Il fenomeno delle migrazioni internazionali


Marco Zupi | 9 Luglio 2020

Questo articolo si propone l’obiettivo di contribuire a “sprovincializzare” lo sguardo sul tema delle migrazioni internazionali, il che significa circoscrivere il fenomeno delle migrazioni che coinvolgono l’Italia all’interno di un contesto globale, dunque “provincializzando” il dato italiano.

Anzitutto, una premessa relativa a come le informazioni e i dati statistici ci aiutino a leggere il fenomeno delle migrazioni, ma non collocandolo su un unico piano di realtà. I dati, infatti, offrono un’indicazione relativa a tre diversi piani di realtà, che si influenzano reciprocamente, ma senza che si possa stabilire alcuna regolarità sistematica in termini di quale piano influenza e determina gli altri:

 

  1. Un piano oggettivo o fattuale, ovvero quanti sono i migranti che attualmente si muovono a livello internazionale;
  2. Un piano soggettivo, relativo a quanto viene percepito in merito al fenomeno migratorio, coincidente o meno coi dati relativi al piano oggettivo;
  3. Un piano giuridico relativo al discorso “ufficiale” del legislatore, connesso agli aspetti normativi.

 

La sequenza delle interrelazioni tra i tre piani è molteplice e tutti e tre sono molto importanti per l’adozione di misure di policy che si prefiggono un cambiamento in meglio della situazione, agendo cioè su uno o più dei piani indicati su cui si ritiene si debbano fare maggior sforzi: cercando di cambiare percezioni e correlate attitudini (il piano soggettivo), la legge (il piano giuridico) o adottando misure per cambiare i risultati in termini di dati “oggettivi”.

 

Focalizziamoci sul piano fattuale e osserviamo (vedi Figura 1) l’andamento delle immigrazioni registrate negli Stati Uniti nel lungo periodo: senza soffermarci troppo sui valori numerici riportati, possiamo dire che è un fenomeno che segue la dinamica di altre componenti della cosiddetta globalizzazione, ovvero dell’”integrazione economico-commerciale”, intesa come aumento della quantità di beni e servizi che vengono scambiati tra paesi (nel grafico, espressa in percentuale della ricchezza prodotta a livello mondiale) e di quella “economico-avanzata” data dallo stock degli investimenti diretti esteri dei Paesi in via di sviluppo (questa volta in percentuale della ricchezza prodotta in questi paesi).

 

Figura 1. La complessità delle dinamiche migratorie ai tempi della globalizzazione

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Non solo le migrazioni internazionali sono una componente del processo di globalizzazione, ma il fenomeno migratorio è una componente strutturale: i migranti internazionali rappresentano il 3,4% della popolazione mondiale (di 7,7 miliardi di persone), ed è un dato in crescita se comparato con quello di 10-20 anni fa, dopo un lungo periodo di proporzione stabile attorno al 2-2,5%.

 

Un dato aggregato di riferimento disponibile da cui partire, infatti, è che ci sono al mondo più di un miliardo di migranti, cioè quasi un settimo della popolazione mondiale: circa 763 milioni di persone sono migranti all’interno del proprio paese (la maggioranza di chi lascia la propria casa, pari al 9,9% della popolazione mondiale) e 272 milioni sono migranti internazionali (il 3,4% della popolazione mondiale).

 

Un’ulteriore informazione interessante è quella che ci consente di disaggregare il dato statistico, provando a rilevarne le diverse categorie che compongono la categoria dei migranti internazionali, a cominciare dalla distinzione tra migranti forzati (la minoranza, costituita da 26 milioni di persone, pari allo 0,3% della popolazione mondiale, di cui peraltro l’83% vive in Asia e Africa) e migranti volontari, utile a livello definitorio, ma incapace di cogliere la complessità della realtà che si sottrae a rigide distinzioni dicotomiche e restituisce spesso profili misti di migranti. Parimenti utile è il dato dei 41,3 milioni di sfollati interni, esito dello spostamento forzato all’interno di un paese di popolazioni a causa di conflitti cui si dovrebbe aggiungere quello, negli ultimi anni sempre più consistente, degli sfollati interni a causa di calamità naturali.

