Grave marginalità adulta e barriere all’accesso dei servizi


Caterina CorteseLucia Fiorillo | 22 Dicembre 2022

In questi ultimi anni gli ambiti territoriali stanno lavorando per realizzare e potenziare i servizi volti al contrasto della grave marginalità adulta (persone senza dimora). Grazie alle Linee di indirizzo ministeriali del 2015 e alle ingenti risorse stanziate dal Governo su vari capitoli di spesa, l’infrastruttura sociale e professionale dei servizi ha fatto notevoli passi in avanti. Assistiamo in alcuni territori alla progressiva diffusione di una cultura orientata al superamento della logica del “singolo servizio mensa o dormitorio” o del “servizio emergenziale”, in risposta ai soli bisogni primari, e ad una crescente responsabilizzazione ed empowerment delle cabine di regia pubbliche, che hanno avviato processi virtuosi di programmazione, utilizzando le risorse come leva per il consolidamento e lo sviluppo di una nuova filiera di servizi rivolti alla grave marginalità in sinergia con gli ETS.

Tuttavia, nonostante gli sviluppi già evidenziati in diversi rapporti di monitoraggio (si veda per esempio Cortese, Pascucci, I servizi come agenti del cambiamento, Osservatorio fio.PSD 3/2021), relazioni tecniche e articoli in riviste di settore (si veda  MLPS, Quando l’Housing first incontra il Reddito di cittadinanza, CohesiON Magazine), vi sono delle sfide aperte che i servizi territoriali devono ancora affrontare, prime fra tutte le  barriere che le persone più vulnerabili incontrano nell’accesso ai servizi professionali e l’assenza di una presa in carico strutturata

Raggiungere le persone che vivono in strada (il cosiddetto reaching out come viene definito in Europa), offrire loro un percorso di aiuto, così come garantire l’accesso ai servizi socio-assistenziali, non è una questione facile. Allo stesso tempo, i senza dimora si trovano spesso ad affrontare molteplici difficoltà per ottenere un sostegno che sia appropriato al proprio stato di necessità e ai molteplici bisogni che portano con sé, spesso in condizione emergenziale.

 

I risultati di uno studio che il gruppo di ricerca fio.PSD sta conducendo nell’ambito di un progetto europeo – RETICULATE1 – e che desideriamo qui presentare in versione preliminare, mettono evidentemente in luce una serie di difficoltà che tutt’oggi sussistono nel sistema socio-assistenziale per i senza dimora e che, come proveremo a spiegare, attengono sia a questioni strutturali di funzionamento dei servizi, quanto a difficoltà che le persone più fragili incontrano per ottenere il sostegno di cui hanno effettivamente bisogno.

In materia di barriere all’ingresso, esistono diversi studi a livello europeo ed italiano che hanno già indagato su quali tipi di difficoltà una persona incontra, per esempio, nell’accedere a misure di reddito minimo o a misure di assistenza sociale. Molte delle evidenze riportate, anche per l’Italia, mostrano come vi siano molte persone portatrici di un bisogno evidente e urgente, che non riescono ad accedere ai servizi nonostante siano titolari di un diritto, lasciando ad un mancato take up.

Si configura così uno scenario come quello attuale che caratterizza i nostri territori fatto anche di profonde contrapposizioni tra spinte all’innovazione e al potenziamento dei servizi alla homelessness, da una parte, e mancanza di una adeguata e accessibile offerta dei servizi, dall’altra.

Attraverso lo studio condotto da fio.PSD nei mesi di aprile-novembre 2022 in quattro ambiti toscani, abbiamo analizzato le barriere di accesso ai servizi che le persone in grave marginalità incontrano. Dapprima, attraverso un questionario semi strutturato e un focus group abbiamo coinvolto i coordinatori e gli operatori dei servizi del settore pubblico e del privato sociale. Successivamente, abbiamo intervistato le persone senza dimora presso alcuni servizi da loro frequentati o presso luoghi di stanzialità.

