Dalla Vienna Rossa al “New Social Housing”

Un modello di welfare abitativo tra nostalgia e trasformazione


Constanze Wolfgring | 5 Dicembre 2023

Il modello viennese in cifre

Vienna è considerata la capitale europea dell’edilizia sociale, e le cifre sembrano giustificare questa valutazione: circa un quarto della popolazione della città (di due milioni abitanti) vive in uno dei circa 220.000 alloggi di edilizia pubblica (il cosidetto Gemeindebau) – alloggi costruiti, gestiti e sostenuti della città nell’arco di un secolo. A questi si aggiunge un altro 18,5% della popolazione, che vive in uno dei circa 185.000 alloggi sovvenzionati (il cosidetto Geförderter Wohnbau), costruiti e gestiti da associazioni edilizie senza scopo di lucro, sovvenzionate con fondi pubblici. Complessivamente, il 42,6% del patrimonio abitativo fa parte del patrimonio di edilizia sociale (Statistik Austria 2023), un patrimonio quasi totalmente in affitto, ed a canone calmierato. L’affitto medio mensile in questo segmento è di € 6,4/m² (edilizia pubblica) e € 7,3/m² (edilizia sovvenzionata) (Bauer 2018), ciò che rende l’abitare a Vienna molto più abbordabile rispetto a molte altre capitali europee. Il fatto che quasi la metà della popolazione viennese viva in alloggi sociali significa anche che  – a differenza del contesto italiano  – questi alloggi non sono destinati esclusivamente ai gruppi più poveri e marginali della cittadinanza (e, di conseguenza, stigmatizzati), ma sono accessibili ad ampie fasce della popolazione e quindi presentano un ampio mix sociale. Ciò si riflette anche nella distribuzione spaziale dei complessi residenziali pubblici, che si trovano in tutti i 23 distretti della città (anche se in misura più consistente nei distretti più grandi, che sono allo stesso tempo quelli più periferici).

È importante notare che l’ampia presenza di alloggi sociali è una peculiarità locale – viennese – che non può riguarda nella stessa misura il resto del paese, dove la quota di alloggi sociali ammonta al 23,5% dello stock (un valore comunque elevato rispetto ai 4% in Italia). Inoltre, Vienna è una città di affittuari, con circa il 76% della popolazione in affitto, rispetto al dato medio nazionale del 42%. L’Austria, infatti, è un paese in cui la proprietà della casa – e in particolare della casa unifamiliare – costituisce uno degli obiettivi sociali e individuali più forti e radicati.

Un’altra differenza riguarda le traiettorie politiche: mentre al governo nazionale in Austria si sono alternati cancellieri socialdemocratici e cristiano-democratici, la città di Vienna ha una lunga e molto stabile tradizione strettamente socialdemocratica. Fin dalla dissoluzione della monarchia austro-ungarica dopo la prima guerra mondiale, i sindaci della città sono sempre stati socialdemocratici (con la sola eccezione del periodo austrofascista, nel 1934-1938, e nazista, nel 1938-1945), e fu proprio uno sforzo di riforma del partito socialdemocratico – sotto il titolo di “Vienna Rossa” – a creare le basi per il modello viennese di edilizia sociale, più di cento anni fa.

Un secolo di edilizia sociale

All’inizio del Novecento, Vienna era la capitale dell’impero austro-ungarico, che contava nel complesso circa 52 milioni di abitanti. Con oltre due milioni di residenti, era allora la quarta città più popolata del mondo. La situazione abitativa e sanitaria, come in molte città all’indomani della rivoluzione industriale, era disastrosa: le abitazioni erano in uno stato desolato e disperatamente sovraffollate, circa l’8% della popolazione della città era costituita da Bettgeher (cioè, persone che condividevano i letti a turno), e la tubercolosi era talmente diffusa in città da essere soprannominata”morbus viennensis”. Quando nel 1919 il partito socialdemocratico (che all’epoca aveva un dichiarato orientamento austromarxista) vinse le prime elezioni per la giunta comunale e iniziò un periodo di governo di 15 anni che entrò nella storia della città come “La Vienna Rossa”, la necessità di affrontare questi problemi era in cima all’agenda politica. Il governo istituì un sistema di welfare complessivo che interessava le più diverse sfere della vita quotidiana e comprendeva servizi sociali, in particolare rivolti ai giovani (tramite la costruzione di asili nido e doposcuola), sanitari (ospedali e centri di riabilitazione, ma anche impianti sportivi), educativi (scuole e educazione degli adulti), culturali (associazioni varie), insieme agli interventi abitativi, che ne diverranno il fulcro e il simbolo.