 

Per quanto riguarda le migrazioni internazionali, può essere utile evidenziare, proprio in un’ottica di sprovincializzare lo sguardo sul fenomeno migratorio, che i rifugiati e richiedenti asilo provengono, per la maggior parte, da zone limitrofe ad aree di crisi. Ciò significa che le migrazioni internazionali sono un fenomeno importante sul piano quantitativo (anche se molto inferiore rispetto al dato delle migrazioni interne), sono anche una componente strutturale dell’attuale fase della globalizzazione, ma è altrettanto vero che prevale un modello cosiddetto gravitazionale, ovvero la tendenza a spostamenti internazionali in aree vicine geograficamente, a parità di altre condizioni, cioè a dire che se possibile gli spostamenti sono all’interno della macro-regione di appartenenza e non indistintamente internazionali.

Il dato relativo ai 272 milioni di migranti internazionali “fotografati” nel 2019 cattura il fenomeno dello stock complessivo accumulatosi nel tempo e si basa sulle rilevazioni attraverso censimenti e indagini campionarie effettuate nei vari paesi. Diversamente, i dati di flusso sono più rari, per quanto molto importanti perché misura più adatta a cogliere le dinamiche in atto di mobilità. La ragione di questa disattenzione statistica è duplice: il fenomeno in sé è difficile da rilevare, perché i migranti sono una popolazione elusiva, difficile da rilevare precisamente dal punto di vista statistico, ma c’è anche una relativa disattenzione politica sul fenomeno che non è considerato di prima priorità e non riceve, dunque, nemmeno fondi finanziari per garantire rilevazioni su base continuativa.

 

È vero che le politiche migratorie, quelle di accoglienza e integrazione/inclusione devono tenere conto necessariamente dello stock, ma per sapere quanto il sistema può reggere l’urto di significative variazioni in atto, occorrerebbe poter leggere periodicamente anche il dato di flusso. Inoltre, eventi inaspettati come una pandemia avranno sicuramente effetti immediati sul flusso migratorio, determinando una brusca interruzione e chiusura dei confini, senza che ciò nell’immediato si traduca in un calo dello stock, anzi un’eventuale inaspettata chiusura delle frontiere tendenzialmente trasformerebbe in migranti all’estero persone che programmavano di rientrare rapidamente in patria.

Provando a fare un esercizio di statica comparata, confrontando due fotografie istantanee, quella relativa all’incremento di spostamenti tra il principali spostamenti tra il 2010 e il 2015 (vedi Figura 2), trova conferma l’indicazione di un fenomeno globale e pervasivo, prevalentemente asiatico. Inoltre, ci sono sempre più movimenti migratori dal sud del mondo ed è sicuramente rilevante la componente delle migrazioni intra-continentali. Complessivamente, infatti, il 55% – cioè circa 136 milioni – dello stock di migranti internazionali nel 2019 è rappresentato da migranti intra-continentali.

 

Figura 2. La mappa dell’andamento dello stock di migranti internazionali (2015-2010)*

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Fonte dati: Max Galka su dati Undesa

* Cerchi blu: paesi di immigrazione netta; Cerchi rossi: paesi di emigrazione netta; Punti gialli: punti di rotte migratorie con almeno mille migranti

 

Del totale dello stock rilevato nel 2019, ben 63,1 milioni (pari al 25,5% dello stock totale di migranti internazionali) sono il risultato di migrazioni intra-Asia, cioè uno su quattro migranti internazionali è asiatico.

Ma la popolazione migrante non ha un rilievo solo se misurata in termini assoluti, ma anche rapportandola al totale della popolazione nel paese ospitante. In altre parole, una domanda corretta, per le implicazioni del fenomeno, è: qual è l’incidenza sulla popolazione residente? La Tabella 1 raccoglie i dati relativi al 2019 dei primi 20 paesi al mondo per stock di presenze. Si evince, così, che al primo posto per numero di presenze si posizionano gli Stati Uniti, il primo paese europeo è la Germania mentre l’Italia risulta al decimo posto.

