Salario minimo: quel che resta della competizione Destra vs Sinistra?


Negli ultimi anni, pressioni funzionali e fattori politici hanno collocato il salario minimo tra i temi più caldi del dibattito pubblico nel campo delle politiche sociali e del lavoro.   Tra le prime, la diffusione del lavoro povero – nel 2019 era in condizione di povertà l’11,8% dei lavoratori in Italia, rispetto a una media europea del 9,2%1 – complice un trentennio di limitato aumento dei salari – specie nella parte bassa della distribuzione dei redditi (Franzini e Raitano, 2019) – e sostanziale diffusione dei contratti di lavoro “atipici” (specialmente part-time, ma anche a progetto e finte partire IVA), nonché l’impatto della Grande Recessione prima e della crisi pandemica poi. Tra i fattori politici, va menzionata la vivacità degli attori partitici nel formulare proposte di legge in parlamento, oltre all’istituzione, presso il Ministero del Lavoro, della Commissione sulla povertà lavorativa2 presieduta da Andrea Garnero nel 2021, nonché la Direttiva UE sui salari minimi adeguati, proposta alla fine del 2020 e approvata da Parlamento Europeo e Consiglio Europeo rispettivamente il 14 settembre e il 4 ottobre 2022. L’approvazione di tale direttiva dovrebbe mantenere il tema nell’agenda politica domestica anche nei prossimi mesi, nonostante il verdetto elettorale – con la vittoria della coalizione di Destra guidata da Giorgia Meloni – non lasci presagire sviluppi significativi nel settore. Come si mostrerà nel prosieguo, infatti, l’analisi dei programmi elettorali delle forze politiche presentatesi alle elezioni del 25 settembre 2022 rivela che proprio sul salario minimo – oltre che su regolazione del mercato del lavoro e politiche del lavoro – si coglie una marcata frattura lungo l’asse sinistra-destra. Tale frattura, e la relativa dimensione di competizione politica, ricalca peraltro le differenze che in tema di salario minimo erano già emerse tra i diversi partiti nella fase successiva alla grande crisi del 2008-14.  

Nel periodo 2014-2020, sono state infatti formulate diverse proposte di legge sul salario minimo, che non hanno però mai raggiunto la fase di approvazione3. La prima in ordine temporale era già contenuta nel Jobs Act (legge delega n. 183/2014), ma non fece in tempo ad essere trasposta in decreto legislativo prima della caduta del governo Renzi nel 2016. Successivamente, tre proposte di legge in materia sono state presentate da membri del Partito Democratico e due da membri di Liberi e Uguali, tra il 2018 e il 2019, alla Camera e al Senato. Due di queste prevedevano l’introduzione di una soglia minima legale di 9 euro lordi l’ora, mentre le altre erano orientate all’estensione erga omnes dei contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali più rappresentative. Nel campo di centro-destra, invece, l’unica proposta di legge sul salario minimo venne formulata da deputato Rizzetto (Fratelli d’Italia) nel 2019: facendo riferimento all’art. 36 della Costituzione (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”) e prevedendo l’istituzione di una commissione tripartita responsabile delle decisioni riguardanti il salario minimo, tale proposta fissa alcuni criteri per la determinazione del minimo legale che avrebbe dovuto essere differenziato per regione. È questa però l’unica proposta di marca centro-destra fino al 2019.  

L’iniziativa più rilevante, attorno alla quale si è sviluppata buona parte del dibattito pubblico e politico è stata rappresentata dal disegno di legge delineato dall’ex ministro del Lavoro del Movimento 5 Stelle Nunzia Catalfo del 2018. Utilizzato come base per i successivi lavori parlamentari, la proposta prevedeva un salario minimo legale di 9 euro lordi l’ora, e da maggio 2022 era all’esame (con 93 emendamenti) della Commissione Lavoro del Senato. La caduta del governo Draghi con la susseguente fine anticipata della legislatura rischiano però di arrestare definitivamente il processo decisionale su questo provvedimento.  

