Digitalizzazione e Social work


Elena Cabiati | 11 Luglio 2022

Introduzione

Il Social work è una disciplina e una professione ispirata da principi di solidarietà, giustizia sociale ed equità, al servizio delle persone e delle comunità (IFSW e IASSW, 2014).   Per essere vicino e responsivo ai bisogni delle società contemporanee, il Social work combina aspetti di persistenza e di mutevolezza, proiettando gli elementi fondazionali della professione in una prospettiva dinamica aperta al cambiamento. La transizione digitale è parte dei cambiamenti in nuce da diverso tempo (Dif-Pradalier e Greppi, 2018); già discussa e indotta da altri fattori, pensiamo ad esempio all’andamento demografico in Italia e ai bisogni delle persone non autosufficienti, essa ha recentemente acquisito maggiore rilevanza e un’inaspettata accelerazione. Negli ultimi anni, l’emergenza sanitaria Covid-19 e le conseguenze economiche e sociali hanno posto il Social work di fronte a sfide inedite, tra queste l’utilizzo della digitalizzazione nei percorsi di cura. Nei Servizi di welfare, nelle Università e nelle comunità si è assistito a forzate trasformazioni intrise di enormi sforzi, test di resilienza e prove di solidarietà (Banks et al. 2020; Sanfelici et al. 2020; Cabiati, 2021; Cabiati e Gómez-Ciriano, 2021; Corradini, 2021). A distanza di oltre due anni dall’inizio della pandemia, lo stato di emergenza deve lasciare spazio alla riflessione: sia nelle Università che nei Servizi è utile comprendere quali sono gli apprendimenti e gli strumenti da trattenere e mettere a sistema e cosa, di contro, lasciar andare per il ripristino degli schemi più tradizionali. Promuovere e sviluppare la digitalizzazione nelle pratiche di aiuto e nei programmi di Social work education senza snaturare ma al contrario potenziando il senso delle attività resta una grande sfida. Tale sfida è connotata da quesiti ancora aperti che interessano piani diversi riferibili alle risorse e all’organizzazione, agli aspetti etici e metodologici, alle competenze. Dall’anno 2006, le competenze digitali sono state considerate una delle otto competenze chiave nei processi di formazione continua di tutti i cittadini europei (European Commission 2006). Tuttavia, in Italia il dibattito sulla digitalizzazione e sulle competenze digitali si sviluppa a singhiozzi, nonostante vi siano esperienze interessanti (Sanfelici e Bilotti, 2022) e nel panorama internazionale riscontriamo linee guida1 e sperimentazioni (La Rose e Detlor, 2021; Rambaree e Nässén, 2021; Sanders e Scanlon, 2021) utili a sviluppare ulteriormente la riflessione e l’azione. La pandemia ha spostato le nostre percezioni sull’importanza delle competenze digitali, aprendo nuove potenzialità e disponibilità nelle comunità professionali. Tuttavia, questo non è sufficiente ad affermare con chiarezza le motivazioni per cui apprendere competenze digitali per il Social work è un obiettivo importante.  

Sviluppare competenze digitali per il Social work: perché?

Per apprendere competenze digitali bisogna sentirne il bisogno. Come avviene in tutti i processi di apprendimento e di sviluppo di competenze, la motivazione è un fattore importante. Sentire il bisogno di apprendere competenze digitali può non essere scontato, soprattutto per i professionisti formati nella concezione secondo cui gli strumenti digitali e le relazioni di aiuto sono inconciliabili, entrambi importanti se presi singolarmente ma stranieri nel confronto, senza punti di contatto.   C’è anche una questione di gerarchie dei saperi. Il valore delle competenze digitali non è ancora consolidato, spesso esse sono considerate in termini generici e marginali, come competenze accessorie che non determinano la preparazione dei social workers. Tale ragionamento si riflette anche nei programmi di formazione, ove all’interno di architetture rigide dettate da vincoli ministeriali stringenti non c’è spazio per le competenze digitali, se non in misura marginale oppure opzionale. Quest’assenza è riconducibile in alcuni casi a questioni di risorse, in altri a questioni di opportunità. La digitalizzazione può essere pensata come una scelta che aiuta a rafforzare la pratica e l’espressione dei principi della professione o, di contro, come un cambiamento imposto sul professionista da qualcuno (un dirigente o un’amministrazione) o da qualcosa (la pandemia, un taglio di risorse, un programma di formazione). La transizione digitale può incrociare la strada dei professionisti dell’aiuto per diverse ragioni: per le misure imposte dalla pandemia o per l’adozione di uno strumento digitale all’interno di un’organizzazione; in questi casi i professionisti devono forzatamente acquisire o potenziare le competenze digitali, devono farlo per adattarsi alle contingenze e alle regole del momento o alle scelte dell’amministrazione. Diversamente, alla base del processo possono esserci motivazioni orientate verso temi di giustizia e inclusione sociale. In questo caso gli operatori potrebbero voler acquisire competenze perché intravedono le potenzialità degli interventi digitali, perché pensano che la digitalizzazione possa supportare processi di advocacy, ampliare le opportunità di partecipazione e di accessibilità ai Servizi e alle informazioni. Come in tutti i processi di acquisizione delle competenze, anche in questo caso sono coinvolte dimensioni emotive e cognitive che rendono necessaria la promozione di un ragionamento di senso, sul perché bisogna apprendere competenze digitali, quali sono le motivazioni e come esse si coniugano con i valori e i principi della professione (anche potenziandone l’espressione e non minacciandola). Le iniziative di formazione sulla transizione digitale devono considerare questi aspetti, accogliendo motivazioni, preoccupazioni, resistenze e pregiudizi che a vario titolo interessano operatori, docenti, formatori, studenti e ricercatori.  

