I servizi per la prima infanzia in Emilia-Romagna tra tradizione e innovazione


Stefano Neri | 31 Luglio 2017

Il sistema dell’offerta, tra pubblico e privato, e una domanda che cambia

I servizi educativi per la prima infanzia hanno una tradizione forte e radicata in Emilia-Romagna, sia in termini quantitativi, con la copertura più ampia in Italia sulla popolazione di riferimento, sia per l’elevato livello di qualità dei servizi.

Negli ultimi vent’anni il sistema dell’offerta, incentrato sull’offerta pubblica di asili nido comunali, è stato gradualmente potenziato, almeno fino agli ultimi anni, subendo rilevanti trasformazioni tra cui le principali appaiono:

1) la diffusione dei servizi integrativi (spazi bambini; centri per bambini e genitori, servizi domiciliari e altri servizi classificati come sperimentali). Tali servizi hanno affiancato e non sostituito il nido;

2) la crescita dei servizi per l’infanzia gestiti dai privati, appartenenti prevalentemente alla cooperazione sociale. Tale crescita, comune ad altre Regioni italiane (Sabatinelli, 2016) è avvenuta in larga misura mediante affidamenti dei Comuni con gare d’appalto o concessioni o attraverso la diffusione di convenzioni con gli enti locali. L’apertura al privato non ha messo in discussione il ruolo di primo piano dei Comuni nella gestione dei servizi, ma ha certamente reso l’offerta più pluralistica, anche per il trasferimento dei servizi in gestione diretta a soggetti partecipati dagli enti locali come aziende speciali o fondazioni, avvenuto in alcuni importanti Comuni (Neri, 2016).

 

Tavola 1 – Servizi educativi 0-2 anni: distribuzione dei posti per titolarità e gestione (%) – 2014/15

Posti a titolarità pubblica Posti a titolarità privata
Asili nido 74,1
di cui
26,0
di cui
Pubblici diretti Pubblici in  gestione privata Posti privati in convenzione Altri posti privati *
47,9 26,2 8,6 17,3
Servizi integrativi 80,7 19,3
Totale servizi educativi 73,4 26,6

* Altri posti privati = posti privati presso soggetti privati con o senza altri posti in convenzione

Fonte: Regione Emilia-Romagna (2016)

 

La tavola 1 mostra che, nel 2014/15, la grande maggioranza dei posti sia negli asili nido che nei servizi integrativi è a titolarità pubblica ma, se prendiamo gli asili nido (che coprono oltre il 90% di tutti i bambini iscritti ad un servizio educativo), i posti effettivamente gestiti da soggetti pubblici risultano al di sotto del 50% del totale (47,9%). Tra i posti a gestione privata (52,1%), la quota più rilevante è rappresentata da quelli a titolarità pubblica ma affidati alla gestione privata, tipicamente mediante gare d’appalto o concessioni (26,2% del complesso dei posti).

Negli ultimi anni in Emilia-Romagna, come in altre realtà, il numero dei neonati si è ridotto progressivamente, passando da un picco di 42.117 nel 2009 a 36.668 nel 2014 (-12,9%). Il calo si è riflesso successivamente in una diminuzione dei bambini iscritti ai servizi educativi, passati nel complesso da 36.638 nel 2011/12 a 33.140 nel 2014/15 (-9,5%). Questo fenomeno, su cui ha inciso probabilmente anche la crisi economica, ha determinato una sovrabbondanza di posti disponibili, tale da portare alla crescita dell’indice di copertura dei posti per bambini (35.5%, + 0,9% rispetto al 2013/14), alla riduzione delle liste di attesa ma anche alla chiusura di servizi, soprattutto privati. L’indice di presa in carico, ossia la percentuale di bambini iscritti sulla popolazione residente, è stabile intorno al 29% con una tendenza ad una lieve diminuzione (Regione Emilia-Romagna, 2016). Se a queste tendenze aggiungiamo anche la domanda di maggiore flessibilità nelle modalità di fruizione e nei tipi di servizi erogati rispetto al nido tradizionale, espressa da una parte dell’utenza, si capisce come i mutamenti demografici e socio-economici richiederanno un notevole sforzo di adeguamento al sistema dei servizi nei prossimi anni.

 

La legge regionale 19/2016: non solo vaccini

Nel novembre del 2016 la Regione ha approvato la legge 19, nota soprattutto per l’introduzione dell’obbligo delle vaccinazioni per l’accesso ai servizi “educativi e ricreativi pubblici e privati” (art. 6, co. 2), che ora è stato adottato in modo più ampio a livello nazionale.