Ma cos’hanno promesso agli elettori – su questo sfondo e sul tema salario minimo – i principali partiti in competizione nelle recenti elezioni del 25 settembre 2022? Vediamolo, analizzando i programmi elettorali lungo l’asse sinistra-destra. Le forze tradizionalmente di sinistra nel sistema partitico italiano, nonché il rinnovato Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte che in campagna elettorale ha giocato la carta “left” per recuperare il terreno perduto, condividono un punto essenziale: la fissazione di un salario minimo nazionale per legge, con solo piccole variazioni d’importo tra una proposta e l’altra.   In particolare, Unione Popolare – guidata da De Magistris e fondata sull’alleanza tra Potere al Popolo Rifondazione Comunista – richiama già al primo punto programmatico la necessità di “mettere fine al lavoro povero” tramite l’istituzione di un salario minimo legale di 10 euro lordi l’ora (1.600 euro al mese), da rinnovare annualmente. Ciò dovrebbe accompagnarsi alla riduzione dell’orario di lavoro e all’incremento di tutti i salari anche come mezzo di politica industriale “per spingere le imprese verso produzioni a più alto valore aggiunto”.  

Simile è la proposta dell’alleanza tra Verdi e Sinistra Italiana: un salario minimo legale di 10 euro l’ora), sotto cui non è possibile scendere, combinato con una “legge sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro e l’estensione a tutte e tutti delle tabelle retributive previste per il settore dai sindacati maggiormente rappresentativi”. A fare da corollario, anche qui, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.   Il salario minimo nazionale definito per legge è, specialmente dopo l’adozione del Reddito di Cittadinanza, uno dei cardini della proposta politica del Movimento 5 Stelle, che come detto sopra aveva già elaborato un disegno di legge nel 2018, poi arenatosi alla commissione Lavoro del Senato. Alle elezioni del 2022 la proposta del partito guidato da Conte è di fatto la stessa della Legge Catalfo: salario minimo pari a 9 euro lordi l’ora per legge “per dire stop alle paghe da fame e dare dignità ai lavoratori che percepiscono meno”. Anche qui, in linea con quanto proposto da UP e Verdi-SI, è prevista la riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione.

Il quadro muta in maniera sostanziale considerando il programma del PD. Il Partito Democratico sottolinea infatti la necessità di combattere il precariato e il lavoro povero, affermando di voler “applicare al più presto in Italia il salario minimo previsto dalla Direttiva europea”. Ciò si traduce, per il PD, nella combinazione delle seguenti proposte: i) una legge che riconosca il valore erga omnes dei contratti collettivi firmati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative al fine di contrastare il fenomeno dei contratti-pirata; ii) l’introduzione di un salario minimo contrattuale “nei settori a più alta incidenza di povertà lavorativa”, con una soglia minima che deve essere “affidata alla proposta delle parti sociali e che comunque rispetti i parametri della direttiva Europea (secondo le stime per l’Italia pari a circa 9 euro lordi all’ora)”. Nessun salario minimo legale dunque, ma centralità della contrattazione collettiva e dell’autonomia delle parti sociali. Meno incisivo è anche il richiamo alla riduzione dell’orario di lavoro, affidato alla “promozione di progetti” ad hoc, a parità di salario.   Muovendoci verso il centro, si conferma l’assenza di una previsione di salario minimo nazionale per legge. La nuova alleanza tra Azione e Italia Viva colloca infatti al primo punto della sezione Lavoro l’introduzione di un salario minimo. Tuttavia, seguendo l’indirizzo tracciato dalla Direttiva Europea, il programma richiama la necessità di “garantire una retribuzione dignitosa, che deve passare attraverso una serie di azioni condivise con le parti sociali”, di una legge sulla rappresentanza per contrastare i contratti-pirata, e della validità erga omnes dei contratti che assicuri “la massima copertura di ogni tipologia di lavoro residuale”. Inoltre si evidenzia come altri meccanismi – tra cui minimo esente e imposta negativa sul reddito – possano contribuire ad aumentare il reddito disponibile per i lavoratori poveri. Nessun accenno alla riduzione dell’orario di lavoro.   Più laconica, in ragione della matrice liberal-liberista delle formazioni guidate da Emma Bonino, è la proposta di +Europa, che promette di agire seguendo i dettami della Direttiva Europea e di introdurre quindi un “salario minimo mobile, definito in accordo tra le parti sociali e sulla base dei settori produttivi”, oltre che di attuare l’articolo 39 della Costituzione in materia di rappresentatività, al fine di affermare la centralità della contrattazione collettiva, specie di secondo livello in modo da intercettare gli andamenti di produttività.  

