Le pensioni di vecchiaia e anzianità in Italia


Roberto Artoni | 5 Maggio 2023

Con questo articolo l’autore prosegue l’analisi sul sistema pensionistico iniziata con l’articolo Le pensioni di vecchiaia e anzianità in Italia e in altri Paesi europei, esaminando la distribuzione dei benefici per classi di reddito. Infine, nell’ultima parte che verrà pubblicata nei prossimi giorni, utilizzando le proiezioni elaborate a livello governativo, l’autore delinea le prospettive per i prossimi anni.

L’ammontare delle pensioni di vecchiaia e anzianità erogate in un certo anno è il risultato di molti fattori, riconducili, da un lato, alla progressiva applicazione di norme varate nel corso del tempo e, dall’altro, all’evoluzione demografica e all‘andamento macroeconomico.

Negli ultimi decenni sono state introdotte in Italia importanti modifiche legislative che hanno rallentato la dinamica della spesa. È stata eliminata l’indicizzazione ai salari delle pensioni in essere, limitandola, con qualche eccezione, alla crescita dei prezzi. È stato progressivamente introdotto il calcolo contributivo delle prestazioni, commisurate sia ai contributi pagati, sia alla speranza di vita del pensionato. È stata innalzata, salvo qualche ripensamento, l’età di pensionamento di vecchiaia e anzianità.

Gli effetti demografici e macroeconomici, insieme agli effetti delle riforme, possono essere interpretati e quantificati utilizzando una scomposizione ampiamente utilizzata nella letteratura. Con questa scomposizione si evidenziano i fattori che incidono sul livello relativo della spesa pensionistica1.

La spesa pensionistica in termini di prodotto interno dipende:

  • dal rapporto fra numero di pensioni e numero di anziani;
  • dall’incidenza della popolazione anziana sul totale;
  • dal tasso di attività, pari al rapporto fra il numero di occupati e la popolazione;
  • da un indice di sostenibilità economica misurato dal rapporto fra pensione media (SP/Np) e prodotto per occupato.

Questa elaborazione evidenzia il peso che i diversi fattori, opportunamente quantificati, svolgono nella determinazione della spesa pensionistica. Se riferita al passato, l’analisi può dar ragione delle cause delle variazioni del rapporto fra spesa e PIL o delle prospettive, se rivolta al futuro. Il contributo di ogni elemento della relazione è dato dalla sua variazione ponderata per il livello medio delle altre componenti nell’arco di tempo considerato.

Noi analizzeremo i dati relativi al 2019 e al 2012, per poi dare ragione dell’evoluzione della spesa nel passato e, nel paragrafo successivo, per accennare alle previsioni per il futuro (vedi Tabella 4).

Tab. 4: Pensioni di vecchiaia, invalidità e superstiti nel 2012 e 2019
  Vecchiaia Invalidità Superstiti
numero Importo medio annuo Importo totale (md) numero Importo medio annuo Importo totale (md) numero Importo medio annuo Importo totale (md)
Fonte: Inps
2012
Fpld 5524 14280 78883 1009 9394 9479 2675 7240 19367
Inpdap 2150 25001 53752 22 7921 170 641 12147 7786
Cd 1149 8019 9211 252 4570 1152 372 4240 4519
Art 1124 11672 13124 127 8970 1139 345 6500 2243
Comm 1002 10452 10469 99 6630 656 274 5234 1434
Separate 282 37738 10642 109 28600 3117 68 18926 1287
Ferrovie 160 29000 3915 1 24000 24 71 21000 1400
Poste 107 19000 2083 7 4000 31 26 11000 2750
Totale 11498   182079 1626   15768 4472   40786
2019
Fpld 5058 17186 86927 613 9394 5759 2322 8748 20313
Inpdap 2133 28557 60913 220 24504 5391 643 14500 9324
Cd 920 9154 8422 26 6547 170 208 6000 1248
Art 1206 13329 16075 26 8903 231 432 7166 3096
Comm 1041 13729 14292 70 8471 593 322 6524 2101
Separate 265 41315 10948 14 23333 327 107 20300 2172
Ferrovie 148   4019 2 110 39 63 15 911
Poste 117   2456 6 18 110 32 12 366
Totale 10888   204052 977   12620 4129   39530

Nel 2012 l’economia italiana subiva ancora gli effetti della doppia crisi, finanziaria nel 2008 e del debito sovrano del 2011. Nell’arco di tempo che va dal 2014 al 2019 la crescita media del PIL italiano in termini reali è stata pari all’1%, un tasso sensibilmente inferiore a quello degli altri Paesi europei. Il biennio successivo al 2019 è difficilmente interpretabile per gli effetti dirompenti della pandemia.

