Welfare digitale, servizio sociale e gap formativo


Massimo Campedelli | 1 Luglio 2022

Il contesto

Quale livello essenziale delle prestazioni sociali previsto fin dalla L.328 del 2000, il servizio sociale – inteso come professione, sistema di servizi e disciplina – negli ultimi anni sta progressivamente assumendo l’auspicato profilo di effettività/esigibilità. Il Piano nazionale di resilienza e ripresa – PNRR, il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023, la legge di Bilancio 2022, solo per citarne alcuni più recenti e di maggiore importanza, sono gli atti che a vario titolo e non sempre in modo coerente intervengono sul tema. Al contempo, la transizione digitale, i cui prodromi risalgono agli anni ‘60, da un decennio circa ha iniziato a riverberarsi anche nel dibattito disciplinare e degli orientamenti operativi del social work. Per la verità, più a livello internazionale che a quello nazionale (cfr. gli articoli di Cabiati, Campanini e Casalini, pubblicato nell’ambito di questo Punto di welforum.it).   In un contesto di soggettivizzazione e frammentazione sociale crescenti – ovvero di progressiva virtualizzazione delle relazioni con legami sempre più leggeri, fluidi, fungibili, a minor gradiente di appartenenza e di riconoscimento nelle forme della rappresentanza, ecc. – le risposte date alla endemia da Covid-19 hanno poi accelerato una serie di dinamiche societarie fortemente intrecciate con “quel mutamento d’epoca segnato dall’emergere dell’informazione come risorsa fondamentale dell’organizzazione sociale del futuro” (Rodotà 2021, 60)   Dal lavoro (remotizzazione), alla produzione (automazione), alle nuove modalità di distribuzione e vendita (e-commerce); dall’istruzione scolastica e non solo (lockdown come determinante della prima grande alfabetizzazione digitale di massa), all’informazione (bulimia informativa globalizzata attraverso i social), alla conoscenza (con accesso diffuso, dematerializzato e vincolato solo da una connessione alla rete); dalla struttura sociale (povertà, disuguaglianze e gap di cittadinanza propriamente digitali), alle forme di partecipazione (attivismo civico digitale), alla governance istituzionale multilivello (ri-centralizzazione e disintermediazione dei processi decisionali), e finanche alla pratica religiosa, ecc.; quello che sembrava un domani relativamente prossimo è divenuto improvvisamente il presente, l’attuale, il tratto distintivo della contemporaneità endemica.   Con tutto ciò che questo comporta in termini di concentrazione e controllo del/sul potere tecno, ovvero di giustizia, libertà, socialità, cittadinanza, democrazia, salute e benessere, ecc. (cfr. l’articolo di Casalini, pubblicato nell’ambito di questo Punto di welforum.it). Per non parlare poi dei risvolti antropologici (il postumano), cognitivi (l’apprendimento potenziato dove la connessione sostituisce la memorizzazione e gli algoritmi l’organizzazione del sapere) e culturali (la convivenza con una nuova specie artificiale). Gli eventi di questo ultimo biennio hanno altresì reso più esplicita l’esigenza di un sistema di servizi di prossimità efficace, efficiente, integrato ed effettivamente universalistico (cfr. l’articolo di Licursi, Marcello pubblicato nell’ambito di questo Punto di welforum.it). Sotto l’incalzare dell’emergenza, sia per iniziativa pubblica che del Terzo settore e/o del cosiddetto Secondo welfare, non poche pratiche innovative sono state possibili grazie all’adozione di soluzioni digitali. Last but not least, all’interno dei programmi comunitari finalizzati alla innovazione tecnologica quale asset per favorire l’invecchiamento sano e attivo della popolazione, ovvero per migliorare la competitività del sistema industriale e l’espansione di nuovi mercati1, si è avuta un’altrettanta accelerazione delle sperimentazioni in corso al fine di testare il loro impatto in una situazione emergenziale reale, con una conseguente socializzazione diretta, per chi coinvolto, o indiretta, per gli operatori e le equipe osservatrici, di quello che via via sta delineandosi come welfare digitale.   Il progetto Pharaon, (cfr. l’articolo di Rovini, Toccafondi, pubblicato nell’ambito di questo Punto di welforum.it) rientra nel programma Horizon 2020. Al pari di altri, anch’esso ha dato vita ad un fast pilot durante la prima fase della pandemia, ovvero una sperimentazione just in time, con un campione ridotto di partecipanti, di dispositivi da testare e quindi di obiettivi da valutare. E, nell’ambito delle attività di disseminazione, ha promosso alcuni eventi orientati a patrimonializzare le pratiche e i risultati che via via si stanno ottenendo. La prospettiva, quando pertinente, è quella della innovazione delle policy di welfare. Da qui il tema del gap tecnologico nell’ambito della formazione di base del servizio sociale, sviluppato prima con un lavoro di ricerca interna e poi con un confronto attraverso piattaforma da cui sono scaturiti i contributi di questo Punto di Welforum.it2.  

