La spesa per i servizi socio-educativi durante la crisi

Minor spesa dei Comuni, più compartecipazione delle famiglie


Stefania Sabatinelli | 12 Febbraio 2018

Negli ultimi vent’anni l’andamento dell’offerta dei servizi socio-educativi per la prima infanzia è stato sottoposto a influenze diverse e per certi versi contraddittorie. Nei primi anni Duemila era divenuta palese la pressione della domanda insoddisfatta e delle liste d’attesa per i nidi comunali. Negli anni Duemiladieci, tuttavia, diversi fattori hanno agito in senso contrario: la riduzione delle entrate dei Comuni dovuta alla recessione; le politiche di austerità (nella forma dei drastici tagli ai fondi statali per le politiche sociali, della riduzione dei trasferimenti statali agli enti locali e dei vincoli di spesa imposti dal Patto di stabilità interno); i minori bisogni di conciliazione delle famiglie a seguito della crisi occupazionale e, per le stesse ragioni, le maggiori difficoltà ad affrontare i costi dei servizi. La rilevazione periodica dell’ISTAT su Asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia consente di analizzare alcuni dati relativi l’andamento e la composizione della spesa per questi servizi.

 

L’andamento della spesa

La spesa corrente dei Comuni per i servizi socio-educativi per la prima infanzia è aumentata fino al 2012, quando ha raggiunto 1 miliardo 567 milioni di euro, per poi iniziare a calare. Nel 2014 l’ISTAT la calcola pari a 1 miliardo 482 milioni di euro, per cui si registra una diminuzione del 5,4% rispetto al 2012. L’andamento della spesa per i servizi alla prima infanzia non è sovrapponibile a quello della spesa sociale dei Comuni nel suo insieme, che aveva iniziato a ridursi già dal 2011 e che ha segnato una prima ripresa nel 2014 (+0,8%), con un lieve ulteriore incremento provvisoriamente stimato per il 2015 (+0,2%). La spesa per i servizi socio-educativi sembra dunque essersi dimostrata più resiliente rispetto ad altri capitoli di spesa nei primi anni degli impatti combinati di recessione e austerità richiamati in apertura, ma ora sembra tardare maggiormente a riallinearsi ai livelli precedenti.

 

La nota iper-frammentazione del sistema di servizi 0-2 nel nostro paese è evidente nei dati di spesa. La spesa annua per utente di servizi tipo nido (nidi, micro-nidi e sezioni 24-36 mesi) è pari a 7.962€ in media nazionale, ma varia da 3.555€ in Calabria a 12.291€ nella Provincia di Bolzano. In media nei Comuni del Centro la spesa annua per utente è un terzo più elevata che nei Comuni del Sud (9.023€ contro 6.050€).

Come mostra la tabella 1, tra il 2007 e il 2014 la spesa complessiva per questo tipo di servizi è aumentata del 15% a livello nazionale, ma è rimasta sostanzialmente stabile nel Nord-ovest e nelle Isole. Nello stesso periodo, la spesa media per utente è aumentata del 5% in Italia, e del 15% nel Nord-est, mentre nei Comuni del Centro l’aumento di oltre un quarto della spesa complessiva è avvenuto a fronte di una diminuzione della spesa media per utente e di un aumento significativo degli utenti accolti.

 

 

La spesa media dei Comuni varia significativamente anche per tipo di gestione dei servizi (cfr. tabella 2). Nei nidi a gestione diretta, che ospitano il 55% degli utenti dei nidi “comunali” in senso lato (ovvero inclusi i posti a gestione diretta, esternalizzata, presso privati in convenzione, tramite contributi alle famiglie), la spesa media per utente è pari a 8.440€. Nei nidi la cui gestione è esternalizzata a gestori non comunali, che ospitano il 23% degli utenti “comunali”, la spesa media per utente è 4.915€. Nei nidi privati convenzionati con i Comuni, dove è accolto il 13% degli utenti “comunali”, la spesa media annua per utente è 2.805€. Infine, la spesa per contributi alle famiglie per la frequenza di strutture pubbliche o private, che raggiungono l’8% degli utenti “comunali”, è di 1.268€/anno. Sebbene il grosso della spesa comunale (73%) rimanga destinata ai servizi a gestione diretta, questi dati aiutano a capire le ragioni dell’aumento delle altre forme di gestione. Rispetto ai servizi gestiti in economia, infatti, la spesa media per utente è inferiore di oltre il 40% nei servizi a gestione indiretta (la cui incidenza sul totale dell’offerta aumenta negli anni), di ben due terzi nel caso di posti riservati nei privati convenzionati (modalità tuttavia in calo), e addirittura dell’85% nel caso dei contributi erogati alle famiglie.