Spesa pensionistica

La spesa pensionistica cui facciamo riferimento è costituita dalla somma delle erogazioni previdenziali per vecchiaia e anzianità erogati dal FPLD (Fondo pensioni lavoratori dipendenti), delle gestioni dei dipendenti pubblici ex Inpdap, delle prestazioni a favore dei lavoratori autonomi (coltivatori diretti, artigiani, commercianti e liberi professionisti), dei fondi destinati agli addetti delle ferrovie e delle poste e delle gestioni che assicurano alcune categorie di lavoratori (fra cui i dirigenti d’impresa) operanti separatamente nell’ambito del FPLD.

Queste prestazioni, 10,9 milioni, sono ammontate nel 2019 a 204 miliardi, pari all’11,4% del PIL. Nell’analisi comparata avevamo visto che la pension expenditure calcolata da Eurostat ammontava all’12,8 del pil. La RGS ha individuato circa 0,6 punti di spesa che inserite nella stima di Eurostat non devono essere considerate erogazioni pensionistiche (in particolate, il TFR destinato agli anziani). Nella stima europea sono poi comprese assegni e pensioni sociali per 0,2 punti di PIL. Non abbiamo poi tenuto conto di altre erogazioni (a favore dei subordinati e di altre categorie di dimensioni minori, oltre che di fondi volontari)2. Tenendo conto di queste correzioni, la nostra stime della spesa di pensioni a carico delle gestioni più importanti del nostro sistema (per una percentuale vicina al 98% di tutte le pensioni Inps per vecchiaia e anzianità) e il dato elaborato da Eurostat sembrano del tutto coerenti.

Calcolata secondo criteri omogenei, la spesa per vecchiaia e anzianità nel 2012 è stata pari a 182 miliardi, corrispondenti all’11,3% del PIL; nel 2019 la spesa ha raggiunto i 204 con un incremento solo marginale in termini di prodotto.  marginalmente inferiore a quello del 2019. Per i lavoratori dipendenti la spesa in termini relativi ha raggiunto il 9,9 % del PIL nel 2019 contro il 9,8 del 2012.

Dato che in questi anni state applicate innovazioni normative o sono giunte a maturazione riforme varate nei decenni precedenti, le varie determinanti della spesa complessiva, su cui ci soffermiamo in seguito, hanno prodotto effetti in aumento o diminuzione delle erogazioni, compensandosi di fatto. Possiamo qui ricordare che nelle stime della RGS gli effetti delle innovazioni legislative sono valutati in due punti di PIL dal 2000, uno dei quali attribuibile al passato decennio3.

Il numero delle pensioni di vecchiaia e anzianità

Il numero delle pensioni erogato nell’ambito delle gestioni cui facciamo riferimento è stato pari a 10,9 milioni, in sensibile calo rispetto a sette anni prima quando le erogazioni erano state 11,6 milioni.

Il calo del numero di pensioni è stato determinato dall’aumento dell’età di pensionamento, che si è riflesso nel numero delle pensioni liquidate in ogni anno. Pur con oscillazioni determinate dal blocco o dall’apertura dei canali di pensionamento, nel periodo 2012–2019 sono state liquidate 2,8 milioni di pensioni con una media annuale di 340.000. L’entità delle pensioni cessate ha portato, come visto, alla diminuzione di 600.000 unità. Il Rapporto Annuale dell’Inps ci dice che nel 2019 l’età media di pensionamento per vecchiaia e anzianità era 64 anni contro i 60 dell’inizio del secolo.4 Se isoliamo le pensioni destinate ai lavoratori dipendenti, il rapporto fra pensioni e anziani è sceso da 66 a 56% dipendenti.

La diminuzione delle pensioni di vecchiaia è parte della complessiva contrazione dell’intero comparto IVS. Le pensioni IVS per mille occupati sono scese da 828 nel 2012 a 766 nel 2019; in particolare, è stata rilevante la caduta delle pensioni d’invalidità, nel 2019 di poco superiori al milione.