 

Tabella 1. Stock di migranti nel mondo – Primi 20 paesi (2019)

Stock di migranti (milioni) Quota del totale (%) Quota cumulata (%) Popolazione residente (milioni) Quota della popolazione (%)
1 Stati Uniti 50,7 18,6 18,6 329,0 15,4
2 Germania 13,1 4,8 23,5 83,5 15,7
3 Arabia Saudita 13,1 4,8 28,3 34,3 38,2
4 Russia 11,6 4,3 32,6 145,9 8,0
5 Regno Unito 9,6 3,5 36,1 67,5 14,2
6 Emirati Arabi Uniti 8,6 3,2 39,3 9,8 87,8
7 Francia 8,3 3,1 42,3 65,1 12,7
8 Canada 8,0 2,9 45,3 37,4 21,4
9 Australia 7,5 2,8 48,1 25,2 29,8
10 Italia 6,3 2,3 50,4 60,5 10,4
11 Spagna 6,1 2,2 52,6 46,7 13,1
12 Turchia 5,9 2,2 54,8 83,4 7,1
13 India 5,2 1,9 56,7 1366,4 0,4
14 Ucraina 5,0 1,8 58,5 44,0 11,4
15 Sudafrica 4,2 1,6 60,1 58,6 7,2
16 Kazakhistan 3,7 1,4 61,4 18,6 19,9
17 Tailandia 3,6 1,3 62,8 69,6 5,2
18 Malaysia 3,4 1,3 64,0 32,0 10,6
19 Giordania 3,3 1,2 65,3 10,1 32,7
20 Pakistan 3,3 1,2 66,5 216,6 1,5

Fonte dati: elaborazione dati Undesa 2019

 

Un approfondimento in merito al dato dei corridoi regionali ne evidenzia le caratteristiche di “prossimità”, a conferma del cosiddetto modello gravitazionale (vedi Tabella 2).

 

Tabella 2. I primi 5 corridoi regionali di migrazioni internazionali (2019)

Origine Destinazione N. milioni Quota del tot. (%)
1 Europa Europa 41,9 15,4
2 America latina e caraibica America del Nord 26,6 9,8
3 Africa del Nord e Asia occidentale Africa del Nord e Asia occidentale 18,9 7
4 Asia centrale e australe Africa del Nord e Asia occidentale 18,5 6,8
5 Africa sub-sahariana Africa sub-sahariana 18,3 6,7

Fonte dati: Elaborazione dati Undesa 2019

 

Oltre alla presenza di corridoi migratori numericamente più significativi e oltre a dire che il fenomeno migratorio è globale, occorre notare anche la presenza di un elevato tasso di concentrazione: su circa 200 paesi, i primi dieci paesi di origine dello stock di migranti internazionali spiegano circa un terzo dello stock totale (il 32,9%).

 

Tabella 3. I primi 20 paesi di origine – Dati stock (2019)

Stock di migranti (milioni) Quota del totale (%) Quota cumulata (%) Popolazione residente (milioni) Quota della popolazione (%)
1 India 17,5 6,4 6,4 1366,4 1,3
2 Messico 11,8 4,3 10,8 127,6 9,2
3 Cina 10,7 4 14,7 1465,6 0,7
4 Russia 10,5 3,9 18,6 145,9 7,2
5 Siria 8,2 3 21,6 17,0 48,4
6 Bangladesh 7,8 2,9 24,5 163,0 4,8
7 Pakistan 6,3 2,3 26,8 216,6 2,9
8 Ucraina 5,9 2,2 29 44,0 13,4
9 Filippine 5,4 2 31 108,1 5,0
10 Afghanistan 5,1 1,9 32,9 38,0 13,5
11 Indonesia 4,5 1,7 34,5 270,6 1,7
12 Polonia 4,4 1,6 36,2 37,9 11,7
13 Regno Unito 4,3 1,6 37,8 67,5 6,3
14 Germania 4,0 1,5 39,2 83,5 4,8
15 Kazakhistan 4,0 1,5 40,7 18,6 21,5
16 Palestina 3,9 1,4 42,1 5,0 77,8
17 Myanmar 3,7 1,4 43,5 54,0 6,9
18 Romania 3,6 1,3 44,8 19,4 18,4
19 Egitto 3,5 1,3 46,1 100,4 13,5