Un doppio livello di competenze

Quando si pensa all’acquisizione di competenze digitali necessarie agli assistenti sociali o agli operatori sociali è utile interrogarsi sulla declinazione pratica di tali competenze. Nel ragionamento è ricompreso un doppio livello, distinto e interconnesso:

  • i social workers devono apprendere competenze digitali per utilizzare strumenti digitali quali ad esempio piattaforme, applicazioni o devices;
  • i social workers devono integrare le competenze digitali nel particolare della pratica di servizio sociale, ossia sviluppare competenze per utilizzare strumenti digitali per finalità di aiuto e trasformazione tipiche del servizio sociale in diversi ambiti d’intervento, non solo a livello di individuo ma anche di gruppo e di comunità. Su questo secondo livello i professionisti hanno bisogno di sviluppare una filosofia d’uso armonizzando le tecniche e le metodologie d’intervento con la digitalizzazione, ad esempio per effettuare un colloquio di valutazione, per realizzare interventi educativi o per organizzare l’assistenza domiciliare di persone non autosufficienti. Questi due livelli di competenze implicano processi e obiettivi di apprendimento diversi; il secondo deve essere necessariamente accompagnato da esperti di servizio sociale, a partire dal coinvolgimento gli stessi operatori, perché senza un’adeguata riflessione sulla parte tecnico-metodologica dell’intervento il processo rischia di arrestarsi al primo livello lasciando gli operatori di fronte a dilemmi perché, pur possedendo le competenze digitali non sanno come utilizzarle per perseguire le finalità specifiche dei processi di aiuto.

  Per distinguere e integrare questi due livelli non basta l’acquisizione di conoscenze perché nel ragionamento sono compresi anche lo sviluppo di abilità e di comportamenti. I risultati di alcuni studi evidenziano che le Digital technologies influiscono sulla natura e sulla pratica dell’intervento sociale (Zhu e Andersen, 2020; López Peláez e Marcuello-Servós, 2018), ossia sulle modalità di interazione tra gli operatori e le persone in difficoltà, ma anche sulle richieste e i bisogni di quest’ultime. Da un recente studio norvegese emerge che le competenze digitali nel Social work debbano possedere 3 aggettivi, ossia essere safe, critical e creative (Hong e Synnøve, 2021). Questa definizione si riferisce all’abilità di utilizzare le competenze digitali in modo sicuro (con riferimento ad aspetti di privacy e riservatezza), critico (attivando il pensiero critico-riflessivo tipico dei social workers) e creativo (immaginando non solo la trasposizione degli aiuti tradizionali in formato digitale ma sperimentando nuove modalità d’intervento). E’ chiaro che siamo oltre l’acquisizione di competenze tecniche digitali.  

Risorse, formazione e ricerca

È difficile pensare che la digitalizzazione renda automaticamente i Servizi più accessibili e i percorsi di aiuto più efficaci, e il tema delle risorse è centrale. Un processo di digitalizzazione del Social work è necessariamente legato alle risorse disponibili in termini di strumentazione e in termini di know how e di formazione. La realtà dei Servizi sociali mostra come ancora al presente gli operatori lavorino in condizioni precarie dal punto di vista della strumentazione disponibile e di come, anche in relazione alle necessità di lavoro a distanza, non in tutti i territori è corrisposta un’adeguata dotazione di computer, telefoni, reti internet. In termini di formazione, lo sviluppo di competenze digitali va pensato non solo dal lato dei professionisti. Nelle relazioni di aiuto, che come tali sono frutto di un’interazione profonda e reciproca, non conta solo la motivazione e la capacità d’azione di chi aiuta ma anche di chi è aiutato. La digitalizzazione degli interventi deve avere come riferimento anche la popolazione a cui un Servizio vuole rivolgersi, agli strumenti e alle competenze di cui dispone. La digitalizzazione deve essere dunque pensata a livello di sistema. Nonostante l’attenzione ricada spesso sugli operatori e sulle loro competenze, la riflessione sulla transizione digitale deve coinvolgere i diversi livelli dell’organizzazione: non solo operatori ma anche i coordinatori che svolgono funzioni di programmazione e guidano l’équipe, i dirigenti e gli amministratori che sul piano decisionale orientano le risorse incidendo sullo sviluppo del Servizio, dei programmi e degli interventi. Anche docenti e formatori devono apprendere dalla ricerca come formarsi e come accompagnare processi di formazione in un’ottica interdisciplinare, ove il suffisso inter indica che le discipline entrano in contatto, dialogano sui punti di confine per comprendere come reciprocamente potenziarsi. In assenza di una riflessione critica su questi punti il rischio è che la digitalizzazione possa aumentare anzichè contrastare meccanismi di esclusione delle persone più vulnerabili, producendo ulteriore stress e difficoltà per i professionisti dei Servizi per l’aiuto. Pensare in termini di aggiornamento dei curricula formativi alla luce della transizione digitale è un processo articolato che non si esaurisce nell’inserire nel piano di studi dei corsi universitari un insegnamento o un laboratorio. Come sta avvenendo in altri Paesi europei (López Peláez e Marcuello-Servós, 2018; Zhu e Andersen, 2021), il discorso necessita di essere irrobustito da sperimentazioni e ricerche che aiutino a comprendere perché imparare e cosa imparare per poi utilizzare questi apprendimenti nel particolare delle relazioni di aiuto.

  1. Ricordiamo ad esempio il Digital Capabilities Statement for Social Work Practice elaborato dall’Associazione britannica degli assistenti sociali.