Nel periodo da noi considerato è aumentata la quota di popolazione ultra sessantacinquenne (dal 20,8 al 22,9%) di una popolazione rimasta praticamente ferma a un livello di poco inferiore ai 59 milioni.

La ricomposizione della struttura per età della popolazione ha fatto peraltro variare in misura molto più contenuta il rapporto fra pensioni di vecchiaia e popolazione, da 193 a 182 per mille abitanti. Per i lavoratori dipendenti il rapporto è sceso da 137 nel 2012 a 127 nel 2019.

Tornando alla nostra scomposizione della spesa pensionistica, possiamo osservare che i primi due elementi della relazione (che incorporano sia le modifiche legislative dell’età di pensionamento, sia l’evoluzione demografica) hanno prodotto effetti limitati sulla dinamica della spesa.  L’età di pensionamento spostata sensibilmente in avanti, con effetti sul numero delle pensioni, è stata in buona misura compensata dall’incremento della quota di anziani nel quadro di una popolazione aumentata solo marginalmente.

Il tasso di attività e il prodotto pro capite

La stima del tasso di attività richiede che si individui preliminarmente l’aggregato rilevante. Dato il totale degli occupati, si distinguono al loro interno gli occupati regolari e quelli non regolari. Nelle due componenti cosi individuate, si stimano gli occupati dipendenti e quelli indipendenti.

Per i nostri fini, data la connessione fra percezione della pensione e versamento dei contributi nella vita lavorativa, crediamo che in una prima elaborazione si debba fare riferimento al numero degli occupati regolari, dipendenti e indipendenti, e all’importo delle pensioni per vecchiaia e anzianità erogate. Una seconda elaborazione riguarda i lavoratori dipendenti: la pensione media à pari al rapporto fra l’importo complessivo delle pensioni loro destinateti e il numero di occupati, pubblici e privati. Il calcolo del prodotto per occupato riflette l’ipotesi oggetto d’esame.

Nel caso del totale degli occupati regolari la pensione media di vecchiaia e anzianità è aumentata nell’arco di 7 anni del 18% contro un incremento del prodotto per occupato del 13%. Se ci riferiamo agli occupati dipendenti e alle pensioni erogate in questa categoria il rapporto fra pensione media e prodotto medio per occupato è ancora pari al 18%, mentre il prodotto per occupato è aumentato del 10 per cento. Negli anni da noi esaminati, i dati ISTAT indicano una diminuzione dell’occupazione totale regolare di 240 mila unità associata a un incremento di quasi 200 mila del numero dei dipendenti.

Possiamo indicare le possibili cause che spiegano la crescita più sostenuta delle pensioni pro capite rispetto o al prodotto pro capite o al reddito da lavoro dipendente per occupato cresciuto all’11% in linea con il PIL.

Un primo elemento è costituito dalla mediocre crescita del prodotto interno lordo nel secondo decennio di questo secolo. Le pensioni progressivamente liquidate pensioni sono state il riflesso di storie passate, meno negative in termini di crescita. D’altro canto, i provvedimenti adottati a partire dal 1994 e orientate al contenimento della dinamica delle pensioni non hanno ancora prodotto pienamente i loro effetti. Come prima indicazione delle tendenze future, il livello medio delle pensioni liquidate nel biennio 2018-2019 è stata inferiore a quello delle pensioni vigenti, delineando andamenti che si dovrebbero rafforzare in futuro.

Risulta anche evidente che i problemi di controllo della dinamica della spesa sociale in generale, e di quella pensionistica in particolare, derivano anche da andamenti macroeconomici mediocri in termini assoluti, e relativi se paragonati ai tassi di crescita degli altri paesi. In Italia, come abbiamo già osservato, il tasso di crescita in termini relativi è stato inferiore.

Conviene anche distinguere nella dinamica della pensione pro capite la componente reale da quella nominale. La RGS nella più recente pubblicazione ha stimato che nel periodo 2000-2021 (un intervallo più ampio di quelle da noi esaminato) la spesa pensionistica è cresciuta a un tasso medio del 2,8%5. L’incremento è scomponibile nella componente derivante dall’indicizzazione dei trattamenti, pari a circa l’1,6%, e nella parte restante risultante dal saldo fra le nuove pensioni liquidate e le pensioni eliminate, oltre alla ricostituzione delle pensioni in essere, per un valore medio dell’1,2% quando nel quinquennio la crescita reale media del PIL è stata l’1% nel quinquennio 14-19 secondo i dati OECD. Si tratta di una crescita reale delle pensioni certamente apprezzabile, ma che deve essere confrontata con il modesto sviluppo del nostro sistema e la stagnazione dei salari dell’ultimo periodo della storia economica del nostro paese. Esistono certamente problemi di regolazione della spesa pensionistica, ma i problemi sono accentuati da politiche economiche che si sono rivelate inadeguate.