Nell’ecosistema digitale

Prima di affrontare tale tema merita richiamare alcune evidenze relative all’ecosistema digitale in cui vivono le popolazioni target dei servizi. In particolare, quelle anziane o prossime all’età anziana. Indagini recenti (Ascani 2021; BvaDoxa 2021) segnalano quanto il digitale accompagni gli attuali processi di invecchiamento e, pur rimanendo differenze costitutive con i nativi digitali, confermano che la socializzazione tecnologica delle generazioni adulte e anziane tocca in profondità i comportamenti, gli stili di vita e di consumo, le relazioni, ecc. Le risposte relative alla cura della salute durante i vari lockdown confermano, anche sul piano della vita più strettamente personale, l’impetuosa digitalizzazione assunta a tratto distintivo della contemporaneità endemica sopra richiamata. Detto altrimenti, i prossimi utenti e/o clienti dei servizi sociosanitari, peraltro spesso già ora case manager informali o caregiver, si potranno presentare con competenze, bisogni, aspettative significativamente tecnologizzate. Per chi invece, anziano o grande anziano, si trova oggi in una condizione di non autosufficienza, più che i dati sull’ utilizzo diretto dei dispositivi digitali – che, come abbiamo appena visto, non è da escludere – una proxy significativa di come anche indirettamente possa essere coinvolto ad interagire con le tecnologie è correlata all’implementazione dei setting e delle prestazioni dei servizi di cui è destinatario.   Da un carotaggio sulle risposte innovative di alcuni grandi player del settore, correlate sempre all’emergenza Covid-19, emergono ad esempio due grandi filoni: nel quadro del rafforzamento organizzativo, l’implementazione dei processi informativi in funzione dei percorsi di cura, ovvero l’integrazione dell’uso di cartelle elettroniche degli assistiti con diversi dispositivi e tecnologie installate nelle strutture residenziali o riabilitative allo scopo di aumentare l’efficienza delle procedure, migliorare la gestione dei tempi e delle attività del personale, integrare le prestazioni erogate; nel quadro della continuità del rapporto tra assistiti-familiari-operatori, l’adozione di app e tablet, l’installazione di smart tv, l’utilizzo di piattaforme per riunioni e per definire i piani assistenziali, l’adozione di modelli di tele-riabilitazione domiciliare, ecc. (Notarnicola e Perobelli, 2022)   Più in generale, è possibile affermare che se da una parte tutto il tech è sottoposto a continui miglioramenti in termini di simplicity, enabling, usefulness, dall’altra anche nell’assistenza sociosanitaria, influenzata o acquisita dal sanitario, sul piano funzionale la specifica ricerca tecnologica è arrivata a risultati assolutamente significativi. Non disponiamo ancora, all’opposto, di valutazioni sull’impatto che le soluzioni adottate hanno/avranno nella condizione di vita degli assistiti. Nonostante ciò, è un dato che housing sociale, residenzialità, domiciliarità, riabilitazione fisica e cognitiva, animazione del tempo libero, ecc., siano settori di intervento sempre più attraversati e innovati, arrivando finanche a richiedere nuovi modelli di servizio, da soluzioni oramai mature implicanti cloud, IoT, robot, intelligenza artificiale, ambient assisted living, sensoristica indossabile, smart Tv, mobilità, ecc..  