Fonte dati: elaborazione dati UNDESA 2019

 

Per quanto riguarda, più nello specifico, le misure adottate nei confronti dei rifugiati e richiedenti asilo, storicamente, dalla fine della seconda guerra mondiale, il presupposto delle politiche di accoglienza umanitaria legate a crisi/conflitti è quello della temporaneità, cioè che siano crisi di breve periodo e che richiedono interventi emergenziali destinati dopo non molto tempo ad esaurirsi col ritorno in patria dei migranti forzati. La storia ci dice che le crisi non sono fatti imprevedibili, nel senso che generano flussi di sfollati interni e di richiedenti asilo all’estero che, soprattutto, sono duraturi, perché le crisi si protraggono molto a lungo nel tempo. Infatti, nel corso degli ultimi dieci-quindici anni, la maggioranza dei rifugiati nel mondo proviene dalla stessa manciata di paesi in crisi.

Infine, alcune osservazioni con riferimento all’Africa. Osservando il modello gravitazionale si notano dei dati interessanti: due terzi di coloro che emigrano dall’Africa occidentale rimangono nella stessa area geografica, il che è un modello migratorio intra-regionale riscontrato anche nelle altre ripartizioni del continente africano, ad eccezione del Nord Africa in cui i migranti approdano nel resto degli altri continenti.

 

Tabella 4. I primi 20 paesi di origine – Dati stock (2019)

Emigrati da
Immigrati in Africa Africa del Nord Africa occidentale Africa centrale Africa orientale Africa australe
Africa 53,4 13,2 71,7 78,8 71 51,7
Africa del Nord 3,3 2,9 0,5 2,7 6,8 0,1
Africa occidentale 16,6 0,5 65,6 3,8 0,1
Africa centrale 8,2 3,3 4,9 42,2 3,7 3,1
Africa orientale 18,6 6,3 0,1 25,3 46,7 3,6
Africa australe 6,7 0,1 0,6 4,9 13,7 44,9
Resto del mondo 46,6 86,8 28,3 21,2 29,0 48,3

Fonte dati: elaborazione dati UNDESA 2019

 

E, dati alla mano, l’Africa, percepita da molti in Europa come il continente da cui proverrebbero ondate incontrollate e crescenti di migranti, evidenzia molto sinteticamente che:

 

  • la popolazione residente in Africa è pari al 16,6% della popolazione mondiale;
  • una percentuale più bassa (il 14,7%) del totale della popolazione migrante è di origini africane;
  • la popolazione africana emigrata all’estero corrisponde solo a una percentuale del 2,9% della popolazione residente in Africa.

 

Ciò, dunque, porta a sfatare, almeno nell’immediato, il “mito” dell’invasione africana, perché in Africa la propensione ad emigrare è ancora più bassa rispetto a quella di altre regioni del mondo.

Non si emigra semplicemente perché si è tanti; si emigra per la combinazione di diverse ragioni tra cui, in primis, le insostenibili condizioni economiche, politiche e/o climatiche.

Se tutto ciò ci porta a sottolineare l’importanza degli elementi strutturali che perdurano, a fianco delle dinamiche di trasformazione in atto, la sfida attuale è anzitutto quella di evitare di parlare di crisi temporanee o di limitarsi a cercare soluzioni momentanee. Occorre, anzitutto, fare in modo che nelle aree di insediamento i rifugiati trovino spazi di ampia cittadinanza senza compromettere quello dei nativi. E oggi è il momento della valutazione e della rinegoziazione di questi diritti, con l’inevitabile presenza di luci e ombre.