La distribuzione dei trattamenti

Oltre che per il livello e la variazione della spesa complessiva, le pensioni di vecchiaia e anzianità devono essere valutate per la distribuzione dei trattamenti, al lordo e al netto dell’imposta personale, fra i beneficiari. Integriamo in questo paragrafo l’analisi di Eurostat sull’adeguatezza del sistema pensionistico, su cui ci siamo già soffermati.

Nella tabella 5 le pensioni di vecchiaia e anzianità sono ripartite per categoria e importo. Emerge l’elevato numero di pensioni di importo inferiore ai 1000 euro mensili, il 36% del totale concentrate soprattutto nei lavoratori autonomi. Le pensioni comprese fra 1000 e i 2000 euro coprono la stessa percentuale del totale. Le pensioni superiori ai 2000 euro lordi mensili sono dunque il 28% del totale, con l’8% superiore ai 3000 euro. I trattamenti elevati sono concentrati nei dipendenti pubblici e in alcune delle gestioni separate dell’INPS.

Tab. 5: Sintesi
Fonte: Inps
    SP/PIL Np/Nx Nx/POP POP/OR (SP/Np)/(PI/(OR) (SP/Np) PIL/Or
Spesa pensionistica totale e occupati totali regolari 2012 0,113 0,93 0,208 2,64 0,222 16 71
2019 0,114 0,79 0,229 2,68 0,233 19 81
Spesa pensionistica per dipendenti e spesa pensionistica per occupati dipendenti regolari 2012 0,093 0,66 0,208 3,52 0,191 18 95
2019 0,092 0,56 0,229 3,49 0,204 21 105

Le pensioni erogate si riflettono sulla situazione finanziaria delle singole gestioni determinata essenzialmente dal numero degli iscritti rispetto al numero delle pensioni e dal gettito contributivo. Il FPLD, cui fa capo circa il 50% dei trattamenti previdenziali IVS, registrava nel 2019 un rapporto iscritti pensioni pari a 1,70 con un’eccedenza di contributi rispetto alle pensioni di circa 6md.  Il FPLD e la gestione commercianti sono le uniche in cui il rapporto prestazioni contributi era inferiore all’unità nel 20196.

Nella tabella 6 il riferimento è ai pensionati e non alle pensioni; si tiene cioè conto del fatto che un anziano può percepire più di una pensione (tipicamente una pensione di vecchiaia e una di reversibilità). In questa tabella sono inserite anche le pensioni assistenziali e quelle indennitarie per un totale di 294 miliardi, quando le pensioni IVS ammontavano nel 2109 a 204 miliardi, all’interno delle quali l’importo delle pensioni di vecchiaia e anzianità era 204 miliardi. Nell’analisi dei redditi pensionistici si conferma il forte peso numerico dei percettori di redditi mensili inferiori ai 1000 euro (il 33% cui va il’13% delle erogazioni); il numero elevato riflette l’inserimento nel computo delle pensioni assistenziali. I redditi pensionistici compresi fra 1000 e 2000 euro sono il 40% del totale e percepiscono il 37% dell’importo complessivo. La parte residua (27% per numero e 50% per importo erogato) è destinato ai percettori di redditi pensionistici mensili superiori ai 2000 euro mensili lordi.

Tab. 6: Ripartizione per categoria e importo delle pensioni di vecchiaia e anzianità nel 2021
Fonte: Inps
  <1000 1000/1500 1500/2000 2000/3000 >3000 tot
Privati 1879 987 1128 1113 560 5667
Dipendenti pubblici 109 344 563 929 333 2278
Lavoratori autonomi 2138 862 397 221 71 3689
Libero professionista 134 18 13 19 44 228
Totale 4260 2211 2101 2282 1008 11862

Nella valutazione della distribuzione dei trattamenti si deve tenere, conto, come abbiamo osservato in altro contesto, dell’imposta personale applicata a questa categoria d reddito. Nelle stime del MEF, l’IRPEF derivante dai redditi pensionistici è ammontata nel 2019 a 49 miliardi; in altri termini, supponendo come è ragionevole, che solo le pensioni di vecchiaia siano di fatto oggetto di imposizione personale, ne deriva che circa il 20% dei trattamenti di vecchiaia e anzianità è restituito via IRPEF.