La politica abitativa era una politica decisamente ambiziosa, come rende evidente la citazione di Karl Seitz, sindaco della città, in occasione dell’inaugurazione del più famoso Gemeindebau di Vienna, il Karl-Marx-Hof, nel 1930: “Quando non ci saremo più, queste pietre parleranno per noi.” Nei 15 anni della sua durata – dal 1919 al 1934, quando scoppiò la guerra civile che portò allo scioglimento del Parlamento e alla proibizione del partito socialdemocratico – la Vienna Rossa produsse più di 64.000 abitazioni in circa 350 quartieri distribuiti in tutta la città. La diffusione estesa degli edifici fu il risultato, da un lato, del desiderio di realizzare condizioni di mix sociale in tutta la città e, dall’altro, di un obiettivo politico, cioè promuovere la diffusione del proprio elettorato in tutta la città. La produzione di alloggi su una scala così ampia è stata possibile grazie a due fattori. Il primo fattore è stato l’introduzione di un sistema di tasse, e in primo luogo un’imposta sulla proprietà della casa, progressivamente graduata in base alle caratteristiche dell’alloggio (gli alloggi più lussuosi, che rappresentavano lo 0,5 di tutti gli alloggi, contribuivano per circa il 45% delle risorse prodotte da questa tassa, Weihsmann 2002). Il secondo fattore è stato il fatto che la città è stata in grado di acquistare grandi quantità di terreni a basso costo dopo la guerra. Il livello dei prezzi era sceso drasticamente e, in combinazione con l’introduzione di una legislazione sulla protezione degli affittuari a livello nazionale, la speculazione nel mercato immobiliare è stata così scoraggiata. Ciò ha creato le basi per una politica fondiaria attiva, che la città porta avanti ancora oggi e che è uno dei pilastri principali per la fattibilità e sostenibilità del sistema di edilizia sociale. Oggi, cento anni più tardi, la città dispone di una riserva di terreni edificabili di 3,2 milioni di metri quadrati, sufficienti per la costruzione di circa 45.000 appartamenti.

I periodi dell’austrofascismo e del nazismo hanno segnato una cesura a Vienna, che ha riguardato anche la produzione di edilizia pubblica. Questa fu però ripresa subito dopo la guerra, e all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso lo stock era cresciuto fino a quasi 135.000 appartamenti (quasi il 60% del patrimonio attuale). A partire dalla metà degli anni Settanta, alla luce di una contrazione della popolazione e della soddisfazione del fabbisogno quantitativo, l’attenzione delle politiche abitative viennesi si spostò sempre più dalla costruzione alla rigenerazione e, per quanto riguardava la nuova costruzione, dall’intervento diretto al sostegno alle associazioni edilizie senza scopo di lucro.

Mentre la popolazione viennese è diminuita costantemente durante il Novecento e infine ha ristagnato a partire dagli anni Ottanta, all’inizio degli anni Duemila si è verificata un’inversione di tendenza in seguito alla caduta della cortina di ferro prima e all’allargamento dell’Unione Europea poi. L’azione più importante degli anni Novanta in ambito di politiche abitative è stata probabilmente una non-azione: mentre in molte parti d’Europa (compresa l’Italia) è iniziata la privatizzazione dell’edilizia pubblica, a Vienna questo non è successo. A tutt’oggi, il patrimonio abitativo pubblico è di proprietà della città e da essa gestito.