Significativamente, spostandoci nel campo del centro-destra, il salario minimo scompare dall’agenda. Il programma comune della coalizione guidata da Giorgia Meloni non menziona infatti nemmeno il tema ed è opportuno ricordare che a giugno 2022, quando il provvedimento sul salario minimo legale giunse in Senato, i leader di tutte le forze della (futura) coalizione di centro-destra si dichiararono contrari a tale misura.   Solo limitatamente più articolata è la posizione delle singole forze politiche che hanno dato vita alla coalizione elettorale. Il programma della Lega, nella sezione Lavoro, non va oltre il riconoscimento “ai lavoratori di un salario minimo pari a quello stabilito dai CCNL più diffusi” assieme alla necessità di “rinnovo immediato di tutti i CCNL scaduti”. Tra le promesse elettorali di Forza Italia non v’è traccia di salario minimo, mentre nella sezione Giovani si propongono “salario e stipendio minimo di 1.000 euro per apprendistato, praticantato e lavoro a tempo determinato”. Infine, la proposta programmatica del partito vincitore delle elezioni, Fratelli d’Italia, non menziona specificamente il tema salario minimo, pur impegnandosi a “contrastare il lavoro povero e il divario retributivo di genere” tramite l’ampliamento dell’applicazione dei Contratti Collettivi Nazionali, definiti “garanzia di salario equo e di tutele”. Accanto a questo, il sostegno va alla contrattazione di secondo livello.   In definitiva, la rassegna delle “promesse elettorali” in tema di salario minimo delle principali forze politiche alle recenti elezioni politiche evidenzia una chiara linea di competizione e conflitto lungo l’asse capitale-lavoro, che da sempre fonda la contrapposizione destra-sinistra: i partiti di destra e centro-destra non sembrano infatti avere alcun interesse a investire in simili politiche pre-distributive – vieppiù necessarie per costruire una società meno diseguale tramite il contrasto alla precarietà e la neutralizzazione delle spinte verso la disuguaglianza che si generano nel mercato del lavoro (Franzini, 2022). Al contrario, le forze politiche di sinistra e di centro-sinistra convergono sulla necessaria tutela delle retribuzioni più basse, pur differenziandosi circa le soluzioni da mettere in atto, rispetto alle quali emerge infatti una distinzione tra la preferenza per il salario minimo legale (M5S, UP, SI-Verdi) e l’estensione erga omnes dei contratti collettivi in combinazione con una legge sulla rappresentanza (PD, Terzo Polo).

  1. Relazione del Gruppo di Lavoro sugli Interventi e le Misure di Contrasto alla Povertà Lavorativa in Italia, 2021.
  2. La denominazione formale è “Gruppo di lavoro sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia”.
  3. Si tratta delle proposte di Legge: n. 310 del 3 maggio 2018, Senato (PD); n. 862 del 2 luglio 2018, Camera (Liberi & Uguali); n. 658 del 12 luglio 2018, Senato (M5S); n. 947 del 18 luglio 2018, Camera (PD); n. 1542 del 28 gennaio, 2019, Camera (FDI); n. 1132 del 11 marzo 2019, Senato (PD); n. 1259 del 30 aprile 2019, Camera (Liberi & Uguali).