Dal ReI al RdC: spunti di riflessione del servizio sociale


Deborah Attene | 7 Febbraio 2019

L’introduzione del Reddito di cittadinanza (Rdc) rappresenta un momento di svolta, seppur tardiva, nella storia delle politiche sociali, poiché si concretizza il primo dei livelli essenziali delle prestazioni, contemplati dalla legge 328/2000, quale misura unica  di contrasto della povertà e sostegno al reddito.

L’analisi qui condotta intende mettere in evidenza alcune falle dell’impianto del decreto legge 4 del 28 gennaio 2019 “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e pensioni” dal punto di vista del servizio sociale, che negli ultimi due anni, prima nell’ambito del sostegno all’inclusione attiva (SIA), poi con l’introduzione del reddito di inclusione (ReI), è stato protagonista nelle varie fasi di implementazione delle misure, dal momento dell’accesso, a quello della valutazione dei bisogni e progettazione con le persone.

 

L’abrogazione dei punti di accesso

Il primo aspetto che il decreto non considera in modo sufficientemente adeguato è il momento dell’accesso alla misura, abrogando in blocco le previsioni del precedente decreto legislativo 147/2017, che introdusse il ReI, legate ai punti di accesso. Con l’introduzione del ReI sono stati istituiti presso i Comuni e/o Enti delegati in ogni ambito territoriale, o riorganizzati se già esistenti in altre forme, dei punti per l’accesso ove potesse essere offerta informazione, consulenza e  orientamento  ai  nuclei  familiari  sulla  rete  integrata  degli interventi e dei servizi sociali e, qualora fossero ricorse le  condizioni, assistenza nella presentazione della richiesta del ReI. In caso di esito positivo della stessa, presso i medesimi punti d’accesso veniva condotta da operatori sociali l’analisi preliminare al fine di orientare, mediante colloquio con il nucleo familiare, le successive scelte relative  alla  definizione del progetto personalizzato, la cui condivisione e adesione, da parte dei componenti il nucleo familiare stesso, è condizione necessaria al fine del mantenimento del beneficio. L’analisi preliminare si traduce in una valutazione multidimensionale volta a identificare bisogni e risorse del nucleo, considerando vari aspetti: le condizioni e funzionamenti personali e sociali, la situazione economica, la situazione lavorativa e il profilo di occupabilità’, l’educazione, istruzione e formazione degli adulti e dei minori, la condizione abitativa, le reti familiari, di prossimità e sociali. Risulta quindi evidente che veniva riconosciuta ai punti di accesso la funzione di segretariato sociale e di valutazione professionale, propria del servizio sociale.

 

Anche i successivi Piano Nazionale Povertà e Piani Regionali avevano indicato l’ampliamento e il rafforzamento dei punti di accesso come uno degli obiettivi verso cui gli ambiti territoriali avrebbero dovuto far convergere le proprie risorse, riconoscendo come strategico il momento di supporto al cittadino nella presentazione  della richiesta, di primo orientamento e di analisi preliminare dei bisogni. La loro abolizione rappresenta una perdita significativa sia perché negli ultimi due anni sono stati profusi notevoli sforzi da parte dei servizi sociali dei Comuni, o enti da essi delegati, per organizzarsi al meglio, cercando  di stare al passo con i repentini mutamenti disposti dalle circolari ministeriali e Inps, sia perché il sistema di accesso al Rdc, individuato presso Caf e Poste, non tiene conto della complessità di questa fase per cui presumibilmente si genereranno disservizi, cattiva informazione, inceppi vari, scatenando prevedibilmente l’ira dei cittadini.

Assistenti sociali versus navigator

Un secondo aspetto dolente riguarda, in generale, il riconoscimento in via residuale del ruolo del servizio sociale nella lotta alla povertà: l’enfasi data ai navigator, il ruolo ad essi riconosciuto e la prevalente connessione della misura alle offerte di lavoro che saranno proposte ai beneficiari del Rdc è del tutto fuorviante e slegata dai dati della realtà.

Per mettere in evidenza come i dati supportino la tesi qui esposta è necessario introdurre brevemente il processo che si innescava dall’accoglimento della domanda ReI al progetto personalizzato: la metodologia di lavoro approntata con il ReI, propria del servizio sociale, è idealmente suddivisa nelle tappe dell’analisi preliminare, del quadro di analisi approfondito laddove emergano bisogni complessi e della condivisione con il nucleo di un progetto personalizzato.

Gli esiti individuati dall’analisi preliminare sono quattro: invio al centro per l’impiego laddove i bisogni del nucleo siano esclusivamente connessi alla condizione lavorativa; valutazione multiprofessionale attraverso un quadro di analisi approfondito se la situazione presenta bisogni complessi; progettazione in versione semplificata del servizio sociale se invece non si configura come situazione multiproblematica; invio al servizio specialistico se la situazione presenta delle problematiche che richiedono una presa in carico specialistica.

In altre parole, significa che solo nei casi in cui gli obiettivi del percorso siano esclusivamente legati al reinserimento lavorativo, il progetto del servizio sociale può essere sostituito dal patto di servizio con il centro per l’impiego; per cui viene implicitamente riconosciuto che la povertà non è solo un problema di lavoro.

Il progetto personalizzato, invece, che nasce sulla base dei fabbisogni del nucleo familiare, individua un percorso più globale e declina: gli obiettivi generali e i risultati specifici che si intendono raggiungere; i sostegni, in termini di specifici interventi e servizi, di cui il nucleo necessita, oltre al beneficio economico connesso al ReI e gli impegni a svolgere specifiche attività, a cui il beneficio economico è condizionato, da parte dei componenti il nucleo familiare.