Competenze fai da te?

Il loro utilizzo, però, necessita un cambiamento dei processi di presa in carico e cura con nuove, o adattate, mansioni e maggiori competenze tecnologiche da parte degli operatori e utilizzatori finali. Ciò comporta investimenti iniziali non secondari, sia per la riprogettazione dei modelli di intervento che per la riqualificazione/riorganizzazione personale, nonché, ovviamente, per la infrastrutturazione di un mercato di fornitori, installatori, manutentori, controllers, ecc. In altre parole, così come l’implementazione di servizi sociosanitari capacitanti richiede di fare sintesi tra prevenzione, medicina e assistenza di iniziativa, riabilitazione, e socializzazione, con le tecnologie chiamate ad occuparvi un ruolo centrale, è altresì vero che nonostante il fermento e il crescente interesse dei players e dei decision makers, soprattutto se si considerano i contenuti generali e di dettaglio del Pnrr 2021-2026, siamo per ora distanti dall’avere policies adeguate. Significativo, al riguardo, che il nuovo Piano Nazionale delle Politiche Sociali 2021-23, pubblicato lo scorso agosto, non faccia nessun accenno alle tecnologie assistive e a relativi percorsi formativi. Anche se a più riprese riporta l’attenzione sulla gestione dei flussi informativi sia di sistema che di servizio, di rilievo è il fatto che non siano considerate e approfondite le linee di indirizzo del PNRR sopra richiamate. Più in generale, è sottovalutato il fatto che la digitalizzazione produce un nuovo ambiente in cui si ridefiniscono i processi di inclusione ed esclusione e dove è necessario sviluppare nuove strategie per la diagnosi, l’intervento e la valutazione. Così come l’aggiornamento dei curricula formativi dei professionisti del servizio sociale attraverso cui innescare il cambio di mindset conseguente.   Le competenze necessarie per partecipare a questo processo vengono, infatti, costruite in forma extracurriculare, giorno per giorno in modo proporzionale agli interessi personali e alle possibilità di accesso a strumenti e tecnologie. Se, con l’emergenza Covid-19, anche nei servizi alla persona la percezione dell’importanza della tecnologia è cambiata significativamente, spesso si scopre che le soluzioni disponibili vengono implementate o utilizzate solo in minima parte, non sfruttando tutto il loro potenziale. Per due principali lacune: la collaborazione stretta con il personale sanitario e sociale; le insufficienti competenze digitali, complessive e specifiche, per utilizzarle. A cascata, l’impossibilità di cambiamento nelle pratiche organizzative, nei percorsi e nei modelli di lavoro che integrino realmente l’uso di soluzioni intelligenti. Che ci sia un gap formativo nei curricula dei percorsi universitari delle professioni sociali ce lo dicono gli stessi piani didattici, che contemplano solo (e nemmeno sempre) l’acquisizione di una manciata di crediti per generiche competenze informatiche. L’assenza di approfondimento delle implicazioni bio-etiche e di rispetto della privacy nei piani formativi di base (laurea triennale e magistrale) di quasi tutte le professioni socioassistenziali e sociosanitarie è esemplificativa. Non solo. L’operatore sociale ha bisogno di acquisire competenze e know-how per un corretto e proficuo utilizzo degli strumenti perché è anche chiamato ad assumere il ruolo di mediatore tecnologico nei confronti degli assistiti con cui si rapporta. A tutt’oggi è il tramite attraverso cui si trasferiscono le informazioni e le competenze digitali di base necessarie per una corretta interazione.  Ed è facile dedurre che quanto maggiore è la fiducia e la sicurezza con cui integra le tecnologie nella propria attività, tanto migliore sarà la compliance dell’utente, e quindi l’efficacia dell’intervento che si appoggia su uno strumento digitale.  