Benché si ponga chiaramente in continuità con la precedente normativa del 2000, la nuova legge regionale rinnova l’assetto regolativo dei servizi per la prima infanzia, con l’intento di adeguarlo ai cambiamenti intervenuti nell’offerta e alle nuove condizioni sociali e demografiche (Rimini, Sacchi, 2017).

In primo luogo, si pone l’accento sull’esigenza di garantire flessibilità ai servizi, sia nel caso dei nidi, dove i gestori “possono individuare moduli organizzativi e strutturali differenziati rispetto ai tempi di apertura dei servizi e alla loro ricettività” (art. 2, co. 3), sia nei servizi integrativi, “anche nei luoghi di lavoro” (art. 3, co. 1).

Al Capo II (artt. 15-23), inoltre, la legge prevede la revisione delle procedure di autorizzazione al funzionamento e l’introduzione dell’accreditamento dei servizi educativi, già previsto dalla normativa ma mai avviato. La “nuova” autorizzazione e l’accreditamento, entrambi concessi dai Comuni, prenderanno effettivamente il via dopo l’approvazione di una direttiva da parte della Giunta regionale (art. 1, co. 4). Per quanto riguarda la prima, la direttiva è attesa per settembre; a seguire comincerà il lavoro preparatorio all’introduzione dell’accreditamento.

Per ottenere l’autorizzazione, i gestori devono essere in possesso di una serie di requisiti di carattere strutturale, organizzativo e relativi al personale (art. 16). Questi includono il rispetto dei contratti collettivi nazionali sottoscritti dai sindacati maggiormente rappresentativi, un elemento non del tutto scontato nel panorama nazionale (Mari, 2016; Neri, 2017); l’obbligo di destinare almeno 20 ore ad attività di formazione, programmazione e promozione della partecipazione delle famiglie; la necessità di redigere un piano finalizzato alla prevenzione e gestione del rischio da stress lavoro-correlato.

L’accreditamento diventerà un requisito necessario per l’affidamento della gestione dei servizi, così come per accedere alle convenzioni. Esso dovrebbe essere di tipo “leggero”, volendo evitare di ripetere il lungo e costoso processo di adeguamento verificatosi in ambito socio-assistenziale. La legge prevede che l’accreditamento del servizio sia basato su un “percorso di valutazione della qualità”, volto a verificare la presenza al suo interno sia di un progetto pedagogico che del coordinatore pedagogico; l’esistenza di un sistema di rapporti con le famiglie ispirato alla trasparenza e alla partecipazione, anche attraverso la costituzione di organismi rappresentativi, come avviene nelle diffuse esperienze di “gestione sociale” dei servizi; l’adozione di strumenti di autovalutazione (e non di valutazione o “eterovalutazione”) del servizio e della sua qualità.

L’intento di promuovere e garantire un percorso di crescita di tutti i servizi (pubblici e privati, tradizionali e innovativi) traspare dal Capo IV della legge (artt. 28-35) dedicato al personale. Oltre alla previsione della laurea per gli educatori dei servizi (collegandosi e in parte anticipando la normativa nazionale), vengono qui assunti come caratteri propri di ogni servizio una serie di elementi caratteristici dell’offerta comunale e poi diffusi, in diverso grado, tra i gestori privati: il principio della collegialità e il metodo del lavoro di gruppo, la presenza dei coordinatori e l’istituto del coordinamento pedagogico, anche in una dimensione territoriale. Va poi ricordato che all’art. 31 è prevista la possibilità, con direttiva regionale, di ridefinire, “individuando margini di flessibilità organizzativa”, il rapporto numerico tra personale educatore, addetto ai servizi generali (i collaboratori) e bambini: si tratta di un aspetto particolarmente delicato per la qualità del servizio che dovrà essere auspicabilmente valutato con attenzione.

 

Il “modello emiliano” tra tradizione e innovazione

La legge regionale 19 si muove indubbiamente tra continuità e rinnovamento: da un lato essa conferma pienamente i capisaldi del cosiddetto “modello emiliano”, riconoscendo l’importanza delle esperienze costruite prima di tutto nel settore pubblico a partire dagli anni settanta e promuovendone la condivisione all’intero sistema dell’offerta; dall’altro, cerca di favorire l’adeguamento dei servizi alle mutate condizioni sociali e demografiche, valorizzando il contributo di quei soggetti che possono portare flessibilità e innovazione.

Il cambiamento regolativo in atto dovrà poi necessariamente tenere conto del decreto legislativo 65/2017, istitutivo del sistema integrato dei servizi 0-6 anni a livello nazionale e approvato nell’aprile del 2017. Il sistema emiliano non si trova certamente impreparato di fronte a molte delle innovazioni introdotte dal decreto. E’ però inevitabile che l’attuazione della normativa nazionale porterà con sé nuovi elementi di tensione in un sistema che appare lentamente ma progressivamente in via di trasformazione.