 

L’esperienza del ReI nell’ambito Biellese, pur nel breve periodo che va dal dicembre 2017 al dicembre 2018, evidenzia come solo per l’8% dei nuclei beneficiari della misura fosse sufficiente l’invio al centro per l’impiego per la stipula del patto di servizio. Ció significa che nel 92% dei casi le aree di bisogno individuate fossero legate anche ad altre sfere, per cui si è ritenuta piú congrua e opportuna una presa in carico sociale o multiprofessionale e un percorso di accompagnamento del nucleo verso un maggior livello di inclusione sociale.

Inoltre, nel 75% dei casi, i nuclei beneficiari ReI sono nuclei seguiti dal servizio sociale (50%) o che sono stati seguiti in passato (25%). Solo nel 25% dei casi sono nuclei mai approdati al servizio. Questo per dire che trattasi di situazioni per lo più complesse, che richiedono un’adeguata preparazione professionale perché possano essere valutate e accompagnate nel loro percorso e che la risposta ai loro bisogni potrebbe non corrispondere a un’offerta di lavoro, ammesso che i navigator saranno in grado di incrociare domanda e offerta in tutte le situazioni che si presenteranno loro.

 

Con il Reddito di cittadinanza, invece, la povertà sembra essere inquadrata prioritariamente come un problema connesso esclusivamente al lavoro, nonostante i dati della precedente esperienza siano eloquenti nel dimostrare che tale lettura è palesemente riduttiva, e sembra, inoltre, che ai navigator sia affidato il compito di valutare la complessità dei bisogni della persona o dei nuclei, pur non possedendo le specifiche competenze per farlo.

 

Il Reddito di Cittadinanza e l’assistenza economica degli enti locali

Terzo ed ultimo macroaspetto non considerato opportunamente dalla normativa vigente riguarda gli esclusi dal Rdc, che pur non eleggibili alla misura, si trovano in situazione di povertà e a cui i servizi sociali dovranno comunque fornire una risposta. Va considerato, inoltre, che gli stessi servizi saranno chiamati a breve a fronteggiare una serie di problemi connessi anche agli effetti del Decreto Sicurezza. Si tratterà, infatti, non solo di rispondere agli esclusi dal Rdc, ma anche di gestire quelle situazioni di stranieri richiedenti asilo prima fronteggiate nell’ambito del sistema di accoglienza e protezione, per cui, anche in questo caso, sembra vanificato il lavoro svolto finora nella costruzione di una rete di servizi impegnati nei processi di inclusione ed integrazione degli stessi; inoltre la previsione del requisito di residenza in Italia da dieci anni, di cui gli ultimi due continuativi, escluderà dal Rdc prevedibilmente un’ampia fascia dei senza dimora che hanno spesso periodi di residenza intermittenti.

I requisiti economici necessari ad accedere alla misura ReI e l’ammontare dell’importo riconosciuto non hanno generato un importante impatto sull’entità degli interventi economici a livello locale, mentre ci si aspetta che l’innalzamento sia della soglia isee sia dell’importo spettante con il Rdc possa  dare riscontri più rilevanti.

Tuttavia, restano degli interrogativi aperti, su cui varrebbe la pena riflettere e trovare le rispettive soluzioni: le persone sanzionate nell’ambito del circuito del Rdc, laddove venga chiesto loro di restituire delle somme percepite indebitamente, si rivolgeranno ai servizi locali per far fronte all’emergenzialità in cui verranno a trovarsi? Gli enti locali dovranno/potranno integrare ulteriormente attraverso interventi di assistenza economica il Rdc laddove nuclei beneficiari presentassero richieste anche al servizio sociale territorialmente competente? Ovvero, come l’intervento dei servizi sociali sarà complementare e/o integrativo del Rdc?

 

Un’ulteriore considerazione è legata alla progettualità condotta in favore dei nuclei beneficiari di Rdc: se è vero infatti che da un lato l’adesione a un patto per il lavoro o patto per l’inclusione sociale rappresenta un obbligo, pena la decadenza della misura, dall’altro rappresenta un’opportunità; non sarebbe pertanto utile prevedere un possibile rafforzamento delle progettualità, attraverso interventi di accompagnamento e sostegno, anche a beneficio dei richiedenti assistenza economica esclusi dal Rdc? Potrebbe aver senso destinare parte delle quote del Fondo Povertà all’erogazione di interventi nell’ambito di progetti personalizzati anche in favore di chi non possiede i requisiti per beneficiare del Rdc, pur trovandosi in condizioni di fragilità economica.

Sarebbe opportuno affrontare il tema della povertà e delle misure di sostegno al reddito in modo unitario e in armonia anche con le misure di assistenza economica previste dagli enti locali, magari pensando a un settore nell’ambito dei servizi che presidi i vari aspetti legati alle misure di sostegno al reddito a cui i cittadini possono accedere, creando un portale unico di accesso, anziché perpetuare la distinzione tra beneficiari ReI/Rdc e non.

 

Conclusioni

In conclusione: i servizi sociali, seppur riconosciuti in via residuale dal decreto che istituisce il Rdc, continueranno inevitabilmente a ricoprire un ruolo cruciale in tema di lotta alla povertà e percorsi di inclusione sociale, per cui appare necessario che ció venga adeguatamente contemplato e che la valutazione dei bisogni e conseguente progettazione venga condotta dai professionisti competenti, pur non escludendo un rafforzamento dei centri per l’impiego che sul fronte delle risposte ai bisogni connessi alla condizione lavorativa evidenziano preoccupanti fragilità e, conseguentemente, devono essere implementati.

Il ribaltamento dell’impianto che il decreto del reddito di cittadinanza propone rispetto alla pratica già avviata con il SIA e con il Rei rappresenta un errore di sottovalutazione e si auspica venga rivisto nel passaggio di conversione a legge.