Quelli impegnati per almeno 10 ore alla settimana sono 3,3 milioni in Italia (Istat), solo in Lombardia se ne contano quasi mezzo milione (Irs): sono i caregiver, chi si prende cura di un familiare disabile o non autosufficiente, affetto da malattia cronica, con un bisogno di assistenza a lungo termine. Sono questi, anche questi, gli invisibili. Più presenti tra le famiglie fragili e meno abbienti, quelle che la cura, anche volendo, non possono esternalizzarla, quelli che la badante non se la possono permettere.
E invisibili sono anche loro, cioè i caregiver professionali: le assistenti familiari. Una realtà sempre più sommersa, perché bloccata – ormai da sei anni – dall’azzeramento dei flussi regolari di ingresso nel nostro paese, come abbiamo già illustrato su welforum.it, e come l’ultimo “Dossier Statistico Immigrazione 2019” curato da Idos ancora una volta certifica.
Sostenere questo esercito, silenzioso e poco conosciuto, è un’esigenza sacrosanta: lo fanno i paesi di mezza Europa. Ed è ora di superare il pensiero per cui aiutare i caregiver serva solo agli anziani, una terza età già abbastanza “tutelata” nel nostro paese. Perché alleggerire le incombenze dell’assistenza produce un effetto circolare, che vede ricadute importanti sui giovani stessi, sulla conciliazione vita-lavoro, sulle scelte che riguardano la creazione di un nuovo nucleo. Su questa linea leggiamo la decisione del Miur di equiparare lo studente caregiver allo studente lavoratore.
Già la legge di bilancio 2018 aveva riconosciuto la figura del caregiver e istituito un Fondo dedicato. Che tuttavia non è ancora utilizzabile perché manca la legge che dovrebbe regolarne l’utilizzo. Dopo mesi si è arrivati a un disegno di legge unitario, sottoscritto da maggioranza e opposizione, attualmente assegnato alla 11a Commissione del Senato.
E si chiama “Gli invisibili” la ricerca che abbiamo appena realizzato su oltre mille caregiver che presenteremo il 20 novembre a Milano, dove verrà illustrata anche la proposta di legge regionale di iniziativa popolare promossa da Acli Lombardia assieme a tante realtà del terzo settore, Anci e le parti sociali.
Nel 2018 i giovani expat sono stati quasi 84 mila
Il 25 ottobre a Roma è stato presentato dalla Fondazione Migrantes il XIV Rapporto Italiani nel Mondo, di cui è possibile scaricare la sintesi. Il rapporto analizza, partendo da dati socio-statistici, il fenomeno della mobilità in Italia e dall’Italia.
Dal 2008 al 2017 la mobilità interna dei cittadini italiani è diminuita del 6,3%; tale calo si è registrato sia nei movimenti tra regioni diverse sia in quelli all’interno della stessa regione. Tuttavia, nello stesso periodo, il numero degli emigrati italiani all’estero è aumentato notevolmente. In chi decide di lasciare la propria regione di appartenenza risulta quindi chiara la tendenza a scegliere sempre con maggiore frequenza l’estero rispetto a un’altra regione italiana. Questo si verifica in particolare al Nord, dove l’emigrazione all’estero spesso risulta l’unica opzione possibile, essendo la situazione economica nelle altre regioni peggiore.
Al primo gennaio 2019 gli italiani residenti all’estero e iscritti all’AIRE sono 5,3 milioni, circa l’8,8% del totale dei cittadini residenti in Italia. Dal 2006 ad oggi la mobilità italiana è cresciuta esponenzialmente, passando da poco più di 3,1 milioni di iscritti all’AIRE ai quasi 5,3 milioni odierni. Quasi la metà degli italiani iscritti all’AIRE è originaria del Meridione (48,9%); il 35,5% proviene dal Nord e il 15,6% dal Centro. Del totale degli italiani residenti all’estero, oltre 2,8 milioni risiedono in Europa e oltre 2,1 milioni in America, in particolare in America latina.