 

 

La compartecipazione delle famiglie

Circa un quinto della spesa complessiva impegnata dai Comuni per i nidi e servizi similari è sostenuta delle famiglie, il cui contributo – attraverso le rette – è cresciuto nel tempo, passando dal 18,5% del 2007 al 20,4% del 2014. Anche la quota di compartecipazione varia significativamente tra regioni (cfr. tabella 1). Se in nessuna delle regioni del Centro-nord, tranne la Liguria e il Lazio, il contributo delle famiglie è inferiore al 20%, in nessuna delle regioni del Sud e delle Isole, tranne la Basilicata, essa è superiore al 20%. In particolare in Campania la compartecipazione degli utenti copre solo il 9% della spesa totale e in Sicilia solo il 6%. In altre parole, nei Comuni delle Regioni del Mezzogiorno i costi dei nidi d’infanzia sono ampiamente socializzati, il che significa che le rette richieste alle famiglie sono particolarmente basse e/o che un’ampia quota degli utenti è esentato dal versarle.

Come mostrano i dati di Cittadinanzattiva sui Comuni capoluoghi di provincia, la stessa famiglia tipo (composta da 2 genitori e un bambino con meno di 3 anni e con un reddito lordo di € 44.200 e un ISEE di € 19.900) va incontro a tariffe di livello diversissimo a seconda dell’area del paese e addirittura della città nella quale le capita di vivere, che spaziano nel 2014/15 dai 100€ mensili di Agrigento e Catanzaro ai 506€ di Bolzano e 515€ di Lecco.

Ciò è coerente con contesti nei quali i redditi disponibili delle famiglie sono mediamente inferiori; corrisponde però anche ad un’offerta di minore intensità. Secondo la rilevazione di Cittadinanzattiva, il servizio a tempo pieno è presente nel 100% dei Comuni capoluoghi di provincia del Centro-Nord, ma solo nell’80% di quelli del Sud. Inoltre, mentre la retta richiesta alle famiglie copre i pasti, i pannolini e gli altri prodotti per l’igiene nel 40% dei capoluoghi di provincia del Nord e nel 25% dei capoluoghi del Centro, la retta è onnicomprensiva solo nel 3% di quelli del Sud dove, di converso, nel 48% dei casi la retta copre solo i pasti.

 

Fuori dalla crisi?

Recessione e austerità hanno interrotto la (certo lenta) progressione dell’offerta che aveva caratterizzato il nostro paese negli anni Duemila, facendo registrare addirittura una inversione di tendenza nel tasso di copertura dei posti nei nidi comunali o sovvenzionati dai Comuni. Per quanto minima (dall’11,9% nel 2013 all’11,6% nel 2014) tale riduzione è preoccupante, poiché avviene in condizioni di costante denatalità. In parallelo si registra la riduzione della spesa complessiva per questi servizi, a fronte dell’aumentata incidenza media della compartecipazione delle famiglie. Permangono inoltre rilevantissime differenze territoriali, oltre che nella copertura anche nella composizione della spesa e nella definizione delle rette. Il decreto sul sistema integrato 0-6 anni introdotto nel 2017 ha confermato il criterio della compartecipazione delle famiglie alle spese di funzionamento dei servizi; la definizione di una soglia massima per la compartecipazione deve ancora essere raggiunta presso la Conferenza Unificata. Mentre alcune misure nazionali sono nel frattempo intervenute per abbattere il costo dei servizi per le famiglie ex-post (Contributo asilo nido e Bonus nido), la frammentazione territoriale rimane tra i nodi principali del sistema.