Oggi: nuove pressioni e nuovi strumenti

Il passato più recente di Vienna è caratterizzato da nuove dinamiche demografiche ed economiche che stanno mettendo sotto pressione il modello abitativo viennese: da un lato, la città è in continua e rapida crescita (più 25% dal 2001 ad 2021) e dall’altro, le tendenze neoliberiste che altre città europee hanno sperimentato a partire dagli anni Novanta sono arrivate – benché più tardi – anche a Vienna. Questo si esprime, tra l’altro, in un crescente squilibrio nel rapporto tra edilizia sociale (cioè, pubblica e sovvenzionata) ed edilizia privata. Se negli anni Ottanta l’edilizia sociale rappresentava in media quasi l’80% delle nuove costruzioni1– riproducendo così continuamente l’effetto calmierante e stabilizzante sul mercato – ad oggi questa tendenza si è quasi invertita. Negli ultimi anni, le nuove costruzioni di alloggi sono state in gran parte nelle mani degli sviluppatori di immobili commerciali (in media il 75% da 2018 a 2021, Plank et al. 2022). In più, tra il 2008 (dopo la crisi finanziaria globale) e il 2016, gli affitti sono aumentati fortemente in tutti i segmenti di mercato (+38%), mentre i redditi hanno subito una stagnazione. L’aumento è particolarmente pronunciato nel settore degli affitti privati (+53%), mentre in quello degli affitti pubblici (+20%) e sovvenzionati (+26%) è stato significativamente inferiore (Tockner 2017). Tuttavia, è importante notare che il mercato privato dell’affitto è tradizionalmente il segmento cui si rivolgono i nuovi arrivati e i profili più fragili, che spesso – a causa delle loro traiettorie abitative informali o irregolari – non riescono ad accedere all’edilizia pubblica.

Per contrastare queste dinamiche, la città sta applicando una serie di misure. Da un lato, l’amministrazione comunale ha ripreso l’intervento diretto  – cioè la costruzione di alloggi pubblici  – che aveva sospeso nel 2004. Dal momento in cui ha preso avvio la ripresa, nel 2015, ad oggi sono stati completati circa 1.000 nuovi alloggi. D’altro lato, in alcuni nuovi quartieri – ad esempio a Seestadt, uno dei più grandi progetti di sviluppo urbano in Europa – la costruzione di edilizia residenziale è in maggior parte sovvenzionata. Ciò è possibile grazie alle grandi riserve di terreni edificabili di cui dispone la città, che le permette di mantenere un certo grado di controllo sul mercato anche in un periodo storico che vede i prezzi dei terreni aumentare. Allo stesso tempo, questo consente di esercitare un’influenza abbastanza forte sulla qualità di ciò che viene costruito: l’assegnazione dei terreni edificabili per la costruzione di alloggi sovvenzionati è affidata al cosiddetto “wohnfonds_wien”, fondato dalla città nel 1984, che effettua concorsi per sviluppatori immobiliari in cui i progetti vengono selezionati da una giuria di esperti in base alla sostenibilità architettonica, ecologica, economica e sociale.

Il tentativo più recente (nel 2019) di intervenire sull’andamento dei prezzi del mercato fondiario è stato la decisione della giunta comunale di introdurre nuove norme di zonizzazione, secondo cui ogni area di nuova zonizzazione per l’edilizia abitativa (a partire da un valore soglia di 5.000 m² di area calpestabile) deve essere destinata “prevalentemente” (nel documento di programmazione dettagliata, che tuttavia non è giuridicamente vincolante, è stato chiarito che ciò significa in linea generale due terzi) ad alloggi a prezzi accessibili.

Rilevante è anche il dibattito politico e pubblico sul tema. Nel 2016-22 la città di Vienna ha dedicato un’esposizione internazionale dell’edilizia al tema del New Social Housing, incentrandola sulla domanda “come proteggere le prestazioni del passato nell’ambito dell’abitare, affrontare le sfide del presente ed essere preparati per un futuro sempre più dinamico ed imprevedibile”.

Con i quattro pilastri fondamentali – l’edilizia pubblica, l’edilizia sovvenzionata, la politica fondiaria e la stabilità politica – Vienna sicuramente ha dei prerequisiti e strumenti migliori di molte altre città per puntare all’abbordabilità abitativa. Allo stesso tempo, sembra importante prestare attenzione alle fratture che possono minacciare il modello viennese – e in particolare le dinamiche del mercato privato in affitto, e le difficoltà degli immigrati e dei residenti più fragili – per rimanere accessibile e socialmente inclusiva anche in futuro.

Se, nel suo complesso, il modello viennese rappresenta un unicum, le direttrici di intervento possono utilmente ispirare il dibattito pubblico e politico anche in altri contesti, in un’epoca nella quale le condizioni abitative diventano sempre meno sostenibili.

  1. STATcube, Neue Wohnungen 1980-2002