Ovviamente, il carico fiscale è crescente al crescere del reddito. Per stimare la distribuzione dell’imposta per classi di reddito, non è opportuno soffermarsi sulle aliquote legali, che nel 2019 andavano dal 23% per redditi fino a 15000 euro al 41 per redditi di 75000 euro (al là di questo importo il numero di redditi pensionistici è molto contenuto). È invece utile fare riferimento all’aliquota effettiva, ottenuta facendo il rapporto fra l’imposta dovuta, dopo aver applicato le detrazioni e le deduzioni riconosciute, e il reddito lordo, prima cioè dell’IRPEF. Sempre facendo riferimento alle stime del MEF l’aliquota effettiva media sale dal 5% per redditi nella fascia fra 500 e 999 euro mensili fino al 27% per redditi compresi fra 60 e 75 mila euro. L’applicazione delle aliquote effettive, rispetto a quelle legali, rende plausibile, anche se forse non giustificabile sul piano equitativo, il carico fiscale sui redditi pensionistici più bassi (un reddito mensile di 1000 euro si riduce a 959). Si attenuano altresì le differenze esistenti fra gli imposti medi al crescere dei redditi pensionistici. Un reddito pensionistico al lordo di 2000 euro si riduce con un’aliquota effettiva del 20% si riduce a 1600 euro netti.

Sintesi

Dal 2012 al 2019 il rapporto fra pensioni di anzianità e vecchiaia e prodotto è rimasto sostanzialmente invariato sia che si considerino gli occupati regolari totali, sia solo i lavoratori dipendenti (tabella 7). L’invarianza è il risultato di andamenti differenziati delle determinanti della spesa. Alla diminuzione del numero delle pensioni, ha corrisposto un sensibile invecchiamento della popolazione, che si è tradotto in una contenuta diminuzione del rapporto fra numero delle pensioni e popolazione complessiva. Il tasso di attività ha registrato modeste oscillazioni, di segno opposto per gli occupati regolari e i lavoratori dipendenti. Variazioni più significative sono venute dall’incremento del valore della pensione media in termini di prodotto per occupato. In ultima analisi, l’invarianza della spesa in termini di prodotto è stato il risultato di due fattori contrapposti: da un lato, l’innalzamento dell’età di pensionamento e, dall’altro, l’incremento dell’importo medio della pensione di vecchiaia e anzianità.

Tab. 7: Distribuzione dei reddito pensionistici per importo lordo  nel 2019
Fonte: Inps
  numero %   imp. medio   imp. comp %
<500  1598890 10,3   3415   5461 1,9
500-999 3596773 23,2   8761   31509 10,7
1000-1499 3296979 21,3   14988   49416 16,8
15000-1999 2860345 18,5   20772   59414 20,2
2000-2499 1818548 11,8   26760   48664 16,5
2500-2999 113971 6,6   32663   33119 11,3
>3000 1277071 8,2   52885   66772 22,7
TOT 15426177 100,0   19037   294257 100,0
  1. La spesa pensionistica (SP) in termini di prodotto interno (PIL) dipende: dal rapporto fra numero di pensioni (Np) e numero di anziani (Nx); dall’incidenza della popolazione anziana (Nx) sul totale (Pop); dal tasso di attività, pari al rapporto fra il numero di occupati (O) e la popolazione (Pop); da un indice di sostenibilità economica misurato dal rapporto fra pensione media (SP/Np) e prodotto per occupato (PIL/O). SP/PIL=Np/Nx*Nx/Pop*Pop/O*(SP/Np) /PIL/O). Cancellando tutti i termini che compaiono al numeratore e al denominatore del lato destro si ottiene il rapporto posto al lato sinistro
  2. INPS, Rendiconto generale 2019, vol I, pag. 404
  3. RGS, Tendenze 2022, p. 84
  4. INPS Rapporto Annuale 2019. Tav. 4.11, p.279.
  5. Tendenze 2022, p.371
  6. Rendiconto Generale 2020, Vol.I, p.146