Dal punto di vista degli operatori dei servizi sociali professionali, le principali barriere di accesso ai servizi che le persone vulnerabili spesso incontrano sono:

  • Barriere individuali: le persone non hanno fiducia nelle istituzioni o rifiutano l’aiuto
  • Barriere comunicative: le persone non hanno sufficienti informazioni
  • Barriere amministrative: vi è una eccessiva burocrazia, risposte standardizzate, tempi non adeguati
  • Barriere culturali: le persone temono lo stigma sociale

 

Ugualmente, anche le persone senza dimora intervistate ci restituiscono risposte simili, in particolare la difficoltà ad avere informazioni chiare su dove e a chi rivolgersi, difficoltà a districarsi nella burocrazia delle domande di accesso a servizi, sussidi, documenti, mancanza di spazi di ascolto, sfiducia nelle opportunità che possono esserci per loro. Ma soprattutto, ci raccontano che le barriere e le difficoltà più importanti sono legate all’accesso ai servizi di secondo livello, ai servizi professionali e ad una effettiva presa in carico.

Dietro queste barriere vivono persone con diversi profili di fragilità e istanze diverse, spesso legate al bisogno di un alloggio, di un lavoro o di un aiuto economico in un momento delicato della propria vita in cui si è scivolati. Altre volte ci sono problemi che si trascinano nel tempo, intergenerazionali –  e che assumono una gravità a cui è difficile trovare risposte tempestive per evitare ulteriore aggravamento e marginalità. Le fragilità personali, le difficoltà ad interagire che alcune persone particolarmente vulnerabili presentano, le problematiche legate allo stato di salute psicofisica, rendono più difficile per loro comprendere a chi potersi rivolgere per essere supportati. Al contempo molti di loro con vissuti traumatici o background culturali complessi, fanno più fatica ad affidarsi alle istituzioni per paura delle conseguenze che questo potrebbe comportare in termini di rischi o per sfiducia sui benefici che ne potrebbero trarre. Persone straniere con una posizione da regolarizzare, persone che vivono in sistemazioni inadeguate e insicure, con lavori precari o informali, persone con dipendenze attive, rimangono spesso sconosciute o distanti dai servizi sociali professionali scontando così la mancanza di orientamento e informazioni da canali ufficiali che alimenta ulteriormente marginalità e isolamento.

Di fronte a queste barriere, il servizio sociale si trova in grande difficoltà ad intervenire con i mezzi a propria disposizione. Rimangono più facilmente accessibili i cosiddetti servizi a bassa soglia (dormitori, mense, servizi docce e deposito bagagli) finalizzati a rispondere ai bisogni primari. Questi luoghi dovrebbero rappresentare una sorta di “passaggio propedeutico” verso successivi percorsi socio-assistenziali nell’ambito di un sistema integrato dei servizi, come spiegano le Linee di indirizzo per il contrasto della grave marginalità adulta del 2015, ma assistiamo spesso ad un effetto collo di bottiglia nel quale le persone rimangono bloccate.

Un lavoro di vicinanza, informazione, prossimità e sensibilizzazione con la comunità di riferimento, il passaparola e il lavoro di strada, possono essere azioni fondamentali per fare da ponte tra le persone che vivono in condizioni difficili e i servizi territoriali esistenti, sia pubblici che del privato sociale. Ma quello che si rileva come necessario è il collegamento tra i servizi e tra gli interventi da offrire alla persona. Come molti degli addetti ai lavori sanno, i servizi di strada sono “boe” di salvataggio per un bisogno urgente ma rischiano di rimanere servizi contingenti se non sono ben collegati al sistema dei servizi di assistenza sociale e ai servizi collettivi pubblici per i casi più estremi e difficili da supportare.

