500 euro?

Ma soprattutto, esattamente, a che cosa dovrebbero servire questi soldi?

 

L’Italia che aiuta chiede servizi

In un’indagine nazionale svolta su un campione non probabilistico di 1.000 caregiver familiari, che abbiamo condotto nei mesi duri del lockdown, tra aprile e maggio scorsi, è emersa tutta la fatica dell’attività di cura. Per quasi la metà dei caregiver (45%) l’emergenza Covid ha aumentato il carico di aiuto. Per che cosa? Principalmente per offrire compagnia: un dato che fa riflettere sul livello di solitudine di moltissime situazioni, dove il bisogno, prima che pratico (fare la spesa, fare lavori domestici e così via) è quello di avere una persona vicina, che sia lì, presente. Parliamo di aiuto relazionale, psicologico, emotivo, che risulta più diffuso rispetto ad altre esigenze più concrete, e che sembra ridimensionare l’importanza dell’aiuto a distanza, di cui si è parlato molto in queste settimane.

Questo è, fra tutti, il dato che ci ha colpito di più. Nelle domande sugli aiuti possibili siamo sempre stati abituati a risposte che danno un primato agli aiuti monetari, meglio se liberi da vincoli. Qui troviamo una risposta diversa. Al primo posto i caregiver chiedono servizi come la spesa e farmaci a domicilio, aiuti vari negli atti della vita quotidiana, assistenza nella mobilità anche fuori casa, e così via. Insomma, quei servizi domiciliari che molti di loro, anche prima del coronavirus, non hanno mai visto. Lo desidera quasi metà di loro.

 

La proposta di legge della Lombardia

Quello dei servizi o, meglio, di una loro maggiore conoscenza, accessibilità, utilizzo da parte dei cittadini non autosufficienti e dei familiari che si prendono cura di loro, è il tema al centro della Legge d’iniziativa popolare dedicata al Riconoscimento e sostegno dei caregiver della Lombardia.

La legge, redatta e promossa dalle principali organizzazioni che si occupano del tema della cura, è stata l’oggetto di una campagna di informazione, diffusione e raccolta delle firme necessarie alla sua presentazione al Consiglio regionale della Lombardia.  Nonostante l’emergenza pandemica e le relative misure restrittive, la campagna si è comunque conclusa con successo e, nelle intenzioni degli enti promotori, dovrebbe essere il preludio all’approvazione in Lombardia di una normativa sui caregiver (www.iosonocaregiver.it).

 

Come anticipato, al confronto con altre legge regionali, in questa si pone forte l’accento sulla necessità di sviluppare un sistema territoriale ancor più accessibile alle famiglie coinvolte nei compiti di cura e, allo stesso tempo, di promuovere ulteriore informazione e formazione nei confronti degli stessi caregiver, affinchè l’incontro tra bisogni e risposte non avvenga troppo tardi. L’obiettivo primario è quello di promuovere processi reali di orientamento, presa in carico, accompagnamento, appropriatezza, evitando che queste restino solo parole d’ordine senza un’effettiva declinazione territoriale e impatto sulle vite delle tantissime famiglie oggi toccate, e spesso travolte, dal tema della cura.