Che fare?

Gli interventi qui raccolti offrono articolati spunti sull’implementazione della formazione tecnologica del servizio sociale. Una discussione più generale sui paradigmi da adottare per lo sviluppo universitario della stessa è in corso. E al suo interno ci pare debba essere sottolineata la necessità di

promuovere con urgenza un dibattito sul futuro della formazione per il servizio sociale basato sul dialogo tra comunità professionale, Ordine nazionale e regionali degli assistenti sociali e Università, superando pregiudizi e rivendicazioni datate e poco utili per garantire un nuovo professionalismo per i neo laureati e i futuri assistenti sociali. Il tema centrale è di capire quali siano le competenze e le conoscenze necessarie per lavorare nel nuovo welfare ed è su questa partita che dovrebbero concentrarsi le migliori energie e risorse di chi ha a cuore la disciplina scientifica e la professione.” (Fazzi 2022).

  Tra cui, aggiungiamo, quelle relative alla digitalizzazione.   Non solo, sia durante la formazione universitaria triennale e magistrale, che quella post-laurea e/o on the job, non si può oramai rinviare il tema della efficacia della didattica a distanza nel servizio sociale e/o della acquisizione della competenza professionale attraverso la mediazione di infrastrutture tecnologiche. Molto probabilmente potrebbe essere utile ipotizzare, meglio se a livello interprofessionale, qualche corso sperimentale di alta formazione, o master, o altro ancora, attraverso il quale delineare e testare contenuti e metodologie appropriate rispetto al compito che si ha di fronte. A puro scopo esemplificativo, stiamo pensando a una serie di moduli di:

  • introduzione al welfare digitale (stato dell’arte della digitalizzazione del welfare; psicologia della incertezza e gestione della innovazione; scenari di antropologia potenziata; strumenti e logiche della digitalizzazione);
  • tutele, diritti e responsabilità degli operatori e degli enti gestori (rischi e opportunità nei servizi gestiti con elementi di innovazione tecnologica; bio-etica ed etica della robotica; responsabilità civile e penale degli operatori e degli enti gestori);
  • integrazione delle tecnologie nei processi di cura (robotica e ICT a servizio di soggetti vulnerabili: dispositivi e processi; digitalizzazione e psiconeurologia; digitalizzazione e sistemi di valutazione per la presa in carico; progettazione di interventi sociali con l’inclusione tecnologica – user design e design thinking -; valutazione di impatto)
  • integrazione delle tecnologie nei setting di intervento (housing sociale, residenzialità, domiciliarità, riabilitazione fisica e cognitiva, animazione del tempo libero, ecc.;
  • tecnologie digitali e strategie di sviluppo dei servizi (digitalizzazione e il PNRR: gli investimenti nel settore pubblico; innovazione tecnologica e nuovi mercati di cura; relazioni con i provider tecnologici; finanziamenti e finanziatori dell’innovazione tecnologica; trend evolutivi dei modelli organizzativi; nuovi modelli di servizio).
  1. Tra gli altri: The European Innovation Partnership on Active and Healthy Ageing (EIP on AHA); The Health community of the European Institute of Innovation and Technology (EIT); Active Assistive Living (AAL) Programme.
  2. Per chi fosse interessato/a, la registrazione completa si trova a questo link di youtube.

Commenti

Grazie Massimo, per il tuo contributo e per affrontare questo tema in questo numero. A tal proposito vorrei segnalare il testo che ho appena letto: di Ezio Manzini, ABITARE LA PROSSIMITA’ (EGEA), nel quale la chiusa è un capitolo di Ivana Pais dal titolo FUTURO PROSSIMO. CITTA’ DELLE PROSSIMITA’ E PIATTAFORME DIGITALI.