In dieci anni triplicato il numero dei minori poveri in Italia
Negli ultimi dieci anni il numero di minori che vivono in povertà assoluta è più che triplicato, passando dal 3,7% del 2008 al 12,5% del 2018. È quanto emerge dal X Atlante dell’infanzia a rischio di Save the Children, curato da Giulio Cederna e recentemente pubblicato, che effettua un bilancio della condizione dei bambini e ragazzi in Italia nell’ultimo decennio.
Nel corso degli anni la povertà minorile, da fenomeno circoscritto, si è trasformata in una vera e propria emergenza caratterizzata da forti divari territoriali. Si tratta di una povertà che si manifesta non solo nella scarsa disponibilità di risorse economiche, ma anche nella mancanza di reali possibilità di accesso ai beni essenziali, come ad esempio un’alimentazione e un’abitazione adeguate. Nel 2017 in Italia circa 500 mila bambini e ragazzi sotto i 15 anni, pari al 6% della popolazione di riferimento, vivono in famiglie dove non si consumano regolarmente pasti proteici e circa 483 mila (5,8%) in famiglie dove si consuma poca frutta e verdura. 280 mila invece i bambini e i ragazzi che sperimentano un’alimentazione povera contemporaneamente sia di carne sia di verdura. Nel 2018, secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Coldiretti, 2,3 milioni di famiglie – di cui 453 mila bambini – hanno ricevuto pacchi alimentari.
L’Atlante dedica inoltre spazio al tema della povertà educativa, strettamente correlato a quello della povertà economica: i due fenomeni, alimentandosi a vicenda, generano un circolo vizioso che si tramanda da generazione a generazione. In un paese che non è dotato di un Piano strategico per l’infanzia e l’adolescenza, che soffre di una definizione parziale dei LEP a livello territoriale, che investe risorse insufficienti in spesa sociale ed istruzione, la povertà educativa si manifesta in maniera molto evidente: quasi un minore su 2 non legge un libro oltre a quelli scolastici durante l’anno, 7 minori su 10 non svolgono sufficienti attività culturali, un minore su 5 non pratica sport.
La silver economy come opportunità per il nostro Paese
Censis, in collaborazione con Tendercapital, ha recentemente pubblicato il primo Rapporto sui buoni investimenti relativo al tema della longevità, perno della silver economy, di cui è possibile scaricare la sintesi. Il Rapporto intende offrire uno sguardo a tutto tondo alla longevità come risorsa e fonte di nuove opportunità di investimento, scardinando così quegli stereotipi sull’invecchiamento ancora troppo diffusi.
In Italia, negli ultimi dieci anni, gli over 65 hanno registrato una crescita di 1,8 milioni, tendenza destinata ad aumentare nei prossimi anni. Le previsioni per il 2051 stimano infatti che, dagli attuali 13,7 milioni di anziani, pari al 22,8% della popolazione, si passerà a 19,6 milioni, per un’incidenza del 33,2% sul totale.
Nel nostro Paese gli anziani possiedono una ricchezza media più alta del 13,5% rispetto a quella media degli italiani. Diametralmente opposta è la condizione dei millennials, che presentano invece una ricchezza inferiore del 54,6% rispetto alla media. Un’esasperata differenza di reddito che spiega come negli ultimi 25 anni, a fronte di una riduzione del 14% della spesa reale dei consumi famigliari, quella degli anziani sia aumentata del 23%. La maggior parte degli anziani italiani vive inoltre in case di proprietà e dichiara di avere una condizione economica solida.
Non solo alti consumi, ma consumi di alta qualità. Gli anziani tendono infatti a selezionare i consumi a vantaggio di quelli che più migliorano la qualità della loro vita, trovandosi a spendere in un anno 4,9 miliardi di euro per viaggi e vacanze, 2,3 miliardi per musei e mostre, 2,2 miliardi per cinema, 1,6 miliardi per teatro e altrettanti per concerti. Persone mediamente in buona salute, con solide posizioni patrimoniali e buone propensioni al consumo, in sostanza generatori di benessere. Sono questi gli anziani longevi su cui deve puntare la silver economy nel nostro Paese.