 

Continuando nella lista delle barriere più significative, la «residenza anagrafica» delle persone senza dimora rimane un discrimine per il pieno accesso ai servizi collettivi, anche a causa di procedure applicate in maniera non uniforme dai vari uffici anagrafe comunali. L’essere residente in un comune diverso da quello in cui si vive, la mancanza di una iscrizione anagrafica e dei relativi documenti, ostacola la possibilità di avere un medico di base, di ricevere indennità o sussidi, di iscriversi al centro per l’impiego, di votare e di aprire un conto corrente e soprattutto di essere seguiti da un’assistente sociale per una presa in carico presso i servizi.  Riuscire ad orientarsi tra uffici e burocrazia per adempiere ad una serie di richieste amministrative, certamente legittime ma evidentemente difficili da rispettare, rimane una questione eterna nella grave marginalità. Se si considera che spesso queste persone sono portatrici di bisogni complessi che intrecciano più sfere della vita e se si pensa alle risposte standardizzate che spesso i servizi sono in grado di offrire, si può comprendere l’asimmetria che si crea. Proprio le persone più fragili e bisognose rimangano isolate in un cono d’ombra dal quale non riescono ad uscire.

In questo caso diventa cruciale creare e/o potenziare punti di accesso e centri servizi che facciano da raccordo offrendo loro orientamento, ma anche collegamento tra servizi del volontariato e servizi sociali del comune, colloqui con assistenti sociali e indirizzamento verso gli altri servizi collettivi: servizi per il lavoro, agenzia casa, tutela legale, corsi di formazione, opportunità di sostegno economico.  

Il Centro servizi può diventare un primo luogo dove la persona, risolti i bisogni primari, può trovare un supporto adeguato a lungo termine per ricostruire, passo dopo passo, la propria vita e interrompere l’isolamento nel quale la condizione di continua vulnerabilità ti costringe.

 

Il progetto europeo RETICUALTE, a cui fio.PSD sta prendendo parte, ha l’obiettivo di sperimentare la presa in carico di 300 persone vulnerabili, tra cui senza dimora, in quattro Centri di comunità dove il Servizio sociale, chiamato ad esserne “pilota”, possa sperimentare la propria funzione promozionale e non solo quella riparativa. Dei “luoghi intermedi” per le persone in grave marginalità che punti a sviluppare nei beneficiari la capacità di ricostruire relazioni e motivazione (empowerment), la possibilità di prendersi cura della propria salute, l’attivazione nel mondo del lavoro e il ripristinare i legami con parenti e comunità di riferimento.

Si tratta di luoghi che ricordano quelli più recentemente indicati dal PNRR alla Missione 5 – Investimento 1.3.2 come Stazioni di posta/Centri servizio e che sicuramente pongono un’ulteriore sfida di capacitazione dei territori nel costruire risposte di senso e di lungo periodo, come detto in apertura dell’articolo, rispetto al potenziamento dei servizi per le persone senza dimora e di integrazione nella società.

Sia per i Centri di comunità di RETICUALTE, che per i Centri servizio del PNRR sarà necessario seguire gli sviluppi dei prossimi mesi, analizzare fasi di realizzazione ed effetti nei sistemi di welfare territoriali al fine di comprendere, anche ascoltando la voce dei beneficiari, come correggere le barriere di accesso e come mettere a sistema azioni che favoriscano un’effettiva integrazione delle persone più vulnerabili nella comunità, di cui possono di nuovo essere parte.

  1. Si tratta di un progetto EaSI – Occupazione e Innovazione Sociale – Asse Progress (VP/2020/003), finanziato dalla Commissione Europa (DG Employment, Social Affairs and Inclusion) ed avente come obiettivo l’impostazione e la sperimentazione in 4 territori toscani, di modelli di one stop shop rivolti a famiglie vulnerabili e persone senza dimora. Il progetto coordinato da ANCI-Federsanità Toscana, in qualità di capofila, è realizzato oltre che da fio.PSD anche da IRS (Istituto per la Ricerca Sociale), ESN (European Social Network) e da